Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  settembre 09 Venerdì calendario

I VICERÉ E LA RICOSTRUZIONE POST-TERREMOTO CHE MODERNIZZÒ LA SICILIA


Come, e in quanto tempo, sarà ricostruita Amatrice? Tutto sembra procedere per il meglio: finanziamenti, solidarietà, competenza. Però la nostra storia sismica mischia quasi sempre ricostruzione a delusione, se non scandalo. In tempi recenti, con l’eccezione del Friuli, fecero scandalo il Belice e l’Irpinia; e deluse parecchio l’Aquila. Pensando di farvi cosa gradita, eccovi quindi, dagli Annali di quattro secoli fa, la storia di una ricostruzione che fu meravigliosa. Con due scosse in pochi giorni di gennaio, nel 1693 il più grande terremoto nella storia della penisola (7,3 Richter, 60 mila morti, tsunami di 20 metri) colpì la Sicilia sud orientale. Catania perse metà dei suoi abitanti; 60 città e paesi vennero sbriciolati.
La Sicilia, allora «proprietà» di Carlo II Re di Spagna era governata dal Viceré Giovanni Francesco Pacheco, duca di Uzeda, che si rivelò tutt’altro che un cialtrone. Nominò «commissario al terremoto» Giuseppe Lanza duca di Camastra, che, insieme a Carlo Maria Branciforti, principe di Butera, organizzarono un miracolo. Nel giro di non molti anni, Catania divenne una città moderna dalle grandi piazze e luminose arterie stradali. Modica, Scicli, Ragusa Ibla, Ispica, Avola, Grammichele conobbero uno splendore che prima non avevano; e addirittura Noto venne ricostruita, a pochi chilometri dalla sua origine, per diventare lo stupor mundi del barocco. Oggi tutta questa zona, (patrimonio dell’Unesco dal 2001) è finalmente diventata una meta turistica, grazie soprattutto alla televisione e alla location delle avventure del commissario Montalbano; i visitatori si chiedono: ma come fu possibile? Segreti di quella ricostruzione: 1) Contare sul popolo. 2) Fidarsi degli architetti 3) Credere nell’Europa 4) Investire un sacco di soldi. Il duca di Camastra assoldò come architetto principale un esperto di fortificazioni militari, il fiammingo Carlos di Gruenenberg, che portò, in quel lontano lembo continentale, forme e pietre che aveva visto a Palmanova, a Charleroi, a Nancy, immagini di città e griglie urbane di Parigi, di Londra, di Lille. Gli architetti religiosi trasformarono il barocco – una forma d’arte nata per battere, con lo splendore, l’offerta egualitaria dei protestanti – in uno spettacolo «televisivo» senza precedenti. Costruirono quinte teatrali, mossero le superfici degli edifici, immaginarono le prospettive con gradinate e piazze e colori mutanti delle pietre seguendo la giornata. La diffusa sapienza locale (quella che lì, contro il latifondo, aveva costruito meravigliosi muretti di divisione delle proprietà agricole) introdusse la ceramica, i colori cangianti della pietra dorata, il nero di quella lavica, il tocco del sole sulle piastrelle, gli stucchi, gli intagli, i balconi sontuosi, gli ornamenti spropositati. In breve, diedero a quei luoghi, e ai loro abitanti, una nuova idea di città, che per la prima volta diventava una commedia vivente, e – con palazzi di uguale altezza delle chiese – improvvisamente laica. Tutto questo avvenne circa due secoli e mezzo prima che si diffondesse l’idea di Italia.