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 2016  settembre 03 Sabato calendario

IL DILEMMA IRLANDESE

Dopo il comunicato della Commissione Europea, che ha stabilito che Apple dovrà pagare 13 miliardi di euro (più interessi) di tasse arretrate a Dublino, il clima politico in Irlanda si è fatto teso. Il consiglio dei Ministri di mercoledì 31 agosto che doveva approvare il ricorso contro la decisione della Commissione è stato rinviato a venerdì 2 settembre e davanti alla sede del partito di maggioranza Fine Gael sono state lasciate mele in segno di protesta. Dopo tre giorni di fitti colloqui la maggioranza ha raggiunto un accordo ed è stata approvata la decisione di fare ricorso contro la Commissione Ue. La mozione è stata sostenuta soprattutto dai ministri con più peso all’interno dell’esecutivo del premier Enda Kenny, che sono riusciti a superare le resistenze dei ministri indipendenti. La prossima settimana la palla passerà al parlamento irlandese, che si riunirà mercoledì per discutere il caso e approvare la mozione. E il dibattito resta acceso.
D’altronde 13 miliardi di euro rappresentano circa il 5% del pil irlandese. Un importo che abbatterebbe drasticamente il rapporto debito/pil dell’Eire se usato in tal senso, ma che potrebbe anche essere impiegato per nuovi investimenti o interventi per lanciare nuove politiche di sviluppo per il Paese. Non stupisce quindi che una nota di S&P, che ha confermato il rating A+ all’Irlanda, ricorda che «se il governo non accetta i 13 miliardi di euro, la sua posizione nei confronti dell’opinione pubblica si potrebbe indebolire». Non solo; in vista della lunga trattativa che porterà alla Brexit, ossia all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, l’Irlanda ha bisogno di alleati per giocare al meglio la partita. E un braccio di ferro con la Commissione Europea non va evidentemente in questa direzione.
Dall’altra il timore è che accettare la decisione senza fare ricorso sarebbe come mordere una mela avvelenata. Il ministro delle Finanze irlandese, Michael Noonan, parlando di invasione di campo nelle prerogative in materia fiscale degli Stati membri ha fin da subito dichiarato: «Sono profondamente in disaccordo con la decisione. Non mi resta che chiedere l’approvazione del Consiglio dei ministri per fare ricorso davanti alla Corte di Giustizia Europea». Negli ultimi decenni grazie a una tassazione molto favorevole alle imprese l’Irlanda ha attirato investimenti da grandi multinazionali sia dell’hi tech sia della farmaceutica con ricadute positive sull’occupazione e sullo sviluppo del Paese. Anche durante la crisi finanziaria Dublino ha preferito una netta austerity, che ha ridimensionato il Welfare, piuttosto che una revisione delle aliquote applicate alle imprese. E difendere i ruling approvati in passato ad Apple rientra nella strategia di difendere il proprio modello di sviluppo economico, ma anche di proteggerne la reputazione nei confronti di potenziali nuovi investitori. Un tema non da poco, visto che la Brexit potrebbe spingere alcuni grandi nomi del risparmio gestito Usa a spostare parte delle attività ora insediate a Londra. Intanto Apple ha già annunciato ricorso alla giustizia europea e ha caldeggiato fin da subito anche una mossa da parte di Dublino. Peraltro il ceo Tim Cook ha anche giocato una carta a sorpresa annunciando un cambiamento nella strategia del colosso tecnologico di Cupertino: «Sposteremo negli Usa diversi miliardi di dollari per il pagamento delle tasse e prevedo che questa operazione sarà effettuata il prossimo anno», ha dichiarato in un’intervista alla tv pubblica irlandese Rte senza indicare una cifra precisa. Al proposito va ricordato che Apple ha all’estero un tesoro da 215 miliardi di dollari su cui verrebbe applicata al momento del rimpatrio una tassa federale del 35%. La mossa è arrivata dopo che Apple ha di fatto ricevuto pieno sostegno della Casa Bianca nella sua battaglia contro la decisione della Commissione Ue. Infatti un portavoce del Tesoro americano aveva commentato così il verdetto dell’Antitrust: «Le azioni della Commissione Europea potrebbero minacciare gli investimenti stranieri, il clima degli affari in Europa e l’importante spirito della partnership economica tra Usa e Ue».
Questa tensione tra Usa ed Europa è vista dall’Irlanda, che da sempre ha rapporti privilegiati con l’America, come un’altra grana difficile da gestire, soprattutto ora che la Gran Bretagna ha deciso di andare per la sua strada. In molte questioni europee infatti Dublino e Londra hanno avuto posizioni allineate in passato e il timore è che oggi l’Irlanda si trovi da sola a difendere i propri interessi. In molti si sono chiesti in questi giorni se, nel caso in cui al centro dell’indagine ci fossero stati big del calibro di Germania, Francia o Italia, si sarebbe arrivati comunque a una cifra record da 13 miliardi. Difficile dirlo, ma di certo è proprio la dimensione della cifra da recuperare che ha reso più tesa la situazione politica.
La maxi-richiesta di tasse arretrate è arrivata dopo un’indagine durata tre anni. La conