Massimo Picozzi, Mente&Cervello 10/2016, 14 settembre 2016
CHI HA INCASTRATO ROGER TOUHY. UNA STORIA DI GANGSTER E MALAGIUSTIZIA
Nota come Joliet Prison, il suo nome per esteso è Joliet Correctional Center, il penitenziario reso celebre dal film di John Landis The Blues Brothers, e più tardi dalla serie televisiva Prison Break.
Costruita a una cinquantina di chilometri da Chicago, nel 1858, all’epoca della sua apertura poteva ospitare più di 700 detenuti, il che la rendeva la più grande prigione degli Stati Uniti. Dopo aver accolto fino a 1.300 detenuti, la prigione ha chiuso i battenti nel 2002.
Tra i criminali più famosi che ha ospitato, ci sono stati Nathan Leopold e Richard Loeb, i giovani che nel 1924 rapirono e uccisero il piccolo Bobby Franks con il solo scopo di mettere in scena il delitto perfetto. E John Wayne Gacy, il serial killer che amava travestirsi da pagliaccio; proprio nella Joliet, nel 1994, il pluriassassino fu giustiziato con un’iniezione letale.
Ma c’è un’altra storia che vale la pena ricordare, ed è quella di Roger Touhy.
Criminali grandi e piccoli
Figlio di un poliziotto irlandese emigrato agli inizi del secolo scorso, Roger si rivela presto un ragazzo attratto dall’avventura. Trova prima lavoro come operaio alia Western Union, poi in una società che si occupa di estrazioni minerarie, ma allo scoppio della prima guerra mondiale decide di arruolarsi volontario e parte per l’Europa.
Una volta tornato negli Stati Uniti, non riesce a riadattarsi con facilità. Tutto gli pare grigio e noioso, e allora decide di approfittare della legge Volstead, approvata nel 1919 ed entrata in vigore l’anno successivo. Voluta dal senatore Andrew Volstead, la norma metteva al bando ogni bevanda alcolica, creando i presupposti per la fortuna delle grandi organizzazioni criminali.
A Chicago si mettono presto in luce figure del calibro di Johnny Torrio e Al Capone, ma c’era spazio anche per gente come Roger Touhy. O almeno così pensava l’intraprendente figlio di un immigrato irlandese. In fondo, Roger crede di non avere nulla a che spartire con «Scarface»; lui è un uomo onesto, un buon padre di famiglia che paga le tasse, e quando Anton Cermak viene eletto sindaco di Chicago, decide di dare una mano alla polizia.
Ma nel 1933 succede una strana storia. Un certo Jack Factor, gangster di origine britannica, viene rapito e tenuto in ostaggio per 12 giorni. La moglie sostiene di aver pagato un riscatto di 70.000 dollari e di non aver denunciato il fatto per timore di non rivedere più il marito.
Qualcuno sostiene che tra i rapitori c’è anche Roger Touhy, ma senza prove sono costretti a rilasciarlo, e tutto sembra finire lì.
Roger Touhy ha una grande passione per la pesca. Il 15 giugno del 1933 sta tornando da una vacanza nel Wisconsin; sull’auto, con lui, l’amico Eddie Mc Fadden e due guardie del corpo. Difficile dire cosa sia accaduto, forse un colpo di sonno di chi guidava, sta di fatto che l’auto sbanda e finisce contro un albero.
Nessuno dei passeggeri si fa troppo male, ma il guaio è che arriva la polizia, che scopre nel bagagliaio della vettura un vero e proprio arsenale di armi. Touhy e i suoi compagni vengono trattenuti in cella, e il giorno seguente arriva il capitano Dan Gilbert con un uomo dell’Fbi.
Roger non capisce bene il motivo di tutta quella trafila, e comincia a temere d’essere stato incastrato: in fondo, anche se le sue mani non grondano sangue come quelle di Capone, è pur sempre un fuorilegge. Ma proprio non si aspetta l’accusa di essere responsabile del rapimento di un certo William Hamm, proprietario di una birreria a Saint Paul, in Minnesota.
Hamm stava uscendo per recarsi nel suo negozio quando, all’improvviso, due uomini l’avevano afferrato, gli avevano calato un cappuccio sulla testa per poi gettarlo sui sedili posteriori di un’auto prima di allontanarsi.
