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 2016  settembre 03 Sabato calendario

LA VIA DEL GRAFENE


Greta ha 29 anni, le lentiggini e ai piedi ballerine color argento. Greta si alza presto la mattina e, dal suo appartamento in affitto a Nervi, impiega 40 minuti per arrivare in ufficio, mai dopo le 8, altrettanti per tornare a casa la sera, e ai fornelli se la cava così così. Greta ama il suo lavoro, la sua famiglia che sta a Vimercate e andare a cavallo, alle spalle ha ottimi studi ed esperienze all’estero. Potrebbe essere insomma una Millennial come tante – un po’ più fortunata di tante – non fosse che Greta Radaelli ha qualcosa di speciale. Perché nel suo ufficio, all’interno dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, è a capo di un’impresa che vale un tesoro. Molto più del miliardo di euro scommesso dall’Unione Europea per finanziare il più importante progetto di ricerca del continente (23 i paesi coinvolti, 155 i partner, fino al 2023) sul grafene, il materiale superintelligente del futuro che potrebbe prendere il posto della plastica in quanto a diffusione, facendo moltiplicare in modo esponenziale il valore del miliardo investito sul Flagship Graphene.
Ma partiamo dall’inizio. Era il 2004 quando gli scienziati russi dell’Università di Manchester Andre Geim e Konstantin Novoselov lo scoprirono, isolando dalla grafite (quella che si usa per le matite) una forma di carbonio che si presenta in sottilissimi fogli di 0,4 milionesimi di millimetro, lo spessore di un solo atomo, con la struttura a cella d’ape, esagonale, naturalmente perfetta. Sei anni dopo, la scoperta valse il Nobel ai due studiosi. Altri sei anni ci vollero prima che all’IIT – che già accoglieva i Graphene Labs di Vittorio Pellegrini – fosse consentito di partecipare alla creazione di BeDimensional, l’impresa di cui Greta è oggi amministratore delegato. Una storia, quella di questa giovane ricercatrice italiana con laurea in Ingegneria fisica, dottorato di ricerca al Politecnico di Milano, un internship a Barcellona e un post doc a Parigi, che conduce a un’altra vicenda, in cui l’istituto genovese ha un ruolo fondamentale. Qui infatti (grazie all’emendamento che ha consentito la partecipazione finanziaria di un centro statale agli investimenti in un’impresa) è nata la startup, che oltre a Radaelli coinvolge altri tre soci fondatori: Pellegrini, lucchese classe 1969, Ilker Bayer, ricercatore nel campo dei nanomateriali, nato nel 1972, e Francesco Bonaccorso, responsabile della road-map sulle sue applicazioni, del 1976. Il fatto che Greta, nata a Monza nel 1986, sia la più giovane del team, non le crea alcun complesso di inferiorità. Semmai, l’opposto: «Nel mondo delle startup, alla mia età sei una vecchietta!», bizzarra teoria della relatività che ci espone mentre ci accompagna nel labirinto di laboratori, computer, prototipi, apparecchiature e oggetti misteriosi.
Ad attraversare i 40mila metri quadri dell’IIT appollaiati sulla collina di Morego, fuori Genova (a cui si aggiungeranno a settembre i 400 della nuova fabbrica adibita alla produzione di grafene), si ha la sensazione che se davvero esiste un mondo nella galassia scientifica in cui i giovani rappresentano il futuro, quel pianeta è qui. Nel centro diretto da Roberto Cingolani (nato nel ’61, è il fisico pluripremiato che intravediamo arrivare a bordo della sua moto), dove in sala mensa si pranza fusion e nei distributori automatici trovi piatti pronti a base di quinoa, i dipendenti sono 1.470, l’età media è 34 anni, il ricambio è del 60% ogni 3 anni e la percentuale di stranieri del 46%. Un melting pot di cervelloni di ogni etnia che ti fa sentire più vicino alla Silicon Valley o agli studios di Hollywood, quando arrivi all’arca dedicata allo studio della robotica e dei droni (è qui che è nato il robottino-gioiello iCub, ma questa è un’altra storia ancora). Solo nell’ultimo anno il centro («rising star» italiana della ricerca, secondo l’ultima classifica della rivista Nature) ha partecipato alla creazione di una quindicina di startup, al lavoro su progetti legati a nanotecnologie, robotica, chimica e smart materials. La BeDimensional, che opera appunto in quest’ultimo campo, è partita con un’iniezione di 1,5 milioni di euro. «Il primo investitore è stato LigurCapital, ma si stanno aggiungendo altri imprenditori», racconta Greta. «Il primo ciclo produttivo sarà di circa 20 litri di inchiostro al grafene al giorno, l’equivalente di 400 grammi in forma solida, la polvere. Una produzione già interessante, se si considera che il grafene viene utilizzato come additivo per migliorare le qualità di altri materiali classici». Lo stato liquido di inchiostro, più facile da miscelare (lo si può “spruzzare” come i colori con un aerografo), lo rende un potenziale “oro nero” per le sue applicazioni: di certo non si limitano a migliorare le prestazioni delle racchette Head dei tennisti Murray e Djokovic o gli pneumatici delle bici da corsa (due impieghi usciti in passato dai laboratori scientifici per entrare nella pubblicità). «Stiamo parlando di un polimero che è il materiale più sottile al mondo, costituito da uno strato monoatomico di carbonio che ha caratteristiche uniche dal punto di vista elettrico, ottico e meccanico». Sostenibile e non tossico perché «è biocompatibile e se ingerito viene smaltito dal nostro organismo, perciò è ideale per protesi o come supporto per pelli artificiali», dice Greta. E insomma la superstar tra i materiali bidimensionali (a Manchester gli è ora dedicata una mostra). Inoltre è trasparente, malleabile e resistente 100 volte più dell’acciaio, estendibile il 120% della sua lunghezza, riesce a condurre l’elettricità 250 volte meglio del silicio e ne basta un grammo per ricoprire la superficie di un campo da calcio. Una rivoluzione annunciata, specie nell’elettronica o in campo energetico, per le capacità termoelettrice e conduttive. Tanto che la Market Research Engine ne ipotizza una crescita sul mercato del 40% a partire dal 2020.
