Isabella Bufacchi, Il Sole 24 Ore 9/9/2016, 9 settembre 2016
NEL REGNO DEI TASSI BASSI, BOND ITALIANI PIU’ APPETIBILI
Nella “nuova costellazione” di tassi bassi, le stelle di Italia e Germania brillano in maniera diversa: tutti i titoli di Stato italiani sono acquistabili dalla Bce. Entro fine anno, nessun titolo tedesco lo sarà.
Ieri Mario Draghi non ha fissato nuove date di scadenza del Qe, non ha rivelato in che direzione andranno le modifiche del programma di acquisti PSPP (Public Sector Purchase Programme) e chi si aspettava subito di più - la minoranza sul mercato in realtà - è rimasto deluso per mancanza di dettagli e certezze: ma il presidente della Bce ha detto quanto basta per sostenere in prospettiva i BTp, che rappresentano nell’Eurozona il primo debito pubblico per stock (oltre 2.200 miliardi) e il primo emittente di titoli di Stato (aste lorde attorno ai 400 miliardi l’anno) e quindi un Paese di grandi dimensioni tra i più vulnerabili agli shock esterni e al rallentamento della crescita.
La prima buona notizia per il rischio sovrano dell’Italia è stata la conferma che lo scudo di protezione del QE verrà “ridisegnato” nelle prossime settimane o prossimi mesi per poter funzionare al meglio nella nuova costellazione di tassi molto bassi, gravato come è dal vincolo di acquisti confinati a bond che rendono più delle deposit facilities (-0,40%): ora tutti i titoli di Stato italiani sono acquistabili dalla Bce mentre entrano nel pool solo i titoli tedeschi con vita residua tra 8 e 30 anni (fuori le scadenze molto liquide a due e cinque anni). Entro fine anno o al più tardi entro il prossimo marzo, stando alle stime di esperti della materia, tutti i titoli tedeschi non saranno acquistabili dalla Bce. Tra le opzioni allo studio, Draghi ha fatto sapere - novità assoluta e affatto scontata - che c’è anche la revisione della regola della capital key, la ripartizione degli acquisti di titoli di Stato con quote per Paese assegnate in base al peso delle banche centrali nazionali nel capitale della Bce, stabilito in relazione al Pil e alla popolazione e che vede svettare la Germania (26,3%), seguita da Francia (20,7%) e Italia (18%).
Se e come verrà cambiata la chiave capitale non è dato saperlo: tuttavia se questo vincolo fosse rimosso «l’Italia sarebbe uno dei Paesi che ne trarrebbe sicuramente il maggior beneficio», ha detto Giovanni Zanni, economista e strategist del Credit Suisse. Draghi ieri ha anche detto, in maniera esplicita, che tutti i Paesi dell’Eurozona devono portare avanti le riforme strutturali ma nel caso della Germania ha puntualizzato che dovrebbe usare «lo spazio fiscale» che ha a disposizione. «I criteri europei indicano un deficit allo 0,5% per il pareggio di bilancio mentre la Germania secondo i dati del primo semestre ha un surplus primario vicino all’1,2% quindi ha molto spazio per emettere più titoli di Stato per sostenere la crescita», spiega Zanni, secondo il quale la Germania potrebbe essere invitata a mettere in circolazione più titoli di Stato acquistabili dalla Bce, a emettere più debito.«In termini di maggiore “supply” ci può essere una politica fiscale della Germania, quindi a livello nazionale, oppure si può espandere il piano Junker per gli investimenti europei, alternativa menzionata da Draghi», commenta Zanni.
Certamente il problema della scarsità dei titoli tedeschi si può risolvere con un’unica, semplice, banale modifica: basta rimuovere il vincolo sugli acquisti di titoli con rendimenti inferiori al tasso dei depositi presso la Bce. Ma un intervento di questo tipo sarebbe riduttivo e miope, in quanto l’acquisto di titoli venduti sopra la pari e con rendimento negativo genera una perdita sul bilancio della Bce ma soprattutto della Bundesbank (che rischia di pagare un dividendo più basso allo Stato oppure nullo).
In ultima analisi, anche il rinvio dell’annuncio di un QE più esteso nel tempo e nelle dimensioni o nella tipologia e composizione dei titoli acquistabili va a favore dell’Italia. La Bce impiegherà le prossime settimane per caricare al massimo il suo “bazooka”: tutte le munizioni resteranno in canna, pronte ad essere utilizzate entro fine anno quando ve ne sarà più bisogno. E non si tratta a questo punto soltanto delle aspettative sull’inflazione nel medio termine o sulla crescita: nei prossimi mesi le turbolenze sui mercati avranno un’elevata componente di rischio politico, dovuto all’esito delle elezioni negli Usa e del referendum in Italia (senza contare che Brexit è una mina vagante). Se l’incertezza politica dovesse riservare brutte sorprese (tra le quali è molto temuta dai mercati la caduta del Governo Renzi) al punto da compromettere le prospettiva della crescita, non solo europea ma anche globale, (e di conseguenza l’inflazione), la Bce sarebbe armata fino ai denti, pronta a scenderebbe in campo alzando uno scudo QE con protezione massima.