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 2016  settembre 10 Sabato calendario

«Sì, SONO ATTORE E SCULTORE. DOVEVO FARE L’AVVOCATO, MA POI UN VICINO DI CASA...» [INTERVISTA A VINCENZO AMATO] In America multitasking è chi sa fare più cose nello stesso momento

«Sì, SONO ATTORE E SCULTORE. DOVEVO FARE L’AVVOCATO, MA POI UN VICINO DI CASA...» [INTERVISTA A VINCENZO AMATO] In America multitasking è chi sa fare più cose nello stesso momento. Uno con talenti eclettici è definito Renaissance Man, uomo del Rinascimento». Vincenzo Amato, che vive a New York dal 1993, ci tiene a precisarlo. Perché lui è l’incarnazione del multitasking (pardon, del Renaissance Man): scultore, attore, autore di spettacoli di marionette. Ma non è l’unico anglicismo che lo infastidisce. L’altro è: fiction. «Quando sono andato via dall’Italia ancora si chiamavano sceneggiati o serie... Non ho mai capito chi s’è inventato ’sto nome, fiction: dà l’idea di qualcosa di seconda categoria. Non lo è: negli Stati Uniti, per esempio, oggi la tv è molto meglio scritta del cinema. E, comunque, non sono snob». Infatti, pur venendo da Respiro e Nuovomondo di Emanuele Crialese (e dal megaset di Unbroken, Angelina Jolie alla regia), non ha avuto dubbi ad accettare un ruolo in Catturandi Nel nome del padre (sei puntate su Rai Uno dal 12 settembre), sulla squadra specializzata in mafiosi imprendibili». Non l’ha infastidita la parte di un boss?
 «Come siciliano onesto mi dispiace impersonare un criminale affascinante, però è soltanto uno spettacolo, per me è un gioco. Io giro film come un mercenario: do tutto il cuore mentre lavoro ma la considero un’avventura. Poi me ne riparto, torno nel mio studio di scultore. Ho visto soffrire troppo mia madre, che portava avanti ogni cosa come fosse una crociata. Era una cantante folk e regista di teatro. Si chiama Muzzi Loffredo, ha pure diretto un film nell’83: Occhio nero occhio biondo occhio felino, passato in concorso a Venezia». L’ha contagiata. «Sì, però non mi ha mai spinto. Anzi, al contrario: non voleva che facessi l’artista. Rischioso, aleatorio. Certo, lei era una donna e negli anni Settanta era più difficile, da sola...». La recitazione è un hobby, dunque. «No. L’ho sempre presa come una cosa seria: ho iniziato con Crialese nel 1997, la persona che scende meno a compromessi fra quelle che ho conosciuto. Prima di girare Nuovomondo, mi mandò per due mesi a vivere con un pastore in una stalla... In fondo in fondo, non sono occupazioni tanto distanti tipo essere chirurgo e cantante, come Jannacci: lui era molto più bravo di me. C’è una somiglianza tra scolpire e recitare...». Quale? «Invece di costruire un pupazzo, mi ci metto io. Te la racconto con il mio corpo quella storia lì, invece che con una statua. In entrambi i casi devi scegliere il linguaggio, lo stile, la verità. La differenza è la giornata-tipo. La mattina esco di casa a Brooklyn e vengo nella mia officina a Manhattan, nel lower East Side: sto in pace, amo la solitudine. Come attore, sul set passo un paio di mesi con un circo divertente attorno, dando sfogo al mio lato più socievole. Quello che sin da bambino a scuola mi spingeva a partecipare alle recite e a imitare i professori». Quale delle due passioni precede l’altra?
 «Ho iniziato come artista, vendevo i mobili (le sculture sono arrivare dopo). Sono diventato attore a trent’anni, quando ho conosciuto Crialese, mio vicino di casa qua a New York. Mi ha insegnato tutto, io sono laureato in Scienze politiche». In Scienze politiche? «Avevo paura a immaginarmi artista, diretto Gomorra. Dopo, sono passato a preferire il ferro al legno». 
Perché un materiale così impegnativo? «È successo una sera, a Roma, quando ho visto due molle negli scavi per la metropolitana... Mi hanno ispirato. Amo l’odore, è una materia che risponde bene alla mia energia: duro, ma a me pare pongo». Ultima creazione? «Dieci animali e dieci cuccioli: un anno e mezzo di lavoro. Ho sempre vissuto di questo, esponendo alla galleria Earl McGrath. Cinema e tv sono una cosa in più». Ultimi impegni sullo schermo? «Due, televisivi, negli Stati Uniti. Nella serie Blacklist sono il nemico di James Spader; in Madam Secretary, con téa leoni, impersono l’ambasciatore italiano a Washington. Non me l’aspettavo». Non se l’aspettava perché le danno spesso il ruolo del cattivo?
 «Sì. Eppure di base sono un attore comico-romantico... In America ahimè mi vedono così, forse per i miei colori». A tornare in Italia ci pensa? «Quando sarò anziano. Mia moglie Alexandra, che insegna cultura cubana a Princeton, è americana». Altri sogni? «Cantare. Fra le forme espressive, è la più bella: ti offri completamente. Magari fra qualche anno mi lancio».