Paolo Pombeni, Il Sole 24 Ore 14/9/2016, 14 settembre 2016
I NERVI SCOPERTI DELLA POLITICA E IL NODO VERO DELLA STABILITA’
Una politica sull’orlo di una crisi di nervi reagisce in maniera sproporzionata al fatto che l’ambasciatore Usa in Italia ha espresso una valutazione sui possibili risultati del prossimo referendum costituzionale. Siccome siamo un paese conservatore quanto a stereotipi politici si parla di “ingerenza in politica interna”, quasi fossimo ancora ai tempi della guerra fredda. Va bene che sembra ci sia un passato che non passa mai (ricordate Berlusconi che vedeva “comunisti” dappertutto?), ma un po’ più di nervi saldi da parte di chi fa dichiarazioni politiche non guasterebbe.
In tutti i paesi del mondo si fanno osservazioni su quel che succede altrove: si manifestano timori per come andrà a finire nelle elezioni americane, si critica la politica di Putin, si discute sulla tenuta della Merkel o sul declino di Hollande. Si obietterà magari che questi rilievi non vengono fatti direttamente da ambasciatori, ma in fondo oggi un ambasciatore non è un personaggio a cui si possa attribuire davvero il ruolo di portavoce del suo governo per cui i suoi moniti preludono a chissà che tipo di interventi. Specialmente in questo caso si tratta dell’esternazione della valutazione su una congiuntura politica, parere che non ha più peso di quella di un qualsiasi osservatore di una certa rilevanza.
Non sapremmo come qualcuno possa immaginare che un numero consistente di cittadini italiani orienti le proprie valutazioni in base alla accettazione acritica di un monito che proviene dall’ambasciata di Via Veneto. Non è successo neppure quando i tempi erano più favorevoli a rendere di peso questo tipo di interventi.
Del resto l’ambasciatore americano non ha fatto che ripetere una valutazione che gode di molte condivisioni e che, fra il resto, si basa su una constatazione difficilmente oppugnabile: nel caso di sconfitta pesante dell’attuale governo in carica non si vede quale possa essere la coalizione che appoggerà il suo futuro sostituto vista la eterogeneità di quella che sostiene la bocciatura della riforma costituzionale. Se davvero queste forze vogliono mettere in crisi valutazioni di quel tipo rendano esplicito a che soluzione politica pensano dopo che il governo Renzi sarà stato da loro costretto alle dimissioni. Se la soluzione che hanno in mente è plausibile e tiene, gli argomenti del tipo di quelli avanzati dall’ambasciatore americano perderanno automaticamente di peso.
Inutile poi scandalizzarsi perché un’agenzia di rating ha tratto conseguenze per l’economia dall’esito di una prova elettorale. Non è stato fatto per la Brexit, per il voto austriaco, per la tenuta o meno dei governi francese o tedesco? Ovviamente queste interpretazioni non sono l’oracolo di Delfi, sono esercizi di previsione discutibili come tutte le cose del genere. Ma se non fanno questo lavoro a cosa possono servire le agenzie di rating?
Forse sarebbe il caso che la nostra classe politica si dimostrasse in questi casi un po’ più matura e salda di nervi. Proprio così minerebbe la credibilità di quelle preoccupazioni contro cui si scaglia. Altrimenti non farà che consolidarle.