Silvio Piersanti, il venerdì 9/9/2016, 9 settembre 2016
OCCHIO A KOIKE-SAN: DA TOKYO CON FURORE
TOKYO. L’«uccello migratore» ha fatto il nido. Un nido grande e bello, ma con qualche grossa spina. Yuriko Koike, trionfatrice nelle recenti elezioni per il governatorato di Tokyo, si è guadagnata questo soprannome piumato per i suoi continui cambiamenti di partiti, correnti e posti di potere. Il grande nido è il doppio grattacielo di 243 metri, firmato nel 1991 dall’archistar Kenzo Tange, costato oltre un miliardo di euro, che sorge imponente nel cuore della capitale: è la mastodontica sede del governo della metropoli giapponese, che Koike-san ha conquistato al termine di una torrida campagna elettorale contro 26 candidati di tutti i partiti, compreso il suo: il Partito Democratico Liberale (LDP).
Le spine del nido sono i tanti problemi che assillano i quasi 40 milioni di abitanti della «sua» megalopoli, l’agglomerato urbano più vasto del pianeta. Problemi pesanti come la costruzione di migliaia di asili nido, indispensabili per permettere alle donne un maggiore ruolo attivo nell’economia del Paese; una drastica riduzione del faraonico budget per le Olimpiadi del 2020, assegnate alla capitale giapponese tra molte voci di opache trattative; e i massicci interventi necessari perché non si ripeta a Tokyo una catastrofe come quella di Fukushima, tanto per citarne alcuni tra i più urgenti. «La mia politica di governatore sarà senza precedenti», ha promesso. «Sarà una Tokyo come non avete mai visto. Ne farò la capitale economica del continente asiatico».
La signora Koike sopporterà i graffi delle spine, pensando che tra non molto potrebbe migrare ancora, volando sempre più in alto, per andare a posarsi sullo scranno del primo ministro.
Il governatore di Tokyo è unanimemente considerato la persona più influente della nazione subito dopo il presidente del consiglio. Ha alle sue dirette dipendenze un esercito di oltre 160 mila ben retribuiti dipendenti (stipendio medio mensile 4.500 euro). Hanno sede nella Greater Tokyo Area, in inglese nella denominazione ufficiale (la Grande Area di Tokyo), che assieme a quella di Tokyo stessa comprende le prefetture di Chiba, Kanagawa e Saitama, 51 delle 500 maggiori aziende globali, la più alta concentrazione al mondo di grandi aziende in un unico agglomerato urbano, con un Pil di 2.200 miliardi di dollari e un’estensione di circa 13.500 chilometri quadrati. Questo possente impero ha ora al suo vertice, per la prima volta nella storia, una donna.
Spericolata, femminista, opportunista, patriota, thatcheriana, clintoniana sono alcuni dei tanti aggettivi sciorinati dai media giapponesi per definire la personalità della nuova governatrice, tralasciando quello più semplice e calzante al personaggio: abile. La sua vittoria a mani basse contro avversari che l’hanno attaccata duramente da destra e da sinistra lo dimostra concretamente.
