Paolo Bottazzini, pagina99 9/9/2016, 9 settembre 2016
CON IL CHIP NEL PALLONE IL GIOCO LO FANNO I DATI
C’era un volta l’epica dello sport. La National Football League (Nfl), che gestisce il più importante campionato di football del Nord America, ha annunciato alla fine di agosto di aver collaudato, durante la pre-stagione appena conclusa, un sensore collocato nei palloni giocati durante le partite. Il chip si trova sotto i lacci che chiudono l’ovale di cuoio, e il suo compito è tracciare per ogni tiro i dati relativi a velocità, accelerazione e distanza. L’esperimento è propedeutico alla decisione di implementare il «tag» digitale su tutte le palle del prossimo campionato regolare; la raccolta delle informazioni deve innescare un modello di business fondato sulla loro cessione alle squadre affiliate alla lega, ma anche alle reti televisive della Cbs, della Nbc e di Espn, che coprono le dirette delle partite la domenica, il giovedì e il lunedì.
Se qualcosa di epico sopravvive nello sport professionale, di sicuro riguarda le cifre sborsate per i diritti di trasmissione: nel 2016 ammontano a 7,3 miliardi di dollari, un valore quasi triplicato rispetto al 2005, quando toccava i 2,6 miliardi, e settuplicato rispetto agli 1,1 miliardi del 1997. D’altra parte, gli eventi dell’Nfl permettono ai network Tv di irrobustire il loro fatturato, con un guadagno in media di quattro milioni di dollari per ogni slot di pubblicità nel corso del SuperBowl, la partita con cui si conclude il campionato una settimana dopo Natale. Gli spot durano trenta secondi, con una media di costo al secondo di 133 mila dollari. Quando si dice che il tempo è denaro. Per gli inserzionisti, il prezzo bilancia l’opportunità di raggiungere il pubblico di massa al gran completo, come quello che alla fine della stagione del 2013 ha toccato il livello record di 167 milioni di spettatori.
L’epos viene rinchiuso nelle stanze in cui si negoziano i contratti per la cessione dei diritti, mentre lo spettacolo mostra i muscoli dei numeri di fatturato e sottopone ogni dettaglio alle sue pretese.
Il patto tra Nfl e reti televisive prevede un blocco dell’accordo economico fino al 2021; la vendita dei dati sui match promette una nuova fonte di reddito, cui la Lega potrà attingere nel periodo di fermo della contrattazione.
È la prima volta che l’Nfl interviene sulla struttura della palla contesa tra le squadre in partita; ma già l’anno scorso aveva provveduto ad inserire dei sensori nell’abbigliamento dei giocatori, sotto l’armatura a protezione delle spalle. Il chip invia un segnale radio che trasmette le coordinate di posizione del giocatore ai server di Zebra Technology, nella sede operativa di San Jose, in California. Durante la precedente stagione le informazioni ottenute con questa procedura sono state rilasciate solo dopo la fine del campionato. L’aggiornamento per il prossimo anno invece prevede una consegna dei dati a 24 ore di distanza dal termine del match.
Ogni anno, a fine febbraio, si tiene ad Indianapolis l’Nfl Scouting Combine: per una settimana i 300 universitari migliori degli Stati Uniti gareggiano per essere ammessi al draft di aprile, l’evento in cui vengono reclutati i nuovi giocatori delle 32 squadre della Lega. Dal 2001, 459 dei ragazzi che hanno superato la selezione sono stati allenati dalla Exos, una società fondata da Mark Verstegen in Arizona nel 1999, con il nome di Api (Athletes’ Performance). Non distraetevi, non è un fatto remoto che riguarda solo i giovanotti americani e la follia della loro università: la nazionale tedesca, quella che ha vinto il campionato del mondo nel 2014, è passata attraverso le cure di Verstegen prima di presentarsi sui campi da calcio brasiliani e asfaltare tutti gli avversari. L’epos, anche quello del trionfo storico per 7 a 1 contro i verdeoro, è stato solo una rifrazione dell’Exos e del suo metodo, la cui chiave di volta è da due anni un dispositivo realizzato in collaborazione con Adidas – un chip che viene inserito nelle magliette di allenamento degli atleti. Si chiama miCoach, ed è una versione sofisticata del congegno che viene venduto nei negozi ordinari del marchio di abbigliamento: il suo costo supera i 100 mila dollari per unità, viene personalizzato sulla taglia del suo destinatario, e permette di tracciare decine di parametri (tra cui velocità, accelerazione e potenza) inviandoli in tempo reale all’iPad dell’allenatore. Sensori e meccanismi di analisi assicurano dosi chirurgiche di allenamento, ottimizzando le risorse naturali di ogni individuo ed evitando il rischio di sforzi in eccesso e di infortuni.
