di Andrea Scanzi, il Fatto Quotidiano 6/9/2016, 6 settembre 2016
ROBERTA VINCI ALLA RICERCA DEL NUOVO MIRACOLO
Per molti aspetti, i quarti di finale raggiunti agli US Open da Roberta Vinci non sono poi così meno eroici della storica finale di un anno fa. Ci avrebbero scommesso in pochi. Trentatré anni e mezzo, la Vinci ha detto che questa sarà l’ultima stagione. Si è lasciata uno spiraglio quando, a inizio 2016, ha vinto San Pietroburgo per poi coronare poco dopo il suo sogno: entrare nella top ten della classifica di singolare. Mese dopo mese, testa e fisico hanno cominciato a chiedere di rallentare.
A Roma e Parigi è uscita subito, a Wimbledon non è andata oltre il terzo turno. Evidentemente, anche se forse neanche lei sa bene il perché, gli US Open sono il suo Slam preferito.
Dal 2012 a oggi è arrivata almeno ai quarti di finale in quattro edizioni su cinque. Non sta giocando il suo miglior tennis. Dice che il tendine d’Achille fa sempre più male, e adesso ci si è messa di traverso pure la schiena. Si allena a fatica. Oggi affronterà la tedesca Angelique Kerber, che dopo questi US Open potrebbe essere numero 1 al mondo. È la più in forma del circuito e alle Olimpiadi si è fermata all’argento solo perché la favola della portoricana Puig era troppo bella per essere sporcata.
Anche la Vinci è essa stessa favola, per gioco e per grazia, ma probabilmente si è giocata ogni bonus-sorpresa con la gara della vita di un anno fa: sotto un set e un break con Serena Williams, che fino a quel giorno l’aveva sempre distrutta, si inventò il match perfetto e regalò bellezza senza pari. Bellezza e pure teatro. Dopo uno scambio assurdo si portò le mani alle orecchie e disse al pubblico: “Applaudite anche me, cazzo!”. Una delle sorprese più enormi nella storia dello sport.
I precedenti con la 28enne Kerber dicono due a due, ma sono vecchi di tre anni e più. La tedesca è data a 1.14, la tarantina a 6.20. E questo dà la misura del miracolo che dovrebbe inventarsi. Chissà. Potrebbe essere una sorta di saluto finale, anche se manca qualche torneo alla fine della stagione e magari Roberta ci ripenserà. In ogni caso, una campionessa così anacronistica e geniale è stata una delle poche meraviglie – intermittenti, ma purissime – della Wta post Graf e Seles. Merita applausi eterni. La Vinci avrebbe dovuto giocare ai tempi di Navratilova e Novotna, ma qualcuno chissà perché ha diversamente disposto.
E lei, artista divina, ha dovuto adattarsi al prosaico. In doppio ha vinto tutto e di più, ma proprio il doppio ne ha impedito a inizio carriera la progressione in singolare: si pensò, erroneamente, che una tennista così diversa dalle sparapalle urlanti potesse andar bene al massimo in doppio. E invece. Il suo best ranking in classifica, raggiunto quest’anno, è 7.
Forse l’ha fatto per mettersi in fila dietro le compagne con cui ha vinto doppi e Federation Cup: 4 Francesca Schiavone, 5 Sara Errani, 6 Flavia Pennetta. E poi lei. “Ultima” di una generazione di fenomeni, quasi a voler sottolineare una carriera da eterna sottovalutata. Da campionessa anomala. Da miraggio sublime.
di Andrea Scanzi, il Fatto Quotidiano 6/9/2016