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 2016  settembre 13 Martedì calendario

BRIDGET JONES, UNA MILF DA 500 MILIONI DI DOLLARI

Frustrata, sovrappeso, dipendente da fumo e alcool, incline alle gaffe, incerta su cosa mangiare a pranzo proprio come sull’uomo con cui flirtare: chiunque riconoscerebbe in queste poche righe l’essenza di Bridget Jones, la protagonista dell’omonimo Diario, commedia inglese del 2001 diretta da Sharon Maguire e basata sul romanzo della scrittrice e sceneggiatrice Helen Fielding (un best-seller da dieci milioni di copie). Bridget Jones – per tutti Renée Zellweger, scelta invece per caso in un casting con Kate Winslet e Helena Bonham Carter – ha significato per le generazioni di venti-trentenni di allora lo specchio in cui riconoscersi: non solo in un corpo concreto, e quindi anche difettoso, ma anche nella perenne incertezza tra singletudine e fidanzamento, e nell’indecisione tra l’uomo sexy ma libertino e infedele (Hugh Grant) e quello schivo e romantico ma devoto (Colin Firth).
Facile capire perché il film allora fu un successo internazionale: Bridget rappresentava un’antieroina, e non solo femminista, perché in fondo adatta a uomini e donne, di cui esprimeva debolezze e paure. “Come è stato possibile tirar fuori mezzo miliardo di dollari da una donna?”, si è chiesto il Guardian in questi giorni, conteggiando gli incassi dei film di Bridget Jones. E la risposta è stata: “Prendi un libro che dà vita e forma a qualcosa che milioni di giovani donne sentono ma a cui non riescono a dare parola, traici un film la cui attrice protagonista viene bersagliata per anni di domande sul suo peso, infine opponiti a qualunque tentativo di far crescere questo Peter Pan femminile”. Ed è proprio questo il punto: davvero l’icona Bridget può resistere al tempo senza cambiare, così come il corpo della sua protagonista, accusata tra l’altro di essersi sottoposta a un pesante lifting (che lei ha negato in un duro articolo sull’Huffington Post, criticando la “repellente suggestione per la quale il valore di una persona e il suo contributo professionale sono diminuiti se essa cede alla pressione sociale circa l’apparenza”)?
Perché il 16 settembre, cioè 15 anni dopo il primo film, esce l’atteso Bridget Jones’s Baby (prenotato in un cinema inglese su tre), dove accanto alla Zellweger e a Colin Firth è stato ingaggiato Patrick Dempsey, il Dr. Derek Shepherd nella serie tv Grey’s Anatomy. Se c’è un potenziale bambino di mezzo sembrerebbe che Bridget – nel frattempo diventata una Milf, anzi una Silf, single di mezza età senza figli – abbia finalmente messo la testa, o meglio il cuore, a posto, ma così non è perché il clou della pellicola sta proprio nell’incertezza circa la paternità del bambino. Forse di Mark (Colin), forse di Jack (Dempsey). “Bridget è più matura e ha più esperienza di vita”, ha dichiarato Zellweger a El Paìs, “ma le sue insicurezze non sono scomparse né mai lo saranno. Una combinazione perfetta di imperfezioni: è questo che mi piace di Bridget. Se poi ha accantonato il tempo in cui commetteva gli stessi errori, ha inaugurato quello in cui ne commette di nuovi”.
Ed è questo che il pubblico, o almeno buona parte di esso, si aspetta, proprio come l’eterna indecisione tra l’uomo affabile e divertente e quello protettivo ma noioso. Lo stesso, identico copione, su cui era tra l’altro imperniato il secondo film del 2004 Bridget Jones: The Edge of Reason (Bridget Jones: l’Età della Ragione) maldestramente tradotto con Che pasticcio, Bridget Jones! E lo stesso sul quale si impernierà il prossimo film basato sul libro Bridget Jones.
Un amore di ragazzo, scritto sempre da Helen Fielding (anche se i diritti non sono stati ancora venduti). Qui, apparentemente, tutto è cambiato: Bridget ha cinquant’anni, è addirittura vedova (ipotizziamo che l’autrice sapesse che Colin Firth non avrebbe retto un quarto film), ha due figli e i suoi amanti di un tempo hanno fatto una pessima fine. Ci sarebbero gli ingredienti perché il personaggio cambi, acquisti una certa saggezza, faccia un viaggio in India, smetta soprattutto di essere eternamente un’impacciata single. Neanche per nulla: Bridget chatta sul web e si ritrova un amore ragazzino, il che andrebbe benissimo se sullo sfondo non ci fosse di nuovo il suo solito opposto stabile e pacato; inoltre resta comunque affetta da singletudine, imbranataggine e insicurezza croniche, perché altrimenti non sarebbe stata più Bridget.
Appunto: come James Bond, scrive il Guardian, Bridget Jones è destinata a restare congelata nel tempo, sempre uguale a se stessa, aspettando di essere riscoperta dalle nuove generazioni di giovani donne ansiose e in conflitto. Ma quelle che sono cresciute con lei, e nel frattempo sono realmente cresciute, non possono che lasciarla andare. Anche l’umanità dell’imperfezione diventa poco umana se non muta mai, così come c’è un tempo nella vita per vivere un triangolo amoroso e uno per esperienze amorose diverse. Ma questo l’industria cinematografica, che vuole solo replicare un prodotto di successo per massimizzare i guadagni – senza innovare né rischiare – capirlo non può.
di Elisabetta Ambrosi, il Fatto Quotidiano 13/9/2016