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 2016  settembre 10 Sabato calendario

LA “FRODE DEL SECOLO”: MAXI CONDANNA AI VERTICI MENARINI

Oltre un miliardo confiscato sui conti esteri della famiglia Aleotti. I signori della Menarini, primo gruppo farmaceutico italiano. La presidente, Lucia Aleotti, condannata a 10 anni e mezzo per frode fiscale e corruzione. Il fratello Giovanni, vicepresidente, condannato a 7 anni e mezzo per frode fiscale. Finisce così il processo di primo grado per una delle frodi fiscali più colossali ipotizzate in Italia: l’accusa parla di oltre mezzo miliardo e di 1,2 miliardi che, insieme con il frutto di altri illeciti, sarebbero stati accumulati all’estero. Con un danno per il Sistema Sanitario di 860 milioni.
E pensare che la famiglia Aleotti fino a ieri era una delle dinastie più potenti e influenti d’Italia. Lucia Aleotti è uno dei pochissimi industriali che hanno accompagnato il premier Matteo Renzi nella prima spedizione da Angela Merkel nel 2014. Ma già incombeva l’inchiesta che il pm Ettore Squillace Greco (che ha condotto le indagini con il collega Luca Turco) ha raccontato così in aula: “Neppure in processi a Cosa Nostra o alla camorra ho trovato cifre paragonabili. È stata realizzata una delle più grandi frodi commesse ai danni della comunità di questo Paese: un imbroglio che per anni ha alterato il mercato dei farmaci”.
Secondo l’accusa, la Menarini avrebbe perpetrato una colossale frode ai danni del sistema sanitario nazionale che sarebbe andata avanti dal 1984 al 2010.
Il meccanismo che i pm hanno ricostruito passava da triangolazioni e società offshore che avrebbero consentito alla Menarini di sovrafatturare il costo dei principi attivi acquistati dalle multinazionali straniere che li producevano. Poi arrivava il secondo passo, compiuto da Alberto Aleotti (il padre di Lucia e Giovanni morto nel 2014): “Corrompendo le persone che costituivano gli organi amministrativi deputati alla determinazione del prezzo dei farmaci otteneva prezzi vantaggiosi anche per i prodotti delle altre multinazionali”. Tanto che i colossi del mondo farmaceutico si sarebbero piegati a lui per entrare nel mercato italiano: “Menarini – hanno detto i pm in udienza – al confronto loro era un moscerino, le grandi multinazionali avevano interesse a fare accordi con Aleotti, perché riusciva a ottenere per i farmaci, su questo mercato, prezzi nettamente più alti”.
Un giochetto che già nel 1997 aveva rischiato di essere scoperto. Aleotti fu toccato dalle inchieste di Mani Pulite. Seguì un patteggiamento con risarcimento di tre miliardi di lire. Ma così Aleotti – sostengono i pm – sarebbe riuscito a evitare che le inchieste arrivassero fino al cuore della sua frode.
Ci sono voluti altri undici anni perché i carabinieri dei Nas arrivassero ai fondi neri e a quel conto da 476 milioni in una banca del Liechtenstein intestato ad Alberto Aleotti, alla moglie Massimiliana Landini (assolta) e ai figli Lucia e Giovanni. L’ordinanza di chiusura delle indagini dei pm descriveva una sorta di manuale sul come creare, gestire e alimentare una lobby in Italia. La famiglia Aleotti, padre e due figli, infatti, gestisce rapporti con uomini politici, direttori e vicedirettori di giornali nazionali. Nei palazzi romani Alberto Aleotti aveva contatti e rapporti diretti con il governo di centrodestra ancora in carica. In particolare, dissero i pm, con il sottosegretario alla Presidenza, Gianni Letta. E con Claudio Scajola. Poi incontri e telefonate. Con Ferruccio Fazio, Raffaele Lauro, Raffaele Fitto, Maurizio Sacconi e Altero Matteoli.
Non emerse niente di penalmente rilevante, ma frequentazioni selezionate e di ottimo livello. Come con la “regina” dei salotti romani, deceduta nell’ottobre 2009, Maria Angiolillo. Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana (Pd), avrebbe fatto da “postino” per due lettere, una a Scajola e una a Letta, per conto di Aleotti (niente di penalmente rilevante). L’ex senatore Pdl Cesare Cursi ha ottenuto l’archiviazione. Il Senato nel 2013 ha negato l’utilizzo delle intercettazioni che lo riguardavano.
I fratelli Aleotti sono stati anche interdetti per sempre dai pubblici uffici e la sola Lucia Aleotti dall’intrattenere rapporti con la pubblica amministrazione per tre anni. Negato il risarcimento alle Asl (è caduta l’accusa di truffa), Lucia Aleotti dovrà pagare 100mila euro di danni a Palazzo Chigi. Mario Casellato, uno degli avvocati degli Aleotti, commenta: “La sentenza ha giudicato insussistente il filone relativo alla presunta truffa e all’ipotesi di riciclaggio, ritenendo invece sussistente quello della frode fiscale. Ricorreremo in appello e dimostreremo l’infondatezza delle accuse”. Assolti infine Massimiliana Landini, madre dei condannati, e diversi collaboratori degli Aleotti.
di Ferruccio Sansa, il Fatto Quotidiano 10/9/2016