Elisa Manacorda, D di Repubblica 10/9/2016, 10 settembre 2016
NELLA SILICON VALLEY UN’AZIENDA CHIEDE AI DIPENDENTI DI SALTARE I PASTI. FOLLIA O STIMOLO ALLA CREATIVITÀ? Per rilassarsi tra un algoritmo e l’altro, i dipendenti di Google hanno ottenuto una piscina da surf, con tanto di onde finte
NELLA SILICON VALLEY UN’AZIENDA CHIEDE AI DIPENDENTI DI SALTARE I PASTI. FOLLIA O STIMOLO ALLA CREATIVITÀ? Per rilassarsi tra un algoritmo e l’altro, i dipendenti di Google hanno ottenuto una piscina da surf, con tanto di onde finte. HomeAway, il sito internazionale di scambio casa, concede un breve pisolino sulle amache tese tra le scrivanie. Più sportivamente, la Technogym di Cesena offre campi da basket e calcetto per restare sempre in forma. Ma fa bene anche un intermezzo teatrale che strappi due risate, come fanno alla Peppercomm di New York, oppure portarsi da casa l’animale da compagnia: ascoltare le fusa anziché il ticchettio dei tasti del collega è un ottimo incentivo alla produttività. Insomma, per far rendere i dipendenti al meglio le iniziative non si contano, e ciascuna azienda sceglie in base all’estro dell’amministratore delegato. Alcune soluzioni, a dire il vero, sono più bizzarre di altre. Nella Silicon Valley, là dove si concentra il maggior numero di giovani cervelli informatici del mondo occidentale, sta prendendo piede un fenomeno particolare, che piace molto anche alle star hollywoodiane. Parliamo del digiuno intermittente: una sorta di Ramadan aziendale, nel quale si sollecitano gli impiegati a saltare i pasti con regolarità. Perché, si dice, questo fa aumentare le connessioni cerebrali. Dunque fa diventare più svegli, più pronti, più creativi. Con grande beneficio per il business. Accade per esempio in una start up californiana che, ironia della sorte, produce sostanze stimolanti: è la Nootrobox di San Francisco, piccola azienda (otto persone in tutto) nata nel 2014 su impulso di Geoffrey Woo e Michael Brandt, due cervelloni dell’Università di Stanford transitati per Google e poi diventati imprenditori nel campo delle smart drug. Così, mentre ai clienti vendono prodotti a base di Bacopa monniceri e alpha glutarilfosfatidilcolina per migliorare la concentrazione e la memoria, ai dipendenti chiedono, per lo stesso motivo, di astenersi dal cibo dal lunedì sera fino al mercoledì mattina. Durante il digiuno, dice Woo, ci si sente po’ come i monaci in ritiro spirituale: la mente si sconnette dal corpo, non ha più legami, e tutto intorno è più chiaro, calmo, produttivo. Sulle prime non è stato facile, precisa: i ragazzi si distraevano, si alzavano in continuazione per bere acqua, tè o caffè. Solo alla terza settimana di digiuno intermittente, finalmente, hanno smesso di pensare al cibo e si sono goduti il momento di purificazione. Per condividere questa esperienza all’esterno, Woo ha creato un gruppo di altre 700 persone (WeFast) che oggi si scambiano storie, esperienze, commenti e opinioni sulla dieta che, oltre alle casse dell’azienda, farebbe bene anche ai neuroni. In effetti, alla base del ragionamento degli startupper californiani ci sono evidenze scientifiche di tutto rispetto. Tra le principali ci sono quelle di un ricercatore italiano, Luigi Fontana, che si divide tra l’Università di Brescia e la Washington University di St. Louis, negli Usa. Fontana ha lavorato con Mark Matteson, neuroscienziato al National Institute of Aging di Baltimora, il principale centro di ricerca americano dedicato all’invecchiamento. E insieme hanno studiato il digiuno prima sui topi, ora sugli umani, approfondendo gli effetti sul cervello. Gli animali per cui si adotta la strategia dell’alternanza (un giorno con cibo, un giorno senza), dice in sostanza Matteson, hanno neuroni che resistono meglio ai danni associati alle malattie degenerative come Parkinson e Alzheimer, e anche all’ictus. Più che di digiuno, avverte però Fontana, bisogna parlare di restrizione calorica (ovvero tagliare l’apporto di energia del 30 per cento rispetto al normale) o ancora meglio di tinte restricted feeding. Che significa, in sostanza, concentrare l’alimentazione nell’arco delle dieci ore diurne tenendo a riposo l’organismo nelle restanti 14, secondo il vecchio detto “colazione da re, pranzo da principe, cena da povero”. Dunque: mangiare tanto al mattino, riducendo progressivamente l’apporto calorico durante la giornata. In questo modo, dice Fontana, sono stati osservati effetti positivi sulle sinapsi e quindi sul consolidamento della memoria. Di qui a dire che con il digiuno si produce di più ce ne corre. E tuttavia la pratica di saltare i pasti per periodi più o meno lunghi, a scopo dimagrante, purificatore o antiage, fa breccia in tanti: così era inevitabile che qualcuno decidesse di farne un business. Ecco allora i soggiorni in spa che offrono a caro prezzo settimane senza cibo, o le associazioni che propongono la pratica di gruppo a scopo terapeutico in resort a cinque stelle. «Senza dubbio mangiare poco e bene è un buon punto di partenza per vivere meglio e più a lungo», conferma Fontana, che ora è in attesa di analizzare i dati provenienti dal primo grande studio sugli effetti della restrizione calorica (500 calorie di verdura cotta o cruda due o tre volte a settimana) su persone sane e non obese. Che poi si guadagni, oltre che una lunga vecchiaia, anche un cervello nuovo di zecca (pronto per essere messo al servizio di un’azienda?), è tutto da dimostrare. Eppure, insiste Woo, alla Nootrobox il miglioramento è evidente. Chiedendo ai dipendenti come si sentissero alla terza settimana di digiuno e verificando il loro rendimento con software e app, il Ceo ha scoperto che il martedì, dunque proprio il giorno dell’astinenza collettiva dal cibo, gli impiegati sono più produttivi. «Non c’è la pesantezza della digestione, non si sente la necessità della pennichella. Siamo tutti più svegli e all’erta», dicono i giovani dell’azienda. A migliorare I umore di tutti, poi, è anche l’idea di condividere con i colleghi un progetto legato alla salute e al benessere, creando un legame che va al di là di quello lavorativo. Certo, nessuno ha il coraggio di controllare quello che succede a casa o nei bagni dell’azienda nei giorni di astinenza obbligatoria. Ma fino a oggi, assicura Woo, non sono state trovate carte di merendine nascoste nei cestini della spazzatura.