Dario Di Vico, Corriere della Sera 3/9/2016, 3 settembre 2016
REALTÀ DEI NUMERI E IMPEGNI
Ieri abbiamo avuto due notizie, una cattiva e una buona. La prima è venuta dall’Istat che comunicando il dato definitivo del Pil del secondo trimestre 2016 ha purtroppo confermato le sue stime: crescita zero.La seconda è arrivata da Cernobbio dove il premier Matteo Renzi davanti alla platea di imprenditori ed economisti del tradizionale seminario Ambrosetti ha ribadito che abbasserà le tasse.Il verdetto sul Pil ha spiazzato il ministero dell’Economia che con scelta singolare e avventata aveva predetto solo tre giorni fa che la pallina non si sarebbe fermata sullo zero.Tirare l’Istat per la giacca è sbagliato dal punto di vista istituzionale e poi evidentemente non porta nemmeno fortuna.Onestamente un decimale non vale una guerra di comunicazione e alle prossime tornate il governo farà bene a non trasformare di nuovo i suoi economisti in aruspici.È vero che l’Istat ha anche corretto al rialzo (da 0,7 a 0,8 per cento) il dato del Pil anno su anno ma è il risultato di un arrotondamento tecnico legato alla destagionalizzazione e non ci dice nulla di nuovo sulla salute dell’economia reale.In parole povere saremo costretti ad attendere con il fiato sospeso anche i verdetti dei prossimi trimestri quando pur partendo da una crescita acquisita dello 0,7 per cento non è sicuro che riusciremo a raggiungere la fatidica soglia dell’1 per cento.
Del resto le immatricolazioni di auto non viaggiano più allo stesso ritmo dei semestri precedenti, i consumi si sono fermati di nuovo, le costruzioni non sono ripartite, l’indice di fiducia di imprese e famiglie è calato. E in più i venti neoprotezionistici che scuotono il globo non consentono ottimismo su un nuovo poderoso contributo delle esportazioni al Pil. Restano da vagliare l’andamento della produzione industriale e il contributo della stagione turistica in corso, sulla quale si fa molto affidamento in virtù dello spostamento delle destinazioni dalla Tunisia e dall’Egitto verso i nostri lidi. A metà del mese di dicembre sapremo.
Più in generale comunque non è certo tempo di illusioni, è chiaro a tutti che il dopo crisi si sta rivelando una bestia assai difficile da domare. I vecchi modelli interpretativi non funzionano più e il ministro Pier Carlo Padoan, sempre a Cernobbio, da economista con una robusta esperienza al Fmi e all’Ocse ha sottolineato che parlare di stagnazione secolare sarà un’esagerazione ma il malessere dell’economia planetaria è assai profondo. Ascoltando ieri in riva al lago di Como i guru delle previsioni, infatti, si è avuta la sensazione che anche loro vivano un momento di transizione: capiscono di dover adeguare la cassetta degli attrezzi, ancora però non ci sono riusciti e finiscono per usare quelli vecchi.
Torniamo però alla bella notizia. Renzi in un efficace botta e risposta con il pubblico ha affermato che, pur consapevole di dare un dispiacere a molti suoi compagni di partito «che vivono su Marte», abbasserà il tax rate ad iniziare dall’Ires, come del resto già previsto dalla scorsa legge di Stabilità. La domanda che sorge immediata è se/come il governo riuscirà a trovare le risorse per tener fede a un impegno che va considerato assolutamente corretto. Il ministro Padoan ha ricordato che 15 miliardi dovranno andare prioritariamente a evitare che scattino le clausole di salvaguardia e maturi addirittura la beffa sotto forma di nuovi aumenti tributari.
Per non finire quindi in un cul de sac l’unica strada che si para davanti a Renzi è accompagnare la scelta di ridurre le tasse con il rilancio delle riforme strutturali. Un’abbinata che Bruxelles in passato ha sempre apprezzato.