Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  settembre 03 Sabato calendario

ANCHE IL MESSICO VUOLE IL MURO DI TRUMP

NEW YORK «Costruiremo un muro lungo il confine con il Messico per fermare gli immigrati clandestini», promise Donald Trump lanciando la sua corsa nel giugno 2015, e condì il piano con l’attacco piccante al «Messico che ci manda stupratori e spacciatori». L’America, a parte i 13 milioni di repubblicani (e non) che gli hanno fatto vincere le primarie conquistati dalla sua schiettezza politicamente scorretta, prese l’idea del muro come una battuta, una provocazione contro il Paese confinante. E nel mondo fu più o meno lo stesso, con il partito trasversale che osteggia il diritto dei popoli di regolare gli afflussi secondo la legge e di respingere i clandestini a dettare la linea antiTrump. Anche il Papa lo attaccò: «Una persona che pensa solo a costruire muri e non a costruire ponti, non è un cristiano».
Oggi però il Papa dovrebbe scomunicare anche il cattolico presidente messicano. Trump ha mantenuto intatta l’idea del muro e il progetto è concretissimo e nessuno ci scherza più. Come potrebbe essere altrimenti, visto che il diritto di erigerlo è stato riconosciuto dallo stesso Enrique Peña Nieto durante l’incontro con il candidato repubblicano a Città del Messico? L’invito a Trump di Nieto era già stato una sorpresa, ma le dichiarazioni dei due leader, alla fine, sono andate oltre segnalando un accordo sostanziale su come garantire la sicurezza per entrambi i Paesi. Nieto ha detto, e Trump gli ha fatto eco, che l’interesse di sigillare il confine e controllare i flussi è comune e vitale. «Abbiamo bisogno di focalizzarci complessivamente sui problemi di confine che riguardano gli immigrati senza documenti in regola e il passaggio di droghe, armi e denaro, tutto nello stesso tempo», ha sostenuto Nieto in conferenza stampa. I due Paesi «condividono gli obiettivi della sicurezza e della prosperità nel fermare il flusso di droghe e di armi illegali», e ogni nazione ha il diritto di «proteggere i confini» con ogni mezzo tecnico, «muro compreso», ha ribadito il leader del GOP.
Il muro si farà, se vince Trump, e la vexata questio che resta è solo «chi lo pagherà?». Nelle dichiarazioni finali dei due leader non c’era cenno, perché Trump aveva escluso di discutere il punto, per la sua delicatezza, nel primo incontro tra i due. Poi però in un tweet Nieto, che in Messico è in enormi difficoltà politiche con il 23% di rating di popolarità, ha rivelato di aver premesso a Trump, prima della discussione, che «il Messico non pagherà il muro». Lo ha fatto per comprensibili motivi domestici, vista l’ostilità dell’opinone pubblica locale a Trump, e ciò ha spinto lo staff di Donald a chiarire che l’incontro «non era un negoziato e sarebbe stato inappropriato» trattare quell’aspetto.
Che il finanziamento del muro sia al centro dei contatti tra le due parti è confermato dalla notizia, pubblicata sul sito LifeZette, secondo cui Trump e i suoi consiglieri stanno esplorando idee innovative, per pagare l’erezione del muro, che siano accettabili dai due governi. La prima soluzione è usare gli asset sequestrati ai cartelli della droga che operano a cavallo del confine: il solo ministero del Tesoro USA, nel 2015, ha rastrellato 8,7 miliardi di dollari. Fonti vicine al governo del Messico e a Trump hanno confermato l’esistenza del progetto (il «joint border security fund») ma preferiscono restare anonime per la natura preliminare della discussione.