di Carlo Di Foggia, il Fatto Quotidiano 8/9/2016, 8 settembre 2016
PENSIONATI, STATALI E IMPRESE: RENZI PROMETTE DI TUTTO PER IL SÌ
Partite Iva, pensionati, statali, imprese e via dicendo: qualche soldo in più a tutti, con bonus, sgravi, detrazioni e proroghe di misure temporanee. Approfittando delle miserie romane dei 5Stelle, la campagna d’autunno del governo è partita in anticipo. Un fiume di miliardi promesso martedì da Matteo Renzi a Porta a Porta da Bruno Vespa. L’obiettivo di questo modo di legiferare è nelle parole del presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd): “È prioritario risolvere una questione sociale che influenza milioni di persone (cioè i 17 milioni di pensionati, ndr) e quindi elettori, anche in vista del referendum costituzionale”. Più soldi, più voti per strappare il Sì a dicembre. Ecco una breve guida alla manovra d’autunno e agli oltre 25 miliardi promessi al netto degli obblighi da mantenere. Dove e se il governo li troverà è tutto da vedere. Di certo, invece, c’è che nessun intervento strutturale per far ripartire davvero il Paese è alle porte.
L’economia. È ferma. Il Pil nel secondo trimestre ha segnato zero: siamo in recessione industriale, consumi e investimenti frenano. Per l’Istat la seconda parte dell’anno sarà come la prima o peggio e questo significa che non solo l’1,2% stimato dal governo a fine anno è sfumato, ma anche lo 0,8% ora indicato come possibile è a rischio. Questo trascina in basso la crescita del 2017 e apre un buco nei conti da 3-5 miliardi a salire.
Il bilancio pubblico Con una vera crescita il problema non si porrebbe, ma da lì non si passa e il governo ha fretta. E così ripartirà la tarantella della “flessibilità”: è lo sconto sulla riduzione del rapporto deficit/Pil che deve andare verso il pareggio di bilancio (inserito in Costituzione), cioè il saldo zero tra entrate e uscite dello Stato. L’Italia s’è impegnata con l’Ue a rispettare il dogma, salvo rinviarlo sempre. Renzi l’ha spostato al 2019 e ora si va verso il 2020. Veniamo a oggi: dopo aver ottenuto uno sconto dell’1% del Pil (16 miliardi) per quest’anno, il governo vuole altri 10 miliardi per il 2017. Solo che per l’anno prossimo la flessibilità già ce l’hanno accordata. Nel documento di bilancio è previsto infatti un deficit/Pil all’1,1% mentre la Commissione Ue a maggio ci ha concesso di portarlo all’1,8% (11 miliardi in più) vincolandoci a una correzione dello 0,6%. Questa è la situazione a bocce ferme: se nel terzo/quarto trimestre il Pil dovesse essere negativo, il buco salirà come la possibilità di subire una procedura per debito eccessivo. Il “rischio Paese (leggi spread) è anestetizzato dalla Bce, ma se la crisi bancaria dovesse peggiorare, alle porte c’è solo il Fondo salva Stati (cioè la Troika).
Clausole. Quelle di “salvaguardia” servono a rassicurare l’Ue in caso di sforamento degli obiettivi di bilancio. Le ultime in ordine di tempo sono in gran parte di Renzi, che però ha promesso di “sterilizzarle”, cioè di prendere le risorse da qualche parte (tagli di spesa o aumenti di tasse) e rimandare il problema di un anno: nel 2017 valgono 15,1 miliardi di aumenti automatici dell’Iva e 19,5 miliardi dal 2018 (compreso l’aumento delle accise sui carburanti). Per il 2017, una parte (5 miliardi) è azzerabile con la flessibilità già ottenuta, il resto va trovato.
Pensioni. Il blocco delle rivalutazioni voluto da Monti (2012-2013) ha sottratto 9 miliardi ai pensionati. La norma è stata bocciata dalla Consulta, ma il governo gli ha restituito le briciole col “bonus Poletti”.
Ora, però, quei 17 milioni di voti servono e così promette di allargare la platea dei pensionati che ha diritto alla 14esima istituita da Prodi: è riservata a chi ha un reddito fino a 750 euro mensili (2,2 milioni di persone) che verrebbe alzato a mille euro. “Sono 50 euro al mese in più”, dice Renzi, che mesi fa prometteva gli 80 euro ai pensionati al minimo (1,7 milioni di persone). Poi c’è la flessibilità in uscita per chi è a tre anni dalla pensione.
L’unico piano che non penalizza troppo chi lascia il lavoro – quello di Damiano – costa 3 miliardi subito e 8 a regime. Il governo invece ha ideato l’“Anticipo pensionistico” (Ape): si va in quiescenza chiedendo un prestito bancario garantito dallo Stato che poi si ripaga con la pensione. “Si perdono 20-30 euro al mese”, assicura Renzi. In realtà è di più e infatti per evitare che la misura si rilevi un flop si pensa anche di spingere chi ha una pensione integrativa a farsi anticipare la rendita in cambio di sgravi fiscali. Tutto questo, oltre al dare gli 80 euro ai pensionati al minimo e ad allargare di un minimo la no tax area costa 2,5 miliardi.
Statali. Il contratto è bloccato dal 2009: 130 euro di perdita netta al mese e un risparmio di 35 miliardi per lo Stato. Renzi ora promette di metterci più dei 300 milioni già stanziati (8 euro al mese in più per 3,3 milioni di persone). I sindacati hanno chiesto 7 miliardi, il governo ne concede 2-3, che però non andranno a tutti ma saranno “legati al merito”.
Irpef. Il taglio promesso da Renzi è sparito. Ora si annuncia solo quello delle aliquote alle 500 mila partite Iva non iscritte a ordini professionali, alle imprese individuali e alle società di persone. Costo: 1,15 miliardi.
Imprese. Oltre il taglio dell’Ires di 3,5 punti (riguarda chi fa utili) restano solo la proroga delle misure una tantum: gli sgravi contributivi al 40% (o meno) per le assunzioni stabili (vale 1 miliardo) e i super ammortamenti al 140% per gli investimenti (un altro miliardo). Sparito il taglio strutturale del cuneo fiscale.
Varie. C’è il rinnovo delle vecchie promesse: i 500 euro ai 18enni e ai professori (500 milioni). Poi la proroga dell’ecobonus, del bonus bebè, la detrazione per chi compra immobili (500 milioni) e le spese obbligatorie (solo le missioni militari costano 2 miliardi).
Casa Italia Il piano pluriennale per mettere in sicurezza le case vale 2,5 miliardi. Per Bruxelles non si possono scorporare dal deficit: vanno quindi trovati.
Sanità Ci sono 2 miliardi in più. Ma le Regioni temono che Renzi faccia come nel 2015: ne promise 5 e ne diede 1.
di Carlo Di Foggia, il Fatto Quotidiano 8/9/2016