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 2016  settembre 03 Sabato calendario

PETROLIO, LA CINA ALZA IL VELO SULLE RISERVE STRATEGICHE

La Cina ha deciso di alzare di nuovo il velo sulle sue riserve strategiche di petrolio, comunicando che nella seconda metà del 2015 sono cresciute del 22,5%, ossia di 43 milioni di barili. Nel complesso sfiorano ora 234 mb, equivalenti a circa 33 giorni di importazioni nette: più di quanto gli analisti avessero stimato.
Le cifre, pubblicate ieri dall’Ufficio statistico nazionale, rappresentano un vero e proprio evento. È soltanto la terza volta nella storia che Pechino fornisce un aggiornamento ufficiale, ma il ritmo con cui il governo porta avanti il piano di accumulo di scorte di emergenza è cruciale per determinare le sorti del mercato petrolifero, ben più delle schermaglie verbali dell’Opec o della Russia, che pure così spesso riescono a muovere i prezzi (si veda a pagina 9).
La Cina è oggi il secondo consumatore mondiale di petrolio alle spalle degli Stati Uniti e negli ultimi mesi li ha spesso sorpassati nelle importazioni. In media nel 2016 Pechino ha importato 7,5 milioni di barili al giorno e i suoi acquisti - che sono rimasti molto robusti, nonostante il rallentamento dell’economia - hanno dato un contributo importante alla ripresa delle quotazioni del barile. L’evoluzione dei suoi acquisti futuri può fare un’enorme differenza. Jp Morgan, stimando che la capacità di stoccaggio in Cina fosse vicina ad esaurirsi, aveva previsto qualche settimana fa un calo della domanda di greggio di 1,2 milioni di barili al giorno nel secondo semestre. Energy Aspects viceversa si aspetta una flessione di appena 10mila bg.
Decifrare le mosse del gigante asiatico non è facile. La Cina, divenuta nell’ultimo decennio la stella polare dei mercati delle materie prime, resta tuttora molto avara di dati statistici su consumi, produzione, scorte e quant’altro. Solo di recente si è osservato qualche piccolo progresso. Sulle riserve petrolifere strategiche, in particolare, la prima comunicazione risale a novembre 2014: all’epoca Pechino rivelò di aver accumulato 91 mb.
Il successivo aggiornamento dei dati, arrivato lo scorso dicembre, mostrò che a metà 2015 - approfittando del crollo dei prezzi del petrolio - la Cina aveva più che raddoppiato le riserve, portandole a 191 mb. Vi si precisava che erano custodite in otto siti di stoccaggio statali, di cui uno sotterraneo, con una capacità complessiva di 28,6 metri cubi (circa 180 mb), e in parte anche in depositi privati.
La comunicazione di ieri non mostra variazioni sui luoghi di custodia, il che lascia pensare che il ruolo dei privati sia cresciuto, mentre il piano per la costruzione di ulteriori stoccaggi – che prevedeva l’aggiunta di altri 281 mb di capacità entro il 2020 – è forse rallentato.
Di recente la Reuters aveva riferito di un accordo per l’utilizzo di cisterne tra ChemChina e la società privata Cefc China Energy. In passato la gestione delle scorte strategiche era invece affidata esclusivamente ai colossi petroliferi statali Cnpce Sinopec.
Il coinvolgimento dei privati è del resto previsto esplicitamente in una bozza di regolamento, pubblicata il 1° giugno dall’Amministrazione nazionale dell’energia, in cui si prevede l’adozione di un modello molto simile a quello in vigore in Italia e in altri paesi Ocse: parte delle scorte d’emergenza cinesi dovrebbero essere custodite obbligatoriamente dai raffinatori, sotto forma di greggio o prodotti.
La Cina, sempre sul modello Ocse, punta ad avere riserve pari a 90 giorni di importazioni nette. L’obiettivo è di accumulare 550 milioni di barili entro il 2020.
.@SissiBellomo
Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 3/9/2016