di Stefano Carrara, MilanoFinanza 10/9/2016, 10 settembre 2016
IL BELLO DEL NO BANK
Si dice comunemente che il sistema finanziario delle imprese italiane è bancocentrico: gli istituti di credito rappresentano il prevalente (o unico) canale di finanziamento per le imprese e (per il 95%) in particolar modo per le pmi. Ma ogni regola ha una sua eccezione: esistono infatti diverse imprese finanziariamente indipendenti che riescono a generare le risorse necessarie al proprio business, senza far ricorso al credito bancario. MF-Milano Finanza, avvalendosi della collaborazione di Leanus, società di business information all’avanguardia nei sistemi di analisi di bilancio, le ha analizzate tracciandone il profilo e ricercandone i tratti comuni. Il campione è stato selezionato partendo dalla popolazione di circa 30mila imprese che hanno ricavi maggiori di 10 milioni di euro, filtrati selezionando quelle con ricavi compresi tra 5 e 50 milioni, indebitamento finanziario da bilancio pari a zero e un saldo pari a zero della voce dei conti d’ordine denominata Leasing e garanzie. Le imprese così selezionate sono risultate pari a 1.350, e generano complessivamente 25 miliardi di ricavi, cresciuti del 6% nell’esercizio 2014. Quasi la metà ha sede in Lombardia (576); seguono Lazio, Veneto ed Emilia Romagna, ognuna delle quali ospita poco meno del 10% delle imprese del campione.
Quali sono le caratteristiche comuni a queste imprese No Bank, che consentono loro di fare a meno delle banche? Eccone alcuni.
1) La redditività del business. Il primo elemento ricercato è la redditività del business delle società che riescono a fare a meno del credito bancario. L’analisi si è incentrata sul mol, o margine operativo lordo, ma in aggregato del campione è risultato inferiore al 7% del fatturato, quindi medio-basso, e la sua variabilità, misurata dallo scarto quadratico medio, è elevata. Quindi la marginalità operativa delle imprese No Bank non è omogenea, come peraltro accade per il reddito netto: le imprese gestiscono business con redditività molto diverse tra di loro, in parecchi casi basse e in alcuni negative. La loro capacità di operare senza far ricorso al debito va quindi ricercata altrove, non nella marginalità del business, che è molto variabile ed eterogenea.
2) La struttura debitoria del campione. Il secondo elemento ha riguardato l’analisi della struttura patrimoniale. Pur non avendo finanziamenti di natura bancaria, le imprese del campione hanno debiti di altro tipo legati al business. Fornitori, fisco e altre poste debitorie non finanziarie ammontano a quasi 12 miliardi di euro, circa il 50% dei ricavi totali, livello non certo ottimale. Ciò nonostante la valutazione di affidabilità complessiva delle imprese No Bank, misurata con il Leanus Score (score proprietario che attribuisce un profilo di rischio per ciascuno dei periodi contabili) è buona.
Ma come fanno imprese con un livello di indebitamento comunque rilevante a svolgere la propria attività senza ricorso a finanziatori esterni e mantenendo anche un buon credit scoring?
3) Il capitale circolante. Per rispondere a questa domanda sono stati analizzati i fabbisogni finanziari derivanti dagli impieghi aggregati delle imprese e in particolare quelli derivanti dalle immobilizzazioni e dalle dinamiche del capitale circolante, per verificare se una sua corretta gestione fosse un elemento comune delle imprese No Bank.
Analizzando la struttura degli impieghi colpiscono tre aspetti. Il primo è il peso rilevante delle immobilizzazioni finanziarie, pari alla metà dell’attivo fisso netto. Scavando in profondità si scopre che ciò è dovuto in particolare a una sola delle imprese del campione che, pur avendo ricavi compresi tra 5 e 50 milioni, presenta immobilizzazioni finanziarie pari a 1,5 miliardi. Il secondo aspetto è il livello del capitale circolante caratteristico del campione, che riflette le dinamiche legate a clienti, fornitori e rimanenze, e che è circa 4 miliardi con crediti pari a 6 miliardi, un livello ottimale a fronte dei 25 miliardi di ricavi. Questa struttura riflette un buon equilibrio nella gestione operativa e conferma che il business del campione genera un fabbisogno finanziario basso. Ciò è confermato anche nel cosiddetto ciclo del capitale circolante, misurato con i tempi di incasso dei crediti, pagamento dei debiti e rotazione delle rimanenze. I fornitori coprono infatti quasi per intero il fabbisogno finanziario dei crediti che il campione deve incassare dai clienti.