Portato in una stanza adibita a prigione, i sequestratori gli avevano fatto firmare una lettera di riscatto, in cui si chiede che Dunne, il socio in affari di Hamm, prepari 100.000 dollari se vuole rivedere vivo l’amico. Dunne informa la polizia e accetta di pagare, seguendo le istruzioni dei rapitori, che gli intimano di gettare il sacco del denaro al bordo della strada per il White Bear Lake.
Alle luci dell’alba, come promesso, William Hamm viene liberato.
A chi per primo lo interroga, racconta di non poter dire nulla dei criminali che l’hanno sequestrato, perché davanti a lui non si erano mai tolti la maschera. Bastano pochi giorni, e qualche confronto in più con i detective, per cambiare idea: degli altri non sa, ma uno dei suoi carcerieri era certo Roger Touhy.
Alla fine del 1933, assolto anche se con forma dubitativa dall’accusa di sequestro a scopo di estorsione, Roger si trova a fare i conti con la storia di Jack Factor.
False testimonianze
Il procuratore di Chicago riprende il fascicolo, e porta nuovamente in aula Touhy.
Anche Factor, questa volta, sostiene di ricordarsi perfettamente del suo rapitore; lo riconosce perché durante il sequestro c’è stato un momento in cui gli hanno tolto il cappuccio che copriva il volto. Anzi, sostiene Factor, Roger si era pure arrabbiato con lui perché faceva resistenza, e lo aveva colpito con un paio di pugni all’addome.
La difesa però decide di passare al contrattacco. Non è che Factor sta inventando tutto, sapendo che sulla sua testa grava un provvedimento di espulsione dagli Stati Uniti? Non è che per caso la Procura ha deciso di garantirgli qualche beneficio in cambio della sua testimonianza? E se la pubblica accusa non ha inteso giocare sporco, che dire di Al Capone e dei suoi? Magari hanno montato tutto per vendicarsi di uno scomodo concorrente.
Gli avvocati di Touhy presentano in aula la testimonianza di un sacerdote che conosce bene Roger, e che dichiara di non credere alla sua colpevolezza.
E poi c’è anche un sergente di polizia che aveva assistito alla denuncia di rapimento di Factor, fatta al distretto appena dopo che il ragazzo era stato liberato; non sembrava proprio che avesse passato giorni e giorni segregato in una cella. Anzi, rammenta il poliziotto, il fotografo gli aveva chiesto di allentare il nodo della cravatta, tanto sembrava impeccabile.
Nonostante questo, la pubblica accusa è intenzionata a far condannare Touhy, e per riuscirci fa salire sul banco dei testimoni due pregiudicati: si tratta di Isaac Costner e Basil Banghart, appena condannati per l’assalto a un furgone portavalori.
E Costner a testimoniare d’aver partecipato al rapimento di Factor, insieme a Roger Touhy, e non conta che Banghart lo accusi di mentire, e che anzi sia stato Factor a pagarli, per inscenare un finto rapimento.
Per Touhy si aprono le porte del carcere, dove trascorrerà più di 25 anni.
Anni rubati
Solo nel 1954 il giudice John Barnes riaprirà il caso, sulla base di nuove rivelazioni.
Tutto era maturato nella cittadina di Saint Paul, che all’epoca del proibizionismo garantiva protezione ai gangster, purché rigassero dritti fino a quando erano ospiti della comunità.
A rapire Hamm era stato Jack Peifer, un suo concorrente in affari; e Harry Sandlovich, il sindaco, aveva assicurato la sua collaborazione in cambio di una parte del riscatto.
Quanto a Factor, il giovane si era inventato tutto, istigato dalla polizia di Chicago per incastrare Roger Touhy.
Sulla base delle nuove testimonianze, il giudice Barnes non non può che ordinare il rilascio del detenuto. Peccato che per un vizio di forma, il tribunale dello stato respinga la decisione, obbligando Touhy a passare altri cinque anni di carcere.
Nel novembre del 1959, Roger Touhy lascia finalmente il penitenziario.
Non ha più alcun contatto con la malavita organizzata, e ha approfittato dell’ultimo periodo dietro le sbarre per raccontare la sua storia.
Il libro, che si intitola The stolen years, anni rubati, ha avuto un buon successo, anche se questo non gli potrà mai restituire quanto ha perduto.
Riesce a godere della libertà per poco più di un mese. Il 16 dicembre qualcuno decide di scaricargli addosso cinque colpi di fucile, e di lasciarlo a morire per strada. Il suo omicidio è tuttora un caso irrisolto.