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 2016  settembre 03 Sabato calendario

LA FATICOSA RIPRESA ITALIANA

I politici dovrebbero smetterla di usare le statistiche della congiuntura, come munizioni per le loro battaglie anziché considerarle per quello che effettivamente sono: indicatori deboli e scarsamente precisi di una realtà complessa, che acquistano un significato solo se considerati nel loro insieme, in un tempo relativamente lungo e in un confronto con gli altri Paesi.
In questo contesto, non c’è dubbio che l’economia italiana stia crescendo da cinque trimestri: la variazione zero del secondo trimestre di quest’anno rispetto a quello precedente è infatti di scarso significato rispetto alla variazione sul secondo trimestre 2015, rivista al rialzo rispetto alle prime valutazioni. Se anche il terzo e il quarto trimestre avessero crescita zero - il che non sarà per il buon andamento della stagione turistica e un generale, per quanto modesto risveglio dei consumi - l’Italia finirebbe l’anno con un più 0,7 per cento, in lieve aumento rispetto alla stima di tre settimane fa.
Dietro a questo risultato non c’è una crescita uniforme ma un insieme di contrasti.
Le famiglie italiane hanno speso per consumi quasi tre miliardi di euro in più nel periodo aprile-giugno, il che indica una cauta tendenza a utilizzare depositi accumulati sui conti B a parità di risultato (ma non ne siamo sicuri e proprio su questo bisognerebbe puntare l’attenzione). Le amministrazioni pubbliche hanno invece speso mezzo miliardo in meno per la produzione di servizi pubblici: non sappiamo se si tratta di maggiore efficienza o di minore quantità e qualità.
L’industria mette in luce profonde esitazioni a investire, analoghe a quelle che, in misura meno accentuata, si riscontrano in tutta Europa. La relativa debolezza della produzione industriale (con forti variazioni nei diversi comparti) annulla buona parte dei benefici della relativa forza della produzione di servizi. Anche su questo, come sugli scarsi investimenti in impianti e macchinari, occorrerebbe accendere un riflettore: insomma, l’industria non può investire per una serie di vincoli burocratico-fiscali, oppure non vuole investire perché non ha più fiducia nel Paese o perché non ne ha i mezzi finanziari? Il settore delle costruzioni dovrebbe rispondere per primo perché, proprio a questo punto delle riprese tradizionali, è questo settore che deve tirare la volata.
L’occupazione presenta un quadro piatto, ma ci sarebbe da stupirsi del contrario: le prime fasi di ogni ripresa devono recuperare produttività soprattutto con la forza lavoro esistente, altrimenti l’Italia - che continua a far registrare un discreto successo di esportazioni - perderebbe competitività e possibilità di crescere. È peraltro significativo che la qualità dell’occupazione mostri moderati miglioramenti con una complessiva riduzione della precarietà nel corso del primo semestre di quest’anno.
Non c’è dubbio, quindi, che sia in atto un miglioramento faticoso, più faticoso di quanto ci si aspettasse un paio d’anni fa. L’Italia si comporta come un atleta invecchiato che è tornato in pista e avrebbe bisogno di perdere un po’ di peso, a cominciare dalla zavorra dell’inefficienza e della corruzione. Le cure dimagranti, però, fanno effetto nel medio periodo.
Suonare il campanello d’allarme sui dati dell’ultimo trimestre disponibile equivale ad attendersi chiari risultati di una cura dimagrante dopo 2-3 settimane. I risultati complessivi richiedono, invece, tempi più lunghi. La corsa di questo atleta si deve misurare su un arco di altri 3-5 anni e non ha senso l’attenzione spasmodica a un trimestre soltanto. Quale che possa essere il quadro politico, di trimestri ne devono ancora passare molti, di sforzi pubblici e privati se ne devono ancora fare in grande quantità prima di tornare ai livelli produttivi del 2008 e agli slanci produttivi che abbiamo perduto oltre vent’anni fa.
mario.deaglio@libero.it
Mario Deaglio, La Stampa 3/9/2016