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 2016  settembre 15 Giovedì calendario

PREVENZIONE, ADEGUATO UN EDIFICIO SU QUATTRO

A distanza di tre anni dalla ripartizione dei fondi statali alle Regioni sono stati completati solo un terzo degli interventi per la messa in sicurezza sismica degli edifici pubblici, e per la metà i lavori non sono ancora partiti.
Ancora peggio per gli edifici privati: gli interventi conclusi sono solo il 25%, quelli almeno avviati sono un altro modesto 3%, mentre per il 60% degli edifici finanziati i proprietari non hanno neppure presentato i progetti.
I numeri sono negativi, senza dubbio, ma sarebbe sbagliato liquidare come un flop il Piano nazionale di prevenzione sismica avviato nel 2010 in base all’articolo 11 della legge post-L’Aquila, la 77/2009. Per la prima volta lo Stato italiano metteva in campo un piano organico per la messa in sicurezza sismica, oltreché per i piani di «microzonazione sismica», affidando alla Protezione civile la fissazione delle regole e la ripartizione dei fondi alle Regioni per annualità, e infine a Regioni e Comuni l’attuazione.
Sul piatto 965 milioni di euro in sette annualità, dal 2010 al 2016, distribuite tra le Regioni in base al rischio sismico, per interventi "light" soprattutto di "rafforzamento locale" o miglioramento sismico, quelli meno costosi ma comunque in grado di salvare vite umane.
Una goccia nel mare, certo, rispetto al fabbisogno: secondo la Protezione civile per la messa in sicurezza sismica servirebbero circa 50 miliardi di euro per gli edifici pubblici e almeno 200 miliardi per quelli privati. Ma comunque un primo passo, un esperimento utile per capire errori e difficoltà, se davvero si vuole fare sul serio con il progetto "Casa Italia" lanciato dal governo.
Le annualità con un minimo di storia, almeno tre anni dall’assegnazione alle Regioni, sono le prime tre (383 milioni), mentre quella del 2013 è stata sbloccata solo nel novembre 2014, e quelle 2014 e 2015 solo quest’anno. Ragioniamo dunque solo sulle prime tre annualità (tabelle a fianco). Il primo nodo è stato il Patto di stabilità delle Regioni, che ha indotto la Campania a sospendere del tutto la propria partecipazione al piano e ha fortemente rallentato l’attuazione in Sicilia, Molise, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Lazio. Il problema sembra superato, ma quello di eliminare vincoli di spesa è un punto importante. Tolta la Campania, sulle prime tre annualità c’erano 204 milioni di euro statali, a cui le Regioni ne hanno aggiunto 48: in tutto 252 milioni, «assegnati dalle Regioni - spiega Mauro Dolce, numero uno dell’antisismica alla Protezione civile - soprattutto a municipi, ospedali, scuole, scegliendo quasi sempre edifici su cui era stata fatta una verifica di sicurezza sismica». Qui emerge l’importanza della diagnosi sismica, finanziata per 70 milioni di euro solo con il Dl 289/2003, e fatta su 70mila edifici («siamo a circa un decimo del totale», spiega Dolce). Su 377 progetti finanziati con le prime tre annualità, solo per 215 i lavori sono stati appaltati, solo per 192 sono partiti e solo in 129 casi sono arrivati alla fine. «Qui ci sono stati - ammette Dolce - i soliti problemi dei lavori pubblici in Italia, i tempi lunghi di progettazione e approvazione, i ricorsi nelle gare, le crisi delle imprese». Il potere di revoca dei fondi del capo della Protezione civile è del tutto teorico, e qui invece andrebbe pensato un meccanismo più stringente: termini per la spesa e sanzioni "graduali".
Problemi ancora più grandi sugli edifici privati. Le Regioni dovevano assegnare una quota dei fondi oscillante tra il 20 e il 40% (quasi tutte hanno scelto il 20), con contributo di 100 euro/mq per gli interventi di rafforzamento locale («circa la metà del costo» spiega Dolce), 150 per il miglioramento («circa un terzo») 200 euro/mq per la demolizione e ricostruzione («circa il 15%»). Le domande sono state abbastanza (29mila, ma su circa 10milioni di unità abitative in zona simsica), solo 2.249 quelli che sono stati finanziati, ma solo in 890 casi i proponenti hanno presentato il progetto, gli altri si sono tirati indietro. «La quota di copertura non è sufficiente» sostiene Diego Zurli, capo dei Lavori pubblici in Umbria, e nessuna certezza c’è (come invece sperava la Protezione civile) sul fatto che si possano utilizzare le detrazioni del 65% sulla quota pagata dai privati. Inoltre quasi sempre i progetti presentati riguardano edifici unifamiliari, mentre la vera sfida per la prevenzione sismica è fare interventi su condomini e "aggregati" nei centri storici. «Impossibile costringere a spendere» ammette Zurli, ma sul tappeto potrebbero essere messi incentivi maggiorati per incapienti, anziani, soggetti deboli.