Per uno studente universitario, sei settimane di allenamento nei centri Exos costano dai 9.500 ai 17.500 dollari. Senza questo investimento iniziale, destinato alla società di Verstegen o a qualcuna delle sue concorrenti (come l’Img Academy o il Fischer Institute), il rampollo di buona famiglia che frequenta un college americano può quasi dire addio alle squadre che gli permetterebbero di prendere a calci i palloni taggati dell’Nfl. I sogni di gloria impregnano i ragazzi di un simbionte tecnologico, un androide atletico, configurato misura dopo misura secondo le esigenze dello spettacolo. Se Philip Dick fosse ancora tra noi, potrebbe svelarci se la gloria è una pecora elettrica.
Il giocatore di football è il prototipo del giovane americano di successo, così come lo ritraggono i romanzi di Scott Fitzgerald. Sembra un contrappasso che le sue possibilità di successo vengano decretate dal soccorso del suo rovescio asociale, da personaggi che emergono dalla classe dei mostri, i nerd capaci di progettare i dispositivi di tracciamento e di sviluppare i software di calcolo. Almeno una dozzina delle squadre che militano nel campionato Nfl ha deciso di ricorrere a tecnologie paragonabili a quelle adottate all’Exos.
Catapult Sports si è specializzata nella produzione di dispositivi di tracciamento per team, e rifornisce tra gli altri i Philadelphia Flyers e i New York Knicks; in Europa annovera tra i suoi clienti il Leicester City di Ranieri, e lo ha aiutato a laurearsi campione della Premier League britannica lo scorso maggio.
Jon Savage ha coniato l’etichetta di «cristianesimo muscolare» per identificare l’ideologia da cui sono derivati, nel corso del Novecento, il primato culturale della giovinezza, la sua centralità nella società dei consumi e nell’induzione del desiderio, il suo ruolo nell’etica del capitalismo liberista e dei regimi totalitari. Il motore della formazione degli adolescenti è lo sport, che ha l’incarico – e la capacità – di insegnare i valori della lealtà, dell’obbedienza, del coraggio, dell’impegno, meglio di qualunque apprendimento teorico. Gli imperi coloniali, il nazismo e il fascismo, sapevano che questa pedagogia favorisce l’addestramento di eserciti più forti; il capitalismo anglofono vi si affida per l’educazione all’agonismo e alla congruenza tra successo e merito.
Dalla disciplina non deriva solo una morale, ma anche un’estetica. Le dittature l’hanno adottata come uno strumento di propaganda, per il coinvolgimento emotivo delle masse all’ideologia: la macchina culturale di Mussolini la celebrava con l’inno “Giovinezza”, e il regime vi ha aderito con tale entusiasmo da non sopravvivere oltre i vent’anni. L’economia e la società dei nostri giorni sembrano aver rovesciato il nesso di causalità, o perlomeno di finalità, nel rapporto tra bellezza ed educazione: con la complicità dell’internet delle Cose e dei Big Data, lo spettacolo sportivo diventa una scienza, assoggettando alle sue procedure la formazione di atleti, squadre, strategie di gioco (nonché le assunzioni, gli ingaggi e i premi). Economia e pedagogia al servizio di un chip.
Più che di «cristianesimo muscolare» dovremmo parlare di «intrattenimento muscolare», perché l’estetica della rappresentazione della battaglia è diventata il fine ultimo della disciplina e della sua morale, sostituendosi alla guerra stessa, all’agonismo commerciale e finanziario, alla loro assiologia di competizione, di eroismo, di fedeltà e di spregiudicatezza. La narrazione dello sport ha convertito l’epos nell’eros della comunicazione pubblicitaria, nella seduzione degli shampoo, dei rasoi, dei deodoranti e delle mutande. E alla fine, tutto questo ci allena a credere in un nuovo mito, quello in cui si racconta del luogo che forgia i nuovi dèi e della stregoneria che assicura il loro potere di forza e di incanto: la grande bellezza dei dati e delle tecnologie che li producono.