di Anna Messia e Andrea Pira, MilanoFinanza 10/9/2016, 10 settembre 2016
QUI I CONTI NON TORNANO
L’anno scorso le privatizzazioni sono state stato un successo. Quest’anno, salvo assi nella manica del governo, rischiano invece il grande flop. Il 2106, doveva essere quello della svolta per il debito pubblico italiano. II ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, aveva continuato a sostenerlo ancora a maggio scorso, spiegando che la mancata riduzione registrata a metà anno era stata determinata dal rallentamento dell’inflazione nel Paese. Il rapporto debito/pil aveva risentito in pratica della minore crescita del prodotto interno lordo nominale, dovuta proprio al basso livello dei prezzi. Ma il debito «si è comunque fermato e ora comincerà a scendere rapidamente», avevano assicurato dal ministero dell’Economia. Poi però a luglio è arrivata una nuova doccia fredda, con il report di Bankitalia che aveva comunicato un ennesimo record del debito pubblico italiano: 2.248,8 miliardi a giugno, sette più del mese precedente. Anche questa volta da Via XX Settembre non avevano tardato a rasserenare gli animi spiegando che, benché il valore assoluto continui a salire, il rapporto tra debito e pil si è stabilizzato, e il governo sta lavorando per farlo scendere grazie, anche ai proventi delle privatizzazione chiamate a giocare un ruolo determinante.
Peccato che anche su quest’ultimo fronte i conti non tornino affatto e il recente rallentamento dell’Ipo di Poste Italiane, che era stata programmata per questo autunno, rischia a questo punto di farli saltare, definitivamente, creando un buco di quasi 7 miliardi. Finora le uniche operazioni chiuse con successo nel 2016 sono stati quelle della vendita, a luglio scorso, del 46% di Enav, seguita a breve distanza dalla cessione del 100% di Grandi Stazioni Retail, passata di mano a giugno. Dalla privatizzazione della quota dell’ente di controllo dei voli il ministero dell’Economia ha portato a caso 834 milioni. Mentre dalla dismissione della società che ha in concessione lo sfruttamento economico delle aree commerciali degli spazi pubblicitari nelle 14 principali stazioni del Paese (rilevata dal gruppo Borletti e dal fondo francese Antin) sono stati ottenuti 953 milioni. Di questi però solo il 55% fanno capo alle Ferrovie dello Stato. Il restante 45% è andato a Eurostazioni, partecipata dal gruppo Caltagirone (tramite Vianini Lavori), Pirelli, Sintonia e dalle ferrovie francesi Sncf. In pratica l’incasso per il ministero dell’Economia è stato di circa 524 milioni che, aggiunti agli introiti Enav, porta l’attuale conto complessivo delle privatizzazioni a meno di 1,4 miliardi.
Una cifra decisamente lontana dall’incasso degli 8 miliardi indicati come obiettivo 2016 nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza della scorsa primavera. «Il governo sta dando attuazione al programma di privatizzazioni di società partecipate e proprietà immobiliari, con l’obiettivo di ridurre il debito pubblico e aprire il capitale delle società al mercato», si legge nel documento. Il traguardo indicato è pari a un taglio del debito dello 0,5% del pil nel triennio 2016, 2017, 2018, che scenderà poi allo 0,3% nel 2019. Percentuale che per quest’anno corrisponderebbe appunto a una riduzione del debito di circa 8 miliardi, da reperire appunto dalle privatizzazioni e da dismissioni e valorizzazioni di immobili pubblici, che potranno però solo arrotondare il conto. Già oggi, dando per riuscita l’operazione Poste, l’ammanco sarebbe di circa 5 miliardi ma l’eventuale slittamento di questa operazione potrebbe scombussolare del tutto i programmi dell’esecutivo.
