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 2016  settembre 09 Venerdì calendario

L’ITALIA DEI 20 MILA POLIGAMI SOGNO DA MASCHI CONVERTITI


«Se è solo una questione di diritti civili, ebbene la poligamia è un diritto civile». Con questa frase scritta sulla propria bacheca Facebook, Hamza Roberto Piccardo, fondatore dell’Ucoii, l’Unione delle Comunità Islamiche Italiane, ha scatenato una piccola polemica estiva sostenendo che, se la società è arrivata a considerare lecite le relazioni omosessuali, che pure riguardano una minoranza e non sono approvate da tutti, allora dovrebbe fare lo stesso anche con la pratica della poligamia come descritta dal Corano.
Come era prevedibile, l’uscita di Piccardo ha generato un’automatica e quasi unanime presa di distanza da parte delle forze politiche di ogni colore, mentre forse avrebbe meritato una discussione meno preconcetta e più approfondita. Perché potrebbe esserci del vero nella tesi per cui, in un momento in cui l’istituzione matrimoniale si sta trasformando per adattarsi a nuove esigenze della società, potrebbe essere interessante cercare di capire se sia possibile integrare nel nostro quadro giuridico anche un’istituzione estranea alla nostra cultura come la poligamia, senza ledere il principio della parità dei diritti. Una discussione che almeno per ora nessuno sembra essere interessato ad affrontare, neppure chi l’ha messa sul tavolo: interpellato per un’intervista, lo stesso Hamza Piccardo ha cortesemente ma fermamente declinato l’invito. «La mia non era che una semplice riflessione che è stata montata dalla stampa a proporzioni inverosimili, e non desidero ritornarvi».
Stiamo parlando di una questione meramente teorica o di un problema che effettivamente coinvolge molte persone? Difficile dirlo con precisione, dato che non esistono dati ufficiali sul fenomeno. Secondo quanto anticipato dall’inchiesta annuale condotta da Acmid-Donna (Associazione donne marocchine in Italia), che verrà pubblicata a fine mese, i rapporti poligamici nel nostro Paese sarebbero in forte crescita, avendo superato i 20.000 casi. «E sono anche di più», mi ha detto Souad Sbai, la presidente dell’associazione, «contando i casi di matrimonio temporaneo, una vergogna usata per sfruttare le donne».
Se davvero in Italia vivono tutti questi poligami, tuttavia, se ne stanno ben nascosti. I miei tentativi di contattare famiglie di questo genere non hanno avuto esito. Anche le associazioni che lavorano col mondo dell’immigrazione non hanno saputo aiutarmi: «Le famiglie più tradizionaliste non desiderano incontrare la stampa», mi hanno detto; «temono che le loro dichiarazioni possano essere strumentalizzate. E non sapremmo dar loro torto». «È ovvio che i poligami non vogliano farsi riconoscere, in Italia c’è uno stigma su di loro», mi ha detto invece Davide Piccardo, figlio di Hamza e coordinatore del Caim, il Coordinamento Associazioni Islamiche di Milano, che ha poi dribblato ogni mio tentativo di intervistarlo più approfonditamente, segno che anche per lui è preferibile evitare l’argomento.
Anche Bounegab Benaissa, presidente della Casa della Cultura Islamica milanese, quando mi ha accolto nella moschea di via Padova ha scosso la testa dicendomi di non conoscere famiglie poligame, aggiungendo che al giorno d’oggi solo un incosciente potrebbe pensare di riuscire a mantenere più di una moglie (dato che secondo le regole dell’Islam è all’uomo che spetta quest’onere). Dopodiché, insieme a Mahmoud Asfa, presidente del consiglio direttivo della Casa, mi ha spiegato cosa dice veramente la religione islamica al riguardo.
Nel Corano la pratica della poliginia è menzionata soltanto una volta in modo esplicito. Il versetto 3 della Sura 4 recita: «E se temete di essere ingiusti nei confronti degli orfani, sposate allora due o tre o quattro tra le donne che vi piacciono; ma se temete di essere ingiusti, allora sia una sola o le ancelle che le vostre destre possiedono, ciò è più atto ad evitare di essere ingiusti». In pratica il Corano autorizza l’istituzione della poliginia, diffusa già prima dell’Islam, ma la limita e non la incoraggia; la presenta come destinata a proteggere le vedove e gli orfani e non a soddisfare il desiderio maschile; sancisce inoltre che, per sposare più donne, il marito deve essere in grado di provvedere alle sue mogli giustamente e in eguale misura.
