Fabrizia Mirabella, Libero 3/9/2016, 3 settembre 2016
GIORGIO TIRABASSI «SONO STUFO DELLE SERIE TV MA NON RIESCO A SMETTERE» – Principe della serialità italiana, Giorgio Tirabassi è, tra gli attori italiani, quello che in una veste o in un’altra, monopolizza le fiction del Belpaese degli ultimi trent’anni
GIORGIO TIRABASSI «SONO STUFO DELLE SERIE TV MA NON RIESCO A SMETTERE» – Principe della serialità italiana, Giorgio Tirabassi è, tra gli attori italiani, quello che in una veste o in un’altra, monopolizza le fiction del Belpaese degli ultimi trent’anni. Quest’estate, smessi gli abiti da poliziotto o ispettore, ha indossato quelli di «stornellaro» d’altri tempi e, accompagnato da una band di jazzisti d’eccezione, gira le piazze di tutta Italia, facendosi interprete di un’arte oramai in disuso: quella della canzone popolare, dei versi colorati e veraci di Trilussa e Giggi Zanazzo. Tirabassi, però, non ha intrapreso quest’avventura «tanto pe’ cantà»; il prossimo 8 gennaio, infatti, l’attore pubblicherà il suo primo disco Romantica, protagonista stasera al festival Radicamenti a Mendicino (Cs). È diventato romantico? «Devo dire che sono state proprio le serenate popolari romanesche ad addolcirmi. Ma canto anche l’odio, la violenza della mia “Roma-antica”». Ma non è che s’è messo a cantare perché c’è crisi anche dietro il piccolo schermo? «Più che per la crisi, ho iniziato quest’avventura perché la routine e l’assenza di adrenalina degli ultimi tempi sul set mi hanno portato ad essere stanco del mio lavoro. Così, ho ricominciato a fare musica, come da ragazzetto». E com’era il Giorgio ragazzetto? «Era quello che teneva sempre alto il volume, che non si separava mai dalla sua chitarra con la quale scorrazzava da un centro sociale all’altro». La sua vita privata è così travagliata come nelle sue fiction? «Finora non mi hanno rapito nessun figlio e neanche mia moglie al momento è scappata, quindi, per fortuna, direi di no!». Ha detto di aver rinunciato alla quinta stagione di Distretto di Polizia perché ormai era diventato un «western dai dialoghi improbabili». «Esatto. E poi per me era diventato pesante girare 8-9 mesi l’anno per 5 anni filati. Ma grazie a Distretto ho raggiunto la popolarità che mi ha consentito di riempire i teatri poi. Purtroppo, adesso, ci sono ricascato con Squadra Mobile. È più forte di me, la serialità è rassicurante come indossare il paio di scarpe comodo di sempre!». Sarà anche Libero Grassi per il ciclo Liberi Sognatori in onda in primavera. «Diciamo che dovrei esserlo. Se non accetterò, non sarà per il ruolo in sé - che non può che nobilitarmi ma per un accordo non raggiunto con la produzione». Cosa guarda Giorgio in pantofole sul divano? «Adoro le serie, italiane e americane. La tv non passa nulla di emozionante. Ho adorato Romanzo Criminale e Gomorra. Se ci pensi bene Distretto di Polizia è come Gomorra. Hanno rappresentato un passo avanti per le fiction italiane: in entrambi i casi gli attori sono meno «plasticosi» e prevedibili del solito e poi usano dei dialoghi “veri” e il dialetto, finalmente!». A proposito, cosa ne pensa del portare il male, quello che di romanzato non ha nulla, sullo schermo? «Non bisogna aver paura dell’emulazione. In fondo, è sempre stato così: da piccoli giocavamo ai cowboy che uccidevano i selvaggi o ce le suonavamo imitando Bruce Lee. Vedere la mafia in tv rinforza solo i buoni propositi». Ci lascia con con una strofa? «Fior de verbena, al mondo non c’è rosa senza spina né core innamorato che non pena».