Il terzo aspetto è che il capitale circolante non caratteristico è negativo! Considerando che in questa posta sono stati riclassificati tutti i crediti e debiti che non riguardano direttamente clienti e fornitori, come per esempio quelli fiscali o previdenziali, colpisce che la posta di bilancio Altri debiti abbia un valore quasi doppio rispetto alla voce Altri crediti, portando il capitale circolante non caratteristico a quasi -3 miliardi di euro. Valore che, una volta sommato al circolante caratteristico, genera un fabbisogno finanziario a breve di circa 1 miliardo di euro.
In altri termini, il campione ha una struttura di capitale circolante che consente di generare 25 miliardi di ricavi con un investimento a breve di appena 1 miliardo.
Per correttezza metodologica andrebbe eseguito un ulteriore approfondimento sulla composizione delle poste del capitale circolante non caratteristico e verificare in che misura la voce Altri debiti è composta da forme di finanziamento diverse da leasing o debiti verso banche, quali ad esempio emissioni obbligazionarie (es. minibond) che le imprese usano per finanziarsi in modo alternativo. Rimane il fatto che gli Impieghi del campione hanno un capitale circolante stabile che assorbe poche risorse finanziarie. A riprova di ciò, sono state calcolate quante imprese del campione riescono a incassare i crediti verso clienti in meno di 90 giorni, tempo da considerarsi ottimo in Italia, e a far ruotare per intero le rimanenze in meno di 120 giorni. Le imprese con queste caratteristiche sono 620, circa la metà del campione, mentre sono ben 840 quelle che hanno un ciclo del capitale circolante inferiore a 90 giorni. Si conferma dunque che uno dei tratti comuni a molte imprese No Bank è proprio la capacità di ottimizzare il circolante, vera ragione grazie alla quale queste riescono a condurre il proprio business senza il supporto delle banche.
4) Il settore di appartenza. Le imprese che lavorano senza banche sono riconducibili a uno o più settori particolari? Sono stati identificati i settori che tipicamente consentono alle imprese di strutturare il proprio capitale circolante in modo snello e quindi di fare a meno del debito bancario.
Circa 500 imprese, oltre un terzo del totale, non producono ma svolgono attività commerciale sia B2B che B2C. In alcuni casi si tratta di attività di e-commerce realizzate tramite piattaforme e modelli di business innovativi. Per questo tipo di imprese, che non hanno attività di produzione, è più facile limitare l’impatto finanziario del capitale circolante. Tuttavia bisogna considerare che, pur trattandosi di realtà commerciali, sono esposte al potere contrattuale dei fornitori e non hanno i vantaggi competitivi strutturali tipici delle grandi piattaforme distributive (come Esselunga) o di eCommerce (Amazon). Alla luce di queste considerazioni viene da chiedersi come facciano queste 500 imprese a ottimizzare l’impatto finanziario del capitale circolante.
I due terzi delle imprese restanti hanno un profilo produttivo e manifatturiero senza una chiara prevalenza di un settore sugli altri. L’alimentare e la fabbricazione di macchinari prevalgono, ma ciò avviene, come noto, anche a livello nazionale.
Conclusioni. Esiste allora una ricetta comune per le imprese No Bank? Ecco i punti principali.
1) Il 5% delle prime 30 mila imprese italiane opera senza far ricorso alle banche;
2) I margini operativi di queste imprese, misurati con il mol percentuale, sono molto diversi tra loro, spesso moderati e bassi;
3) Tra le imprese manifatturiere del campione non prevalgono settori specifici ma viene riflessa la distribuzione settoriale a livello nazionale;
4) Il 33% circa delle imprese svolge un’attività commerciale o di distribuzione autofinanziandosi;
5) Il capitale circolante netto delle imprese del campione è 25 volte inferiore rispetto ai loro ricavi complessivi;
6) Oltre il 60% delle imprese ha un ciclo del capitale circolante inferiore a 90 giorni, mentre oltre 600 imprese incassano i propri crediti in meno di 90 giorni, tempistica da considerare ottima per l’Italia. La capacità di mantenere il capitale circolante netto contenuto rispetto ai ricavi generati unitamente a tempi di incasso brevi sembra essere il fattore che permette alle imprese di fare a meno del finanziamento bancario.
Ma cosa permette di gestire il capitale circolante in maniera così efficiente? Dai dati emersi e dalle esperienze fatte nel corso degli anni, la risposta va cercata non tanto negli elementi esterni, quali il settore o il mercato, ma nei fattori interni all’azienda, come per esempio la qualità del management e dell’imprenditore, l’organizzazione aziendale, l’attenzione verso le dinamiche legate ad incassi e pagamenti e il presidio della tesoreria aziendale e del capitale circolante.
di Stefano Carrara, MilanoFinanza 10/9/2016