Nata nella prefettura di Hyogo nel 1952 in una famiglia dell’alta borghesia, un matrimonio finito in divorzio dopo pochi mesi, Yuriko Koike padroneggia due lingue straniere: l’arabo (si è laureata alla Cairo University) e l’inglese. Un curriculum davvero insolito in Giappone. Ha iniziato la sua vita professionale come interprete, per passare poi alla televisione come conduttrice di programmi di informazione e approfondimento. Nel 1992 debutta nel mondo politico entrando nel neonato partito Japan New Party, nelle cui fila ottiene nello stesso anno un seggio al senato. L’anno dopo viene eletta nella camera dei deputati. Lascia il partito per fondarne uno nuovo: il New Frontier Party. Ottiene di nuovo un seggio alla camera dei deputati. Nel 1998 entra nel Partito Liberale, che abbandona per entrare nel New Conservative Party. Nel 2002 cambia di nuovo bandiera e si iscrive al Partito Democratico Liberale (LDP). In pochi mesi ne diventa dirigente. Viene nominata Ministro dell’Ambiente, facendosi subito notare per la sua campagna denominata Cool Japan in cui chiedeva ai salary men, il ceto impiegatizio del Paese, di rinunciare a giacca e cravatta e di andare a lavorare d’estate in maniche di camicia per risparmiare energia usando meno gli impianti di aria condizionata. L’idea è risultata vincente ed ancora oggi d’estate si vedono legioni di uomini incamminarsi verso il posto di lavoro in maniche di camicia irreprensibilmente bianca, una trasgressione prima impensabile. Dopo diversi altri incarichi di prestigio, nel 2007 viene nominata, prima donna nella storia, Ministro della Difesa. Un incarico di particolare importanza in un Paese con diverse spinose rivendicazioni territoriali nei confronti di Cina e Corea del sud e in procinto di approvare una rilettura bellicista della costituzione pacifista dettata nell’immediato dopoguerra dagli americani. «La nostra costituzione ce la dobbiamo scrivere noi», ha tuonato il primo ministro Abe. Che sorprendentemente ha chiamato ancora una donna a succedere alla signora Koike nel ruolo di ministro della Difesa: Tomomi Inada.
«Finalmente tira aria nuova sulla nostra città», esclama la foodwriter Kyoko Asada, entusiasta sostenitrice della neo governatrice. «Ha dato una dura lezione a tutti questi vecchi politici che fanno solo i propri interessi: sono il tumore di Tokyo. Hanno detto che la donna è una macchina per fare figli e che il suo posto è in cucina. Hanno osato anche criticare la decisione di dare a donne l’incarico di ministro della difesa, perché nei giorni del mestruo “Non hanno la tranquillità necessaria per prendere decisioni importanti come dichiarare o non dichiarare una guerra”. Hanno anche attaccato cartelli nella sede del partito con la scritta “Chi voterà per Koike sarà espulso dal partito”. Ma dove credono di stare, in Corea del Nord? Koike-san è stata brava e coraggiosa. Ha vinto contro tutti, ricevendo molti voti da noi donne. Non è più tempo di sinistra e destra: ora ci vogliono fatti concreti per il bene della gente».
La vittoria di Koike-san e la nomina di Tomomi Inada a ministro della Difesa sono state accolte con comprensibile entusiasmo dalle associazioni femministe. Ma il problema del predominio maschile in tutte le fasce sociali rimane soffocante, in un Paese in cui licenziare una lavoratrice incinta, o renderle la vita impossibile sul posto di lavoro fino a costringerla a licenziarsi è normale. Il World Economic Forum colloca il Giappone al 101esimo posto su 145 in una classifica sulla parità di genere. Alla camera dei deputati, solo il 9,5 per cento sono donne. Il primo ministro Abe si è impegnato a costruire «una società in cui la donna risplenda», ma per il momento è una donna che risplende: Yuriko Koike. E forse splende troppo per il premier giapponese che ora teme la dirompente popolarità del nuovo governatore della capitale. Lo teme per se e per il suo delfino, la neo designata ministro degli Esteri che nei piani dell’attuale premier dovrebbe succedergli come presidente del LDP alla scadenza del suo ultimo mandato, nel 2018, per poi eventualmente prendere il suo posto alla guida del governo. Tomomi Inada è altrettanto e, se possibile, più riformista di Yuriko Keiko, ma molto meno ribelle. Segue diligentemente le linee del governo e del partito. La nomina della fedele Inada può essere interpretata come una mossa strategica ispirata al divide et impera dell’antica Roma, un modo di frenare la deriva populistica della neogovernatrice, fustigatrice delle lentezze burocratiche, dei giochi di potere, delle corruzioni degli anziani politici che detengono il potere gattopardescamente. Il futuro del Giappone sarà dunque nelle mani della ribelle Koike o in quelle della devota Inada?
Sarà comunque nelle mani di una donna di destra, sia essa la nuova governatrice di Tokyo o il nuovo ministro degli esteri. E questo è già una rivoluzione.
E l’opposizione? La sinistra? Non esiste. Non esiste più. Una bella addormentata nel bosco. Ma non si vedono principi in giro.