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 2016  settembre 10 Sabato calendario

COSÌ RENZI HA ORDINATO LA CACCIATA DI VIOLA DA MPS

L’ordine di far dimettere Fabrizio Viola da amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena è arrivato dal presidente del Consiglio Matteo Renzi in persona. Stiamo parlando dell’uomo che rivendica la parola d’ordine “fuori la politica dalle banche”. Anche martedì scorso, parlando a Porta a Porta, Renzi ha ricordato che grazie al suo governo “la politica non mette più bocca nelle banche”. Poi ha aggiunto: “A Porta a Porta dissi (a gennaio 2016, ndr) che se un soggetto avesse voluto prendere Monte dei Paschi di Siena, avrebbe potuto farlo a condizioni ottime. E lo confermo oggi”.
Parole profetiche. Renzi aveva già dato a Viola il pollice verso. E il soggetto in grado oggi di prendersi il Mps “a condizioni ottime” è proprio la Jp Morgan, il colosso bancario americano che il 6 luglio scorso è stato ricevuto a Palazzo Chigi, nella persona del numero uno mondiale Jamie Dimon, e ha presentato i suoi piani per Rocca Salimbeni, trovando nel premier un ascolto entusiasta. Lavorato ai fianchi da settimane proprio dagli uomini della Jp Morgan – sempre più spazientiti dalla figura di un banchiere riluttante a prendere ordini dai suoi consulenti – Viola ha gettato la spugna quando ha capito che era il governo a volere la sua testa. E che palazzo Chigi aveva già benedetto il successore designato: Marco Morelli. Jp Morgan e Mediobanca, le due banche d’affari incaricate di portare a compimento l’aumento di capitale necessario a salvare la terza banca italiana, hanno fatto sapere “per le vie brevi” a Renzi che, con un segnale di discontinuità al vertice, il non meglio identificato mercato avrebbe reagito meglio alla richiesta di mettere altri 5 miliardi su una banca che vale in Borsa 700 milioni. Renzi ha recepito il messaggio e lo ha fatto arrivare indirettamente ma chiaramente all’interessato. A nulla sono valse le perplessità del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, titolare giuridico della principale quota azionaria di Mps, la cui capacità di contraddire Renzi è molto vicina allo zero. Viola – vanamente difeso anche dal presidente della banca, Massimo Tononi – dalla sera di giovedì si è trincerato nel silenzio più ostinato. Si sa solo che nel delicatissimo momento di esecuzione del piano di salvataggio, annunciato ai mercati il 29 luglio scorso, non ha lasciato la guida di Mps di sua volontà. E la decisione di gettare la spugna è arrivata dopo ruvide controversie con le banche consulenti. Valga per tutte la discussione sui compensi contrattati con Jp Morgan e Mediobanca per l’operazione di aumento di capitale, che le due banche volevano liquidati indipendentemente dall’andamento del piano. Viola invece ha preteso che fossero subordinati alla riuscita, con la formula del cosiddetto “success fee”.
In questa vicenda è svanita la Banca d’Italia, con il governatore Ignazio Visco ridotto al silenzio dopo la sfuriata del ministro Maria Elena Boschi che gli ha rinfacciato pubblicamente di aver caldeggiato la vendita di Banca Etruria alla Popolare di Vicenza di Gianni Zonin. Si segnala invece la sorpresa della Bce, titolare della vigilanza su Mps. Nessuno li ha informati del siluramento di Viola su richiesta della Jp Morgan. Ma il nome del successore dovrà essere approvato dalla Banca centrale europea. E qui sono dolori. L’indicazione di Palazzo Chigi per il siluramento di Viola è arrivata insieme all’indicazione del successore, Marco Morelli, oggi alla guida delle attività europee della grande banca d’affari americana Merrill Lynch. Curioso e acrobatico il tentativo di presentare Morelli come l’uomo della discontinuità. Morelli è stato fino a dieci anni fa capo per l’Italia di Jp Morgan, ruolo oggi affidato all’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli. Poi è stato dal 2006 al 2010, come vicedirettore generale e direttore finanziario, un manager chiave della gestione del presidente Giuseppe Mussari e del dg Antonio Vigni. Furono gli anni che hanno portato nel baratro Mps con l’acquisto nel 2007 dell’Antonveneta per 9 miliardi, contro un valore stimato dal mercato di soli 3 miliardi. Proprio le conseguenze finanziarie dello scellerato acquisto indussero a fine 2011 la Banca d’Italia a chiedere la testa di Vigni e a “comandare” a Siena Viola, allora capo della Bper di Modena.
Quella stagione si è chiusa per Morelli, dopo un paio di inchieste giudiziarie senza danni, con una pesante sanzione amministrativa da parte della Banca d’Italia. L’8 ottobre 2013 il governatore Visco lo ha multato insieme a Mussari, Vigni e altri per le irregolarità amministrative nell’operazione “Fresh”, uno dei finanziamenti messi in piedi per tappare i buchi dell’acquisto Antonveneta. Per Morelli la multa fu di 208.500 euro.
Adesso torna a Siena come uomo nuovo. Ma resta da vedere se la pesante multa che macchia il suo curriculum risulterà compatibile con i requisiti di onorabilità e adeguatezza per i banchieri previsti dalla direttiva Ue del 2014 (la fit and proper) che in Italia è stata recepita nel maggio del 2015, ma solo formalmente: Padoan non ha ancora fatto il decreto attuativo senza il quale la direttiva resta lettera morta. È vero però che, pur in mancanza di una norma nazionale, la Bce sta già applicando anche in Italia i nuovi criteri molto più severi e restrittivi. Prima della verifica Bce toccherà al cda di Mps votare l’adeguatezza di Morelli, e non sarà una vicenda indolore.
@giorgiomeletti
di Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 10/9/2016