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 2016  settembre 09 Venerdì calendario

LA PAZIENZA DI MARIO DRAGHI

Il ritmo espansivo della politica monetaria europea non deve aumentare, né diminuire: occorre essere pazienti. È questo il messaggio che il presidente della Bce ha dato ai mercati e all’economia.
Le ragioni per essere pazienti sono di ordine economico, ma anche politico e psicologico.
Alla vigilia delle decisioni settembrine della Banca centrale europea i mercati finanziari, alla quotidiana ricerca di scommesse su eventi nuovi, avevano provato a auspicare novità nel disegno della regola di politica monetaria che le autorità monetarie seguono. Gli auspici sono andati delusi. La Bce non ha modificato nulla, e non ha neanche discusso possibili modifiche.
Il presidente Draghi ha illustrato in modo sistematico le ragioni economiche per cui il ritmo della politica monetaria non deve per ora essere cambiato. La strategia di politica monetaria mantiene costante il suo obiettivo di riportare la crescita dell’inflazione al 2%, e mantiene invariata la batteria di interventi definita nello scorso marzo, con gli strumenti tradizionali dei tassi di interesse portati anche in territorio negativo, gli strumenti non convenzionali irrobustiti nell’ammontare e ampliati nella gamma, in modo da acquistare obbligazioni private e pubbliche, e infine con un orizzonte temporale che arriverà come minimo al marzo del prossimo anno. Obiettivi e strumenti rimangono invariati perché gli effetti attesi della manovra definita in marzo si stanno verificando secondo le previsioni. Il meccanismo di trasmissione della politica monetaria europea sembra essersi riparato: la struttura dei tassi di interesse ha reagito nella direzione attesa – abbassandosi – in modo coerente su tutta la struttura temporale, e anche in modo relativamente omogeneo rispetto alla natura dagli emittenti, privati e pubblici, e nei pubblici tra centrali e periferici; in parallelo la crescita degli aggregati monetari e creditizi accompagna l’abbassamento dei tassi. Infine anche l’andamento della domanda aggregata appare coerente con la dinamica espansiva della politica monetaria, visto il ruolo che sta giocando la ripresa dei consumi.
Certo la ripresa economica europea è moderata; ma questa secondo la Bce non è una ragione sufficiente per cambiare il disegno della politica monetaria, per almeno due ordini di motivi. Draghi ha ricordato come, da un lato, occorre sempre non dimenticare che le manovre dei tassi di interesse e di acquisto di titoli sul mercato hanno dei tempi di efficacia non immediati; occorre essere pazienti. Dall’altro lato, il presidente della Bce non ha mancato di rimarcare come le altre politiche economiche debbano assumersi maggiori responsabilità, citando in più di un passaggio il comunicato congiunto dell’ultima riunione del G20 – i cui autori non sono banchieri centrali, ma governanti – che segnala la necessità che le politiche strutturali e fiscali assumano un ruolo più significativo. Inoltre, vi è stato un passaggio esplicito (questo sì non convenzionale) all’opportunità che la Germania – in quanto Paese con una finanza ordinata – attui una politica fiscale più attiva.
Quello che Draghi non poteva sistematicamente ed esplicitamente ricordare nella sua comunicazione – ma che non è per questo meno rilevante – è che un cambiamento della velocità della politica monetaria europea, sia in termini di obiettivi che di strumenti, richiederebbe un consenso – fuori e dentro il consiglio della Bce – che oggi sarebbe illusorio ritenere possibile, e per una ragione molto semplice: su ogni argomento, ci sono sempre almeno due tesi opposte, e nessuna suffragata da tesi empiriche robuste.
Riguardo all’obiettivo della politica monetaria, e alla capacità della Bce di influenzare efficacemente le aspettative, le cosiddette colombe auspicano di aumentare il livello desiderato del tasso di aumento dei prezzi dal 2% al 4%; al contrario i cosiddetti falchi ritengono invece che la credibilità della Bce possa crescere non diventando più aggressivi, ma assumendo un profilo più prudente, allungando l’orizzonte temporale di riferimento dell’azione monetaria.
Per quel che riguarda gli strumenti, le colombe vorrebbero che le politiche convenzionali assumessero un profilo ancor più aggressivo, esplorando ulteriormente il territorio dei tassi negativi. I falchi pensano l’esatto contrario: una maggiore efficacia della politica monetaria richiede un ritorno al più presto a tassi di interesse normalmente positivi. Analoga contrapposizione si registra sull’impostazione delle politiche non convenzionali. Secondo le colombe, la Bce dovrebbe acquistare anche azioni emesse da emittenti privati, ovvero impegnarsi in operazioni che creino moneta in un modo difficilmente reversibile (il cosiddetto “elicottero monetario”). I falchi vedrebbero però tali innovazioni come autentico fumo negli occhi: lungi dall’aumentare l’efficacia della politica monetaria, un tale attivismo altro non farebbe che aumentare la rischiosità effettiva e prospettica del bilancio della Bce. Un aumento della rischiosità della bilancio della banca centrale ne può minare la credibilità e l’indipendenza.
Insomma, in assenza di un diffuso consenso su una strategia alternativa rispetto all’attuale, ogni cambiamento di rotta della Bce richiede una novità macroeconomica veramente significativa, o una forte propensione al rischio. Ma i banchieri centrali, soprattutto se decidono in modo collegiale, tendono ad essere avversi all’incertezza. Se poi provengono da nazioni diverse – come è a Francoforte – il cambiamento di una strategia condivisa può essere particolarmente costoso. L’imprudenza diventa un lusso, che senz’altro la Bce non si può permettersi.