L’Italia per il grafene è all’avanguardia. Oltre a IIT ci sono diversi gruppi di lavoro in enti di ricerca (dal Cnr in giù) e politecnici attivi (a Lomazzo ci sono le Officine del Grafene). Unico neo del super-materiale, il prezzo: 50mila dollari al grammo, più dei diamanti. BeDimensional utilizza un sistema produttivo brevettato «che lo fa scendere a circa 2 euro al grammo», aggiunge Vittorio Pellegrini, lo studioso lucchese che, per l’impegno e la ricerca, si può considerare a buon titolo il “Signor Grafene” da esportazione.
Insieme a Greta, ci mostra alcuni prototipi “arricchiti”: un casco da moto (per MomoDesign, sarà in commercio nei prossimi mesi), una scarpa da donna (per Fadel, una piccola ditta toscana che esporta soprattutto negli Emirati Arabi), un paio d’occhiali (per una grande, molto grande, multinazionale italiana). Così banali che sembrano piazzati qui, sul bancone hi-tech, per giocare a “trova l’intruso”, «ma sta proprio nel fatto che siano oggetti così quotidiani, la loro importanza», dice Radaelli. Perché la difficoltà più grande non è tanto scoprire nuove applicazioni scientifiche, procedere nella ricerca allargando i confini, ma attuare il “transfer tecnologico”, come lo chiamano in gergo. Ovvero fare uscire le idee e le formule dal laboratorio per farle entrare nei negozi: sotto forma di caschi da moto ultraresistenti e leggeri, scarpe termiche per tutte le stagioni (e così stoffe e tessuti ignifughi), occhiali light dalla montatura iperresistente, batterie di durata pressoché illimitata, monitor ultraflessibili, cavi elettrici superconduttori... «Un’operazione che viene sottovalutata», riprende l’amministratore di BeDimensional. «Dal punto di vista scientifico, spesso in questa fase vi è una semplificazione, ma l’ingegnerizzazione che permette di andare da un demo di laboratorio a un prodotto industriale è tutt’altro che banale. E quando riesce è sempre una grande soddisfazione».
La corsa all’“oro nero” è cominciata da un pezzo: nel 2011 erano 3.018 i brevetti depositati, nel 2013 8416, il che rivela come i ricercatori accademici e le maggiori aziende elettroniche si siano sbizzarrite, negli ultimi anni, a fare esperimenti e a pensare a come sfruttarne le potenzialità. Ma in questo campo generalmente passa molto tempo tra la scoperta e i risultati, il processo é lento e travagliato. «Ricorda un po’ la storia dell’alluminio», suggerisce Pellegrini, «che solo dopo anni e anni trovò una “killer application” nell’aeronautica». Anche il grafene è ancora alla ricerca di un’identità che sia davvero «disruptive e gli permetta di fare il salto».
Per la dottoressa Radaelli poi c’è un altro compito non semplice. E cioè attuare il transfer professionale: da scienziata, diventare manager, gestire i numeri dei bilanci d’impresa, ostici anche per un cervellone come il suo. «Ci vuole umiltà per intraprendere questo percorso, che è in totale discontinuità con il mio passato», spiega. «Devo confrontarmi con i problemi tipici di un’impresa: spazi per la produzione, ipotesi di produzione e vendita, budget, costi del personale ma anche delle utenze... E gli azionisti sono molto esigenti. Ho la fortuna di avere intorno tante persone con grandissima esperienza a cui potermi rivolgere per avere consigli e questo mi sta permettendo di imparare. Moltissimo». Del resto, la sua storia personale ha “solo” 29 anni. «Tra 10 anni mi vedo felice ed entusiasta del mio lavoro in BeDimensional, che spero sarà un riferimento per le tecnologie che utilizzano grafene, e anche in altre iniziative imprenditoriali che traghettano le scoperte della scienza al mondo industriale. Ma mi vedo anche e soprattutto con una famiglia mia: credo che un equilibrio tra lavoro e vita privata si possa trovare».