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 2016  settembre 06 Martedì calendario

“PENTITI, COSÌ LO STATO RISCHIA DI SVELARE LE LORO IDENTITÀ”

Un bonifico di alcune decine di migliaia di euro (in qualche caso anche centinaia), una somma parametrata su 5 anni di “stipendi percepiti”, per finanziare il nuovo progetto di vita: così lo Stato, fino a sei mesi fa, liquidava la collaborazione dei pentiti di mafia. Ma i tempi si sono fatti più duri anche per i pentiti, costretti nonostante il loro ruolo, a subire le rigidità burocratiche: dall’8 febbraio scorso, denuncia l’avvocato Carmen Di Meo, difensore di numerosi collaboratori di giustizia, una direttiva esplicativa della commissione centrale di protezione ha disposto che il denaro non verrà più bonificato, ma consegnato attraverso singoli e distinti assegni intestati ai fornitori degli immobili e degli arredi necessari al nuovo progetto di vita. Un accorgimento, spiega il legale, che il ministero ha adottato dopo avere scoperto che alcuni pentiti non avevano dato corso al progetto, dopo avere percepito le somme, ma che oggi “rischia di porre in serio pericolo la sicurezza dei collaboratori”. In che modo? “A differenza del passato – spiega il legale – il collaboratore è costretto oggi a pagare i fornitori con titoli emessi con modalità complesse che rischiano di creare legittimi sospetti negli interlocutori – non essendo chiara l’intestazione del conto da cui provengono le somme – modalità che rischiano, di fatto, di far saltare così la copertura. Ma non solo. Al momento della capitalizzazione la legge prevede sei mesi per cancellare dall’anagrafe l’identità fittizia del collaboratore, nonostante lo Stato gli assegni una scorta in tribunale per altri due anni, con il conseguente disvelamento delle generalità e della nuova residenza del collaboratore. Ciò pone a serio rischio l’incolumità personale dei collaboratori”.
Per il legale la direttiva non pone alternative, di fatto, ai pentiti: “Se la somma non copre il finanziamento del progetto, dovrà essere il collaboratore a integrare la parte residua: l’unica scelta è quella di rinunciare a tre quinti della somma, se la si vuol prendere in contanti, e accontentarsi di soli due anni di capitalizzazione – sostiene l’avvocato Di Meo –, ma si tratta di una somma così esigua che non basta a finanziare un reale progetto di vita. Ci sono stati anche casi in cui, con il minimo previsto per chi non ha una famiglia, e cioè 64 mila euro, il collaboratore ha dovuto pagare l’immobile, il notaio, le tasse, l’arredamento e non gli è rimasto nulla per la famiglia’’. Cosa è cambiato, dunque, nella gestione della fase finale della collaborazione con la giustizia? “Molti miei clienti si stanno chiedendo se il gioco vale la candela’’, conclude l’avvocato Di Meo.
di Giuseppe Lo Bianco, il Fatto Quotidiano 6/9/2016