varie, 8 settembre 2016
APPUNTI ULTIME BOLOGNA – LUCA AQUINO, LA GAZZETTA DELLO SPORT 8/9 – Un corteggiamento lungo un’estate e il colpo dell’ultimo minuto
APPUNTI ULTIME BOLOGNA – LUCA AQUINO, LA GAZZETTA DELLO SPORT 8/9 – Un corteggiamento lungo un’estate e il colpo dell’ultimo minuto. Questa la genesi degli arrivi a Bologna di Umar Sadiq e Federico Viviani. L’attaccante nigeriano è stato un pallino della dirigenza rossoblù fin dalle prime curve del mercato, prima come eventuale contropartita per l’approdo di Diawara alla Roma poi slegato da quell’operazione. Una trattativa andata per le lunghe fino all’ultimo giorno utile per trovare l’accordo sulla formula del prestito: diritto di riscatto (4 milioni) per i rossoblù e di controriscatto (7 milioni) per la Roma. KANU Reduce dal bronzo olimpico con la Nigeria (4 gol in 6 partite a Rio), Sadiq arriva come vice Destro e con un potenziale che ha già fatto intravedere nelle comparsate in giallorosso della scorsa stagione (6 presenze e 2 reti in 187’ totali). «Bologna è una grande opportunità – dice il 19enne, primo nigeriano nella storia rossoblù e in patria accostato a Kanu -. Anche solo allenarmi con attaccanti come Destro o Floccari servirà a farmi crescere». Per il momento, però, Sadiq dovrà attendere. Deve ancora scontare un turno di squalifica rimediato nel campionato Primavera (6 giornate per una gomitata a un avversario nel derby), ma soprattutto è fermo ai box per una botta alla caviglia patita nell’ultimo allenamento con la Roma: «I tempi sono un po’ più lunghi di quello che ci aspettavamo, ma non è nulla di grave. Se non è una, saranno due settimane», ammette il direttore sportivo Riccardo Bigon. PORTIERI Sul piano medico non è stato un grande inizio per il Bologna. Dal malore di Mirante, su cui si avranno più certezze per il recupero a inizio prossima settimana ma si parla di un paio di mesi, alla frattura alla mano dell’altro portiere Gomis (è stato operato ieri: 30-40 giorni i tempi di recupero) che costringerà i rossoblù a tornare sul mercato con sondaggi per Pelizzoli e Avramov: «Una decisione che prenderemo nel giro di un paio di giorni», spiega Bigon. I problemi fisici spera di esserseli lasciati alle spalle Federico Viviani, reduce dalla tribolata stagione di Verona e ingaggiato dal Bologna proprio allo scadere del calciomercato. È l’unico regista puro di Donadoni: «Ho lavorato tanto questa estate, accorciando le vacanze per essere al 100% – dice -. La concorrenza fa bene, stimola sempre a fare meglio». *** SIMONE MONARI, LA REPUBBLICA 5/9 – Si fa presto a dire regista. E ancor prima a definirlo. Il gioco passa tutto da lui, è uno dei cliché. Ma è proprio così? Cosa serve oggi per fare il regista? Un mediano, un playmaker, uno che lanci lungo, uno che sappia difendere? Sono domande cui sta cercando di rispondere, fra i tanti, anche Roberto Donadoni. Che ha perso Diawara e deve sostituirlo. Una poltrona per tre, parafrasando, quasi, un film riuscitissimo. I tre sono Erik Pulgar, che lo scorso anno faceva la mezzala e che ha giocato davanti alla difesa sia col Crotone che col Torino; Adam Nagy, che Donadoni sta provando proprio mezzala, ma che in Ungheria giostrava da play; Federico Viviani, che ha rilevato Crisetig (prestato al Crotone), dei tre probabilmente quello che più risponde ai canoni classici del ruolo. Diawara, nonostante il gran lavoro fatto nei mesi scorsi con Mario Bortolazzi, collaboratore di Donadoni, non era migliorato né nel lancio lungo né nel tiro. Ma non si può dire che non sia un giocatore tecnico, per la precisione e la rapidità con cui impostava il gioco ("stop e passaggio, quella è la tecnica", ricordava una sera a cena a Sestola Piero Bisoli, nella sua breve parentesi da allenatore rossoblù), per