«Oltre al Corano, l’altra fonte che un fedele deve seguire è l’esempio della vita del Profeta. Ma, sebbene Maometto abbia avuto molte mogli, gran parte di loro erano donne anziane che sposò per garantire loro sostentamento. Insomma, salvo casi particolari, è bene avere una sola moglie. E ai fedeli che vengono qui noi consigliamo di rimanere nei binari della legge. Se si hanno motivi per praticare la poligamia, meglio spostarsi in un Paese in cui sia legale. Personalmente», aggiunge Benaissa, «ho la sensazione che anche nei paesi musulmani negli ultimi decenni la poligamia sia molto diminuita, perché nella società moderna ha sempre meno senso praticarla».
Persino nei Paesi a maggioranza musulmana la poligamia non è sempre legale. Non è consentita in Turchia, Tunisia, Albania, Kosovo e nei paesi a maggioranza musulmana dell’Asia centrale. In altri Paesi è nominalmente permessa, ma con leggi e consuetudini tali da renderla impraticabile. Per esempio in Algeria per sposare una seconda moglie è obbligatorio il consenso della prima, e in Egitto è abitudine che la sposa sottoponga al marito un contratto di matrimonio in cui si impegna a non prendere altre mogli, pena un divorzio oneroso. Insomma, sebbene il Corano la ammetta in modo esplicito, non è imprescindibile nelle società musulmane.
Sulla questione ha idee molto chiare Lia De Feo, insegnante e blogger, che nel 2007 fu per breve tempo parte di un matrimonio poligamico proprio con Hamza Piccardo. «Lo sposai rispettosa dell’altrui senso religioso, perché lui diceva di non poter neppure stare in una stanza da solo con una donna senza averla sposata. Ma l’idea era che lui divorziasse dalla prima moglie, con cui era in crisi. Invece improvvisò un matrimonio poligamico, che si rivelò difficilissimo da gestire e si concluse con la sua decisione di ripudiarmi. Mi trovai in difficoltà e senza l’aiuto che mi sarebbe spettato». La legge islamica infatti prevede che il divorzio divenga effettivo solo dopo un periodo di tre mesi, detto ‘idda, durante il quale la moglie ripudiata ha comunque diritto al mantenimento totale e in perfetta uguaglianza rispetto all’altra.
Senza fare nomi, Lia tenne sul suo blog Haramlik una campagna per spiegare come sia difficile per le donne far rispettare le regole del divorzio islamico, cercando di ottenere una presa di posizione da parte delle comunità islamiche. Ma tutto divenne pubblico quando l’allora giornalista del Corriere Magdi Allam, con cui lei ebbe in seguito un lungo contenzioso legale, riuscì a conoscere il nome del marito e lo sfruttò per un attacco al matrimonio poligamico.
«Con Hamza arrivai a un accordo, ma non riuscii a cambiare il fatto che in Italia le regole dell’Islam vengono applicate solo quando fa comodo. Questa voglia di poligamia è da maschi convertiti: i musulmani immigrati hanno altro a cui pensare, e sanno che la poligamia comporta responsabilità gigantesche, quindi non la praticano. Se le organizzazioni musulmane prevedessero un organo di controllo dell’applicazione della legge shariatica, per le donne sarebbe di gran lunga più vantaggioso che un riconoscimento da parte dello Stato di diritti equiparabili a quelli delle coppie di fatto».
Non potevo concludere questa breve inchiesta senza ricordare che esiste anche una poligamia non religiosa, e ho chiesto il parere di Luca Boschetto, fondatore del sito poliamore.org e dell’associazione Reti – Relazioni ETIche Non Monogame. «Abbiamo accolto con attenzione le dichiarazioni dell’Ucoii, perché sono in sintonia col nostro obiettivo di ottenere il riconoscimento di relazioni non monogame. Va detto però che tra gli obiettivi irrinunciabili del poliamore c’è l’assoluta parità di genere, e quindi non potremmo accettare un’ipotesi di legalizzazione dei rapporti non monogamici che non mettesse sullo stesso piano uomini e donne. Certo, in un Paese dove ancora non si è riusciti a far accettare il matrimonio ugualitario, è presto per parlare di battaglie del genere». Difficile dargli torto. C’è da augurarsi che il confronto con altre culture ci renda più aperti, e non più chiusi.