Pure lo scorso anno il gruppo guidato da Francesco Caio aveva salvato il conto delle privatizzazioni previste dal governo. Dalla quotazione del 34,7% del capitale di Poste Italiane, avvenuta a ottobre 2015, l’esecutivo guidato da Matteo Renzi aveva incassato, greenshoe compresa, circa 3,1 miliardi. Poco meno della metà dei 6,9 miliardi complessivi ottenuti l’anno scorso grazie anche alla cessione del 5,74% di Enel (che ha fruttato un introito di 2,2 miliardi), al rimborso dei Monti Bond (1,1 miliardi) e al maxi dividendo straordinario da 200 milioni staccato dall’Enav per esubero di capitale. L’anno scorso, insomma, il governo italiano era riuscito a rispettare gli impegni presi. Quest’anno le nubi sembrano invece addensarsi. La privatizzazione delle Ferrovie è slittata definitivamente all’anno prossimo. In borsa potrà andare fino al 40% dell’azienda. Ma ancora si discute se il gruppo sarà privatizzato nella sua interezza oppure se alcune società, come ad esempio Rete ferroviaria (Rfi) rete, siano destinate a rimanere fuori. L’amministratore delegato, Renato Mazzoncini ha spiegato che il piano industriale che sarà presentato al mercato il 28 settembre conterrà anche alcune ipotesi sull’ipo e ha al contempo smorzato le ipotesi di possibili scorpori e in mezzo c’è il progetto di aggregazione con Anas. Insomma il quadro è ancora incerto e l’operazione non sarà pronta prima di giugno dell’anno prossimo. Ma Ferrovie dello Stato non è il solo fascicolo ancora da chiudere. Anche sulla cessione di un’ulteriore 30% del capitale di Poste Italiane, che secondo quando indicato da Padoan al Parlamento dovrebbe fruttare circa 2 miliardi, i nodi da sciogliere restano ancora molti, mentre il tempo a disposizione comincia a scarseggiare. I cantieri per l’ipo2 stanno rallentando e a pesare sembrano essere in particolare due fattori. Da una parte l’operazione di aumento di capitale di Mps, il cui eventuale fallimento si ripercuoterebbe a cascata sul tutto il sistema bancario italiano, ma probabilmente anche sulle Poste Italiane che negli ultimi anni hanno continuato ad incrementare il peso dei servizi finanziari e della gestione del risparmio. Ma non solo. Subito dopo si presenterebbe anche l’incognita referendum atteso a fine anno: se prevalesse il voto contrario alle riforme istituzionali sarebbe decisamente più difficile trovare investitori pronti a rischiare in uno scenario politico più incerto. La scelta sull’opportunità di cedere proprio ora un altro pezzo delle Poste Italiane appare insomma decisamente insidiosa, e va però presa in tempi rapidi per non sforare i tempi tecnici dell’operazione (a novembre il bilancio dei nove mesi non sarebbe più valido). In più ulteriori salvagenti, come la cessione di nuove quote di Eni, Enel o Terna sono state per il momento escluse dallo stesso Renzi.
A mettere pressione al governo è anche l’Unione europea. Le rassicurazioni di Padoan e di via XX settembre non cancellano l’opinione dei tecnici di Bruxelles e di altri organismi internazionali che prevedono l’inizio della fase discendente del debito soltanto dal prossimo anno. Nelle raccomandazioni specifiche approvate a luglio dal Consiglio europeo l’Italia è stata esortata ad «attuare il vasto programma di privatizzazioni presentato». Al Paese è stata riconosciuto il successo del 2015 nel portare a casa il risultato, ma gli obiettivi per il periodo 2016-2018 e per il 2019 sono considerati molto ambiziosi. Parole identiche erano state usate dall’Ufficio parlamentare di bilancio ad aprile. Le perplessità nascono tra l’altro dai «ritardi subiti da alcuni piani di privatizzazione», ha detto la Ue. Intanto a novembre ci sarà la verifica comunitaria sull’andamento del debito pubblico. All’Italia è imputato di non aver fatto progressi sufficienti in osservanza alla regola del debito, ma le sono comunque state riconosciute delle attenuanti. Il nuovo giudizio potrebbe non discostarsi troppo da quello dei mesi scorsi, minacciando però l’apertura di una procedura. Il clima di maggiore apertura scatenato dalla Brexit può potrebbe giocare a favore dell’Italia. E i precedenti dell’annullamento delle multe a Spagna e Portogallo, che pure non avevano rispettato gli impegni di bilancio per 2013-2015 sono di buon auspicio per il governo Renzi.
di Anna Messia e Andrea Pira, MilanoFinanza 10/9/2016