la capacità di proteggere il pallone. Le sue qualità difensive, il senso della posizione, la capacità di schermare il gioco avversario, e la velocità d’esecuzione e ancor prima di pensiero, ne fanno un giocatore di enormi prospettive e rara modernità. "È più forte di Felipe Melo", ripete spesso Corvino, che lo ha portato a Bologna. Rimpiazzarlo non è semplice. Donadoni è convinto che Pulgar debba specializzarsi in questo ruolo, mentre di Nagy ripete spesso che è in grado di interpetare tutte e tre le posizioni della mediana. Pulgar ha un ottimo lancio ed è in grado di testa di farsi sentire, particolare non da poco per un ruolo che richiede, in tante situazioni difensive, di arretrare a centrale. Nagy, che ha corsa e inserimento e, nonostante un’apparente gracilità, nei contrasti sa farsi rispettare, è comunque fisicamente meno prestante e meno adatto al gioco aereo. Forse per questo sinora Donadoni ha scelto Pulgar per il post Diawara. Ma il cileno deve dimostrare di crescere in personalità, sbagliando meno a ridosso della sua area e soprattutto riuscendo a sopportare meglio i propri errori. Che in quella zona del campo sono spesso letali. Col Torino si è visto. Si chiama leadership. Direte: e Viviani? Donadoni ha appena cominciato ad osservarlo, le qualità di impostazione sono evidenti. Fu Stramaccioni ad inventarlo regista nelle giovanili della Roma, dove Viviani faceva l’attaccante. Ma attenzione: detto che Pirlo resta un unicum, più che un modello, replicabile forse in Verratti, c’è stato un tempo in cui il trequartista veniva arretrato in regia. Quel che grazie a Mazzone successe proprio a Pirlo (o a Riquelme nel Villareal). Ci fu anche l’ondata dei medianacci. L’ultimo è il pitbull Medel. Qui si ricordano, in coppia, Mudingayi e Perez. Oggi la tendenza sembra un’altra. Molti allenatori preferiscono la giocata semplice, immediata, basti pensare ai vari Busquets al Barcellona, Fernando e Fernandinho al City per restare ad altissimi livelli. Giocatori lineari, tecnici, ma non fantasisti. Ovvio, dipende tutto dalla costruzione della squadra. Dalle caratteristiche degli interni e delle punte. In fondo, pensano in tanti, le giocate chiave sono quelle a ridosso della trequarti avversaria (la cui efficacia finisce per condizionare spesso i giudizi di chi gioca trenta metri più indietro). Nella propria è importante, oltre all’interdizione (Spalletti, per dire, non ama Paredes perché recupera pochi palloni), la pulizia del passaggio. Fatto bene, fatto in fretta. E con molta lucidità. Per questo Diawara era un intoccabile anche se di sue giocate da tre punti non ne vengono in mente. Per questo Pulgar deve ancora migliorare tanto. *** LUCA BACCOLINI, LA REPUBBLICA 8/9/2016 Quando tutti pensavano che il problema dell’estate fosse trovare l’alternativa a Destro, di colpo s’è aperta la cataratta dei portieri. Contro il Cagliari, domenica alle 12.30, Angelo Da Costa giocherà senza vice. O meglio: dietro di lui, senza Mirante e Gomis, s’accomoderà il quarto portiere Fallou Sarr, diciannovenne di natali senegalesi, prodotto del vivaio locale. Incredibile a dirsi, ma la questione si sposta di nuovo sull’incerta piattaforma del mercato. Con due scuole di pensiero: aspettare gli esami medici definitivi di Mirante e proseguire nella diarchia Da Costa-Sarr; oppure ricorrere a un portiere svincolato (Vlada Avramov, classe 1979, o Ivan Pelizzoli, 1980), da sistemare al posto dell’infortunato Gomis, vittima l’altro ieri di una frattura al mignolo della mano destra e bloccato per 40 giorni. Affinché la vicenda non assuma contorni grotteschi, a Casteldebole s’è deciso di prendere altre ventiquattr’ore di tempo, attivando comunque i canali che porterebbero ai possibili nuovi innesti. «I nomi degli svincolati li sapete – faceva spallucce ieri il diesse Riccardo Bigon -, se ne arriverà uno sarà sicuramente italiano o con esperienza in serie A, perché non ci sarebbe il tempo materiale per inserire nel gruppo uno straniero che non parla la lingua ». Dalla risposta, insomma, s’intuiva che l’idea del «sostituto del sostituto» stesse galoppando. Ma altrettanto forte soffiano le controindicazioni, dall’eliminazione di un giocatore dalla rosa all’aggiunta di un altro ingaggio da 200.000 euro lordi. In definitiva: se gli esami che Mirante concluderà all’inizio della prossima settimana promettono di restituirlo entro una trentina di giorni, il Bologna assumerà il rischio calcolato di tenere il duo Da Costa-Sarr, pregando i numi di conservarli intatti. Altrimenti, largo al nuovo. Questi ragionamenti s’incastonavano ieri nella doppia presentazione (mancavano le maglie azzurre, ma sembrava quasi d’essere a Coverciano...) di Umar Sadiq e Federico Viviani, rispettivamente attaccante di scorta e regista titolare in pectore. Al primo, cresciuto nella scuola calcio nigeriana di Gabriele Volpi, il magnate spezzino cui fu attribuita nel 2011 una trattativa d’acquisto del club, ci si rivolgeva solo in inglese, nonostante tre anni buoni di permanenza in Italia, tra Lavagnese, Spezia e Roma. Sadiq sta guarendo da una botta alla caviglia, ma tanto col Cagliari non avrebbe potuto giocare, per effetto di una squalifica ottenuta nella Primavera della Roma (una gomitata da sei turni, nel derby baby con la Lazio). Del secondo, invece, sono note le ambizioni: «Mi piace Pirlo e come caratteristiche mi sento un po’ come lui, con le ovvie proporzioni che si devono fare parlando di un campione ». Bigon lo prese a Verona, retrocedendo, «e ora – spiegava Viviani – mi ha ripreso qua. Ha molta fiducia in me». E anche in Destro, se l’alternativa si chiama Sadiq, sei presenze appena in A. «Ma i gol – obiettava Bigon – non li fa solo l’attaccante. E uno come Mattia, nella nostra fascia, non ce l’ha nessuno. Non esistono mai stagioni facili, prepariamoci a un grosso impegno, ancor più difficile dell’anno scorso». Se il buongiorno s’è visto dai portieri, impossibile dargli torto. *** LA REPUBBLICA 8/9/2016 – UNO striscione interrotto a metà, come fu la carriera di Arpad Weisz, strappato nel 1938 alla panchina del Bologna, e sei anni più tardi alla vita, dalla follia delle leggi sulla razza. Il Centro Coordinamento dei Club rossoblù inaugura domenica un ricordo sul grande allenatore ungherese: un telo per metà in bianco e nero, e per metà rossoblù, con il suo nome. E a lui è dedicato pure il nuovo club affiliato “Arpad Weisz”. (lu.bac.) *** EMILIO MARRESE, LA REPUBBLICA 7/9/2016 – Questione di coraggio, era il titolo del workshop. E Roberto Donadoni ne ha dimostrato subito un po’ presentandosi, davanti a qualche centinaio di imprenditori e manager bolognesi, in braghe corte. Relatore tra un allenamento e l’altro, il tecnico del Bologna non ha fatto in tempo a dismettere la tenuta da lavoro e s’è accomodato sul palco in calzoncini e t-shirt rossoblù da campo, sotto lo sguardo in prima fila di Alberto Vacchi e Marino Golinelli (in giacca rosa confetto, a proposito). Accanto a Donadoni, guest star anzi cometa, visto che è dovuto scappare presto di nuovo in campo a Casteldebole, l’architetto Mario Cucinella, il farmaceutico Sergio Dompè e Massimiliano Magrini, fondatore di Google Italia. Prima domanda per l’attesissimo allenatore: come fare per diventare più forti? Quello che tutti i tifosi del Bologna si chiedono, in fondo. Donadoni ha inserito il pilota automatico, parlando dei temi a lui più cari: valori, educazione, crescita. «Mi conoscono tutti per quello che ho fatto col Milan e con la Nazionale, ma quel periodo è stato solo il frutto degli insegnamenti dei miei genitori e di quello che ho imparato dai 9-10 anni fino alla prima squadra dell’Atalanta: sono stati quelli gli anni fondamentali per capire cosa significa fare qualcosa non solo per te stesso. Il vero coraggio è quello di fare qualcosa per gli altri, perché quello che fai solo per te alla fine ti dà poca soddisfazione e difficilmente ti fa lasciare un ricordo di un certo tipo ». Parole che sarebbero piaciute a monsignor Zuppi, molto simili alle sue e a quelle ascoltate in questi giorni di Farete da quello stesso microfono: più da raduni di missionari, che da convention di businessmen. A Donadoni adesso tocca trasmetterli, questi valori, come spesso ripete ai cronisti abituali di pallone e come aveva fatto poco prima di intervenire al dibattito: «Quest’anno sarà più difficile di quello scorso e dovremo fare tanta fatica – aveva ribadito -. Ci si lamenta sempre che non si punta abbastanza sui giovani e quando lo si fa ci si lamenta lo stesso. Certo, i giocatori più affermati ti danno maggiori garanzie, coi giovani ci sono più incognite, però è una bella sfida farli crescere e migliorare». Concetti poi ripresi e illustrati sul palco: «Ho a che fare con ragazzi dai 17 ai 36 anni con esigenze molto diverse e non è facile riuscire a trasmettere la propria esperienza affinché loro non ripetano gli stessi sbagli che ho commesso io». No, non è facile e lo testimonia la vistosa fasciatura alla mano destra rimediata prendendo a cazzotti un muro nello spogliatoio di Torino dieci giorni fa. «I giovani oggi sono diversi, presi da mille cose, e non è facile fargli capire determinati valori: quell’obiettivo per me vale più di una Coppa dei Campioni. Ma spesso i ragazzi per capire le cose devono sbatterci la testa». Immancabile (ma forse no), parlando di coraggio, la citazione del moderatore di De Gregori e dei suoi rigori da cui non si giudica un giocatore. «Ho perso una finale mondiale ai rigori (e ne sbagliò uno in semifinale a Italia 90, ndr), ma reagire all’errore, pensare a quel che c’è dopo è sempre stata la mia forza, anche nelle vittorie. Per questo ho perfino esagerato nel non esultare, facendomi la fama di quello freddo e distaccato: garantisco che vorrei tanto esserlo e tutto sono tranne che freddo e distaccato». La fasciatura continua a testimoniarlo. «A me non spaventano gli errori dei giocatori: io non sopporto chi non ci prova, chi non sa tirare bene e allora evita di farlo per risparmiarsi critiche o figuracce. A me invece piace la gente che sbaglia perché ci prova. Se non ci provi, rimani uno qualunque». Provare, provare, provare… «Sappiamo tutti far correre una squadra 12 o 13 chilometri a partita, ma la grande differenza la fa quello che trasmetti ai giocatori. Tutto il resto è già stato scoperto: è lì, sulla testa, che dobbiamo saper lavorare». *** LA REPUBBLICA 7/9/2016 Dio salvi Da Costa, è il nuovo inno del Bologna, che da ieri non ha più a disposizione Alfred Gomis, il secondo portiere in carica dopo il forfait temporaneo di Antonio Mirante, alle prese con gli esami medici che stabiliranno i tempi precisi del rientro. Gomis, appena arrivato in prestito dal Torino e ancora in attesa di presentazione ufficiale, si è rotto in allenamento il quinto dito della mano destra. Se salta pure Da Costa, e tutti incrociano ogni dito possibile, i guantoni andranno a Fallou Sarr. Frattanto, cresce l’ottimismo sul rientro del titolare di ruolo. «Gli accertamenti a cui è stato finora sottoposto Antonio Mirante presso il Policlinico Gemelli di Roma portano a ipotizzare una prognosi ottimistica». Così s’è espresso prudentemente il Bologna, con un comunicato apparso ieri sul sito ufficiale, che farebbe intendere un pronto reintegro. «Sono in corso altri esami – ha aggiunto la società -; nei prossimi giorni forniranno ulteriori elementi per stabilire in maniera più precisa i tempi di recupero». *** FRANCESCA BLESIO, CORRIERE DI BOLOGNA 8/9 – Bisognerà attendere il quinto mese del calendario gregoriano per conoscere la bontà del lavoro svolto quest’estate dal Bologna. «Sarebbe facile dire oggi che tutti gli obiettivi indicati li abbiamo centrati, ma in realtà solo a maggio sapremo se abbiamo fatto bene o male», ammonisce Riccardo Bigon, a conclusione della sua prima sessione di mercato in rossoblù. In realtà il mercato non è ancora finito. C’è da sistemare la sfortunata situazione dei numeri uno. Il doppio forfait di Mirante e Gomis costringe il club a valutare l’opportunità di un ultimo innesto, sempre in quel ruolo. «È un argomento delicato per via di Antonio, che in questo momento sta vivendo un momento non facile. Le notizie sul suo recupero — prosegue Bigon — sono confortanti e speriamo continuino così. Avevamo tesserato Gomis ma la fortuna non ci ha aiutato e ora stiamo pensando a come muoverci. Da Costa dà fiducia, Sarr è di grande prospettiva, ma dobbiamo valutare i tempi di recupero di chi è fuori e le possibilità che abbiamo sul mercato, visto che ci resterebbe da scegliere solo tra gli svincolati. Decideremo entro due giorni, comunque». Sui nomi usciti — Avramov e Pellizzoli, tra gli altri — il direttore sportivo non si sbilancia se non per restringere il campo: «Stiamo ragionando solo su portieri che conoscano già la serie A». Se la tegola di Mirante non era certo preventivabile, il mancato arrivo di una spalla per Destro ha lasciato piuttosto interdetti, se non preoccupati, alla luce degli stenti di cui ha sofferto il Bologna sotto porta (ultimo attacco nella stagione scorsa). Bigon ribalta la prospettiva, spalmando il peso dell’attacco su tutto l’undici. «Noi abbiamo il centravanti più forte della nostra fascia, Destro, ma i gol non li fa il centravanti da solo: lui è il finalizzatore di un gioco che parte dai piedi di ogni giocatore in campo (così come in difesa non dipende tutto dal portiere) — ragiona il ds —. Non vedo quale sia il problema: dietro a Destro abbiamo uno d’esperienza come Floccari e uno che ha qualità e numeri come Sadiq, per il resto abbiamo lavorato portando altri tre-quattro giocatori nuovi a rinforzare il reparto. Poi se si ragiona su certi nomi che ci hanno accostato, come Gabbiadini, beh, quelli erano obiettivi impossibili, che nessuno della nostra fascia tra l’altro ha preso». Le parole di Donadoni ripetute in Fiera due giorni fa («ci sarà da faticare», «sarà un campionato più difficile dello scorso anno») non erano incoraggianti, alla luce tra l’altro di un tonante 5-1 rimediato nell’ultima trasferta. «Donadoni ha ragione. Il passato non conta e si riparte sempre da zero. Sarà una stagione complicata e tutti dovranno lottare e soffrire ma anche i nostri avversari: quello italiano non è il campionato più bello del mondo ma è sicuramente il più difficile. Abbiamo qualità da sfruttare e difficoltà da sopperire. Dire se questo Bologna farà meglio o peggio dello scorso anno non è possibile, come inutile è dire se siamo più forti o meno: non giochiamo con le pedine, è un altro campionato ed è un’altra squadra». Il percorso che il Bologna sta facendo «dal suo ritorno in A dovrebbe comunque portare a un miglioramento naturale del gruppo — ha detto —. La rosa è omogenea: non ci sono solo ragazzini, ma anche 8 o 9 uomini di esperienza e diversi giocatori sui 24 anni che giovanissimi non sono più. Sono soddisfatto del lavoro che stanno facendo tutti loro quotidianamente con Donadoni: questa per me è già una garanzia. Poi siamo stati dentro alle indicazioni e ai paletti della società, fondamentali per costruire il nuovo Bologna partendo da giovani di livello e prospettiva: ora tocca dimostrare la qualità del lavoro sul campo». Sul finale, uno strappo alla regola. «Le potenzialità sono buone, possiamo toglierci delle soddisfazioni». Ci si può sbilanciare, sebbene di un niente, anche prima di maggio. Francesca Blesio *** FRANCESCA BLESIO, CORRIERE DI BOLOGNA 7/9 – Il tempo delle attese è finito. Roberto Donadoni, seppur tenendo bassi i toni e ripetendo concetti antichi, fa sapere che migliorare rispetto alla stagione scorsa sarà un’impresa. È il desiderio espresso da Joey Saputo, per cui hanno lavorato i dirigenti in estate, ma il pallino del gioco ora lo ha Donadoni. Il mercato è finito, la squadra può aggiustarsi con il rientro repentino di Mirante. Starà al tecnico rendere competitiva una rosa zeppa di giovani di belle speranze e di punti interrogativi. Prima di salire sul palco della Fiera in occasione di Farete, invitato a discutere di coraggio e d’impresa, Donadoni annuncia che «ci sarà da fare fatica». Il concetto non dev’essere chiaro a tanti, visto che l’allenatore cita nuovamente se stesso. Lo fa però a mercato chiuso, senza l’auspicio che qualche acquisto dell’ultima ora possa migliorare le aspettative. «Quest’anno sarà più difficile dell’anno scorso — dice —. Molti pensano che in virtù di ciò che si è fatto, tutto quel che si costruirà partirà da lì, ma non è così. Quindi rimbocchiamoci le maniche e guardiamo avanti con ottimismo». Non si butta via tutto, ovviamente, ma non si riparte dagli assist di Giak, né dalle geometrie di Diawara e nemmeno dalla rimonta dell’autunno scorso. Si parte da un gruppo di giovani di valore. Qualche perplessità però la nutre anche lo stesso allenatore. «Da sempre si sente dire che è giusto che è giusto dare spazio ai giovani, no? Poi quando si ha la possibilità di averli magari ci si lamenta più del necessario — fa presente — È chiaro però che quando si hanno giocatori più affermati, con alle spalle un background di un certo tipo, può essere una garanzia superiore. È bello lavorare con i giovani, ma è ovvio che ci sono tante incognite, tante piccole difficoltà che strada facendo puoi trovare: bisogna cercare insieme di risolverle, di migliorare, di crescere. Ci sarà da fare, come ho detto all’inizio della stagione, tanta fatica». Il forfait di Mirante, almeno, sembra preoccuparlo il giusto. «Mi auguro che torni con noi quanto prima e sono convinto che non sia niente di particolarmente serio: sono ottimista, e sono anche sicuro che tornerà a giocare come sa». Mentre parla ancora non può immaginare che di lì a qualche ora perderà pure Gomis per una frattura alla mano destra. Fortuna che Da Costa c’è. «Siamo in tanti: cerchiamo di aiutarci l’un l’altro», chiude parlando del vice Mirante. Quando lo chiamano sul palco, a parlare di coraggio e di motivazioni (tra il pubblico ieri c’era anche il mental coach dello staff di Stefano Pioli, Antony Smith), Donadoni ricorda che «tutti noi allenatori sappiamo far correre una squadra, la differenza oggi la fanno in valori che riesci a trasmettere, la mentalità con cui la squadra scende in campo. Una delle cose che dico sempre ai ragazzi è di provare: non sopporto chi non lo fa. Preferisco la gente che sbaglia perché ci prova». Di errori, nell’ultimo match, ne sono stati fatti in abbondanza. Come si fa a non essere ottimisti? «Metà gara l’abbiamo disputata alla pari del Torino. Dobbiamo riscattare il risultato negativo e allenare la anche l’aspetto mentale», ammonisce lui. Per quello serve un allenatore. Bravo. Donadoni ha dimostrato di essere all’altezza del compito. Il Bologna però questa volta gli ha chiesto di più: gli ha chiesto l’impresa. Bisogna provarci, esattamente come dice lui. Francesca Blesio