di Daniela Ranieri, il Fatto Quotidiano 15/9/2016, 15 settembre 2016
FERMI TUTTI, ABBIAMO “SPERSONALIZZATO”
Chi fosse andato in coma, metti, a giugno, prima di perdere conoscenza avrebbe sentito Renzi pronunciare urbi et orbi la sua promessa d’ordalia: “Se perdo vado a casa”. Risvegliandosi oggi, l’infermo sentirebbe la stessa voce dire: il referendum è “il bivio tra chi dice Sì perché vuole cambiare e chi dice No perché vuole rimanere nella palude”. Sedandolo, gli infermieri gli spiegherebbero che questa riedizione della lotta immaginaria tra cambiamento e palude fa parte di un cambio di strategia chiamato “spersonalizzazione” alla base del quale c’è la presa d’atto di Renzi che legare i destini della Costituzione a quelli della sua persona è un errore fondamentalmente perché della sua persona, in definitiva, non frega niente a nessuno.
“Abbiamo spersonalizzato”, dice il segretario nella e-news, versione digitale del calendario di Frate Indovino, e non si capisce chi abbia mai personalizzato una faccenda su cui lui e la sua ministra delle Riforme hanno impostato tutto il loro operato (“Piaccia o non piaccia”), calpestando regole, chiedendo voti a Verdini, sparando numeri, insultando i critici e paventando il vuoto, il crollo del Pil, l’anarchia.
Alla nuova narrazione fumogena si affianca come una safety car quella della stampa organica che vuole che il “premier” abbia corretto la rotta dopo il periodo blu della personalizzazione per una sorta di sopraggiunta coscienza civica (non per la batosta che ha preso alle amministrative). Ecco un Renzi improvvisamente maturo che non insulta più gli avversari e si mostra conciliante sull’Italicum (“Non piace? E che problema c’è?”), la legge che tutta Europa ci invidia e su cui ha messo la fiducia. Un caso alla Oliver Sacks: ex sindaco di Firenze divorato da “smisurata ambizione” (ipse dixit) affida a un’amica il compito di migliorare la Costituzione ma poi, scontratosi col principio di realtà, cambia verso e si riscopre responsabile.
Con l’aiuto certo non auspicato del terremoto, che ha violentemente riassestato la realtà sul suo racconto preferito (quello in cui lui libera il Paese dalle macerie e lo ricostruisce), riposiziona se stesso e gli altri nel teatrino di amici-nemici in cui si è mosso fin dalla sua scalata (ama ritrarsi in scene di peripezia). Il dialogo all’interno del partito è sostituito dalla recita del dialogo. Mentre dice di non voler fare polemiche, imposta il suo discorso tutto sulla polemica, concentrando la carica del No su un solo antagonista, D’Alema, losco figuro che “ci ruba il futuro”.
Il messaggio ora è: votando No, non votate contro di me (al contrario di quanto detto all’inizio: “Il No si spiega solo con l’odio nei miei confronti”), ma votate per D’Alema. Si crea così uno schema Mozart-Salieri in cui lui è ovviamente Mozart, giovane, prodigioso, geniale, e D’Alema è Salieri, invidioso di lui, rancoroso, destinato all’oblio. In questa commedia dell’arte lo circondano personaggi grotteschi: oltre al Capitano D’Alema, vecchio soldato spaccone e vanaglorioso, i tutori della Carta alla Zagrebelsky (gli “archeologi travestiti da costituzionalisti”), seriosi e pomposi come il dottor Balanzone, e poi tutto un contorno di servi furbi che trama alle sue spalle e che lui ignora o distrugge col sarcasmo (sono “i nostalgici del 25% e della sinistra masochista”). Mentre le sagome dei partigiani veri, quelli che sulle montagne hanno combattuto per il ddl Boschi, venivano agitate sullo sfondo, Arlecchino e Colombina hanno provato a intortarci con la favoletta della voltabuona; poi s’è capito che “l’Italia che dice Sì” non vuol dire niente, che semanticamente è al livello de “i bambini fanno oh”.
Allora hanno tentato una linea ardita: Dossetti, Calamandrei, Berlinguer, Ingrao avrebbero votato Sì, e infatti Marchionne, John Elkann, Confindustria e Coldiretti sono per il Sì.
La e-news cristallizza la disarmante semplificazione: “Chi vota SÌ vuole contenere i costi della politica, chi vota NO è contento di quanto spendiamo oggi”. Ma questa è cialtroneria: è come se qualcuno ci proponesse di cambiare la nostra vecchia auto ingolfata con una spider rossa fiammante che perde olio, ha i freni rotti e il carburatore bucato, e alle nostre rimostranze ci dicesse: “Eh ma allora tu sei contento della tua auto”.
Ancora: “Chi vota NO lascia tutto come è oggi. Se non ci credete, leggete il quesito che troverete sulla scheda”, il quale quesito, come tutti sanno, è stato dettato direttamente dal fantasma di Calamandrei alla Boschi, non formulato dal Comitato del Sì. Come se il tizio della spider ci dicesse: “Non mi credi? Leggi cosa c’è scritto sul contratto che ti propongo”. E infatti puntuali come i messaggi della Madonna da Medjugorje arrivano le promesse di mance e regalie, stavolta ai Vigili del Fuoco.
Questa stregoneria elettorale è il piano B della personalizzazione: devono essersi accorti che il meta-messaggio che bastava un No per mandarli a casa era molto efficace.
di Daniela Ranieri, il Fatto Quotidiano 15/9/2016