di Carlo Di Foggia, il Fatto Quotidiano 9/9/2016, 9 settembre 2016
CONFLITTI D’INTERESSI E CAVILLI AD PERSONAM, IL PASTICCIO PIACENTINI
Conflitti d’interessi, malumori per grandi partite – dagli appalti pubblici al fisco – e un pasticcio normativo: la nomina di Diego Piacentini a commissario straordinario per l’Agenda digitale rischia di mettere in grave imbarazzo Palazzo Chigi e il suo sponsor Matteo Renzi.
Piacentini, classe 1960, da 16 anni vicepresidente del colosso americano dell’e-commerce è approdato al nuovo ruolo con la benedizione del gran capo Jeff Bezos. Problema: non ha troncato i rapporti con l’azienda, ma semplicemente s’è meso in aspettativa. In qualsiasi altro Paese occidentale, la cosa gli avrebbe sbarrato le porte di un incarico governativo. Renzi gli ha invece affidato l’intera strategia digitale del governo assicurando che “l’incarico è a titolo gratuito”.
“È un uomo della Repubblica italiana o di Amazon? – ha attaccato ieri il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia (Pd) sull’Huffington post – Il tema è semplice: è ancora azionista o no? Detiene stock option o no?”. La domanda è retorica. Stando al contratto con Amazon del 2000, Piacentini percepisce 175 mila euro di stipendio base annuo (il più alto in azienda). Il vero guadagno è proprio sulle stock option, cioè il diritto ad acquistare azioni della società a un prezzo prestabilito. Il 17 agosto scorso, il manager ha lasciato l’incarico nella società, due giorni prima, però – stando ai dati del sito specializzato Secgems – ha esercitato stock options su 5.477 azioni: le ha acquistate al prezzo di 10 centesimi di dollaro l’una e poi le ha rivendute a 770 dollari a pezzo: 547 dollari spesi, 4,2 milioni incassati. La stessa operazione l’ha fatta ogni tre mesi nel 2016 e nel 2015. Stesse plusvalenze milionarie. Le stock option diventano esercitabili trascorso un po’ di tempo dall’assegnazione, ed è quindi plausibile che nei prossimi mesi il manager ne potrà esercitare altre.
Ma c’è di più. Il volume di azioni in mano a Piacentini non è mai cambiato, circa 80 mila titoli, che al momento valgono 62,4 milioni di dollari: è il secondo più grande azionista individuale di Amazon dopo Bezos. Se le azioni della società salgono, Piacentini potrebbe beneficiarne come tutti gli azionisti. Solo da febbraio scorso – quando Renzi ne annunciò l’arrivo con uno scambio su Twitter con Bezos – a oggi, il titolo di Amazon ha guadagnato il 60% in Borsa. Ogni 5% in più, fa salire il valore delle azioni in mano al manager di oltre tre milioni di dollari.
Questo mette il commissario in una situazione delicata, che Palazzo Chigi ha risolto in modo bizzarro. Qualche giorno fa, Piacentini è comparso in Cina con Renzi per il G20, eppure formalmente non ha alcun incarico. Manca, infatti, il decreto di nomina, che non può arrivare se prima non viene pubblicato in Gazzetta ufficiale il nuovo “Codice dell’amministrazione digitale”. Il testo è passato in Parlamento che l’ha rispedito a Palazzo Chigi per l’ok finale con un appunto: manca una norma per nominare il commissario. Palazzo Chigi ha eseguito, solo che nel nuovo articolo ha omesso ogni riferimento alla legge Frattini sul conflitto d’interessi, che però riguarda anche i “commissari straordinari” di nomina governativa (figura prevista dalla legge 400 del 1988). Per la Frattini l’incompatibilità del commissario scatta se questi riceve ancora una “forma di vantaggio” dal suo precedente incarico, e il conflitto d’interessi c’è se firma un atto che “ha un’incidenza specifica e preferenziale sul suo patrimonio”. Per evitare problemi, Palazzo Chigi ha tagliato la testa al toro con una procedura a sé stante (Renzi la firmerà a breve), e così è saltato anche il divieto di ritornare al suo ruolo nei 12 mesi dopo il termine dell’incarico. Vale solo la pena di ricordare che il decreto di nomina del predecessore di Piacentini, Francesco Caio (ora in Poste) non è mai stato pubblicato.
Per Boccia, il conflitto d’interessi c’è perché Piacentini “conoscerà tutti i retroscena della Pa digitale e le scelte del governo, i dettagli del mercato e dei concorrenti di Amazon in Italia e le stesse strategie fiscali che stiamo concordando in Europa”. Il riferimento è alla “web tax” sui colossi digitali che operano in Italia di cui Boccia è il padre: fu approvata dal governo Letta e subito mandata in soffitta da Renzi. A settembre 2015, il premier annunciò che l’avrebbe inserita nella legge di Stabilità, salvo poi affossarla di nuovo. Al Fatto risulta che al Tesoro ci sono due dossier sul tavolo, ma nessuno vedrà la luce senza prima un intervento a livello comunitario. Tutti i grandi big Usa del digitale hanno problemi col fisco sia in Italia che a livello europeo.
La nomina di Piacentini ha poi creato diversi malumori tra i competitor italiani, già manifestati a Palazzo Chigi da Confindustria digitale. Sullo sfondo i grandi appalti per la strategia digitale. Solo il primo lotto Consip per i servizi cloud della Pa (vinto da Telecom e Hpe Services, con Poste italiane e altre aziende), per dire, ammonta a 500 milioni; il secondo sull’Identità digitale (vinto da Finmeccanica, Ibm e altri) vale 600 milioni. Quando a giugno 2001 Berlusconi nominò l’ex presidente e ad di Ibm Lucio Stanca a ministro per l’Innovazione molti player protestarono. Stanca promosse con grande vigore “Italia.it”, il portale del Belpaese che si rivelò un clamoroso flop costato 45 milioni: lo realizzò proprio Ibm.
di Carlo Di Foggia, il Fatto Quotidiano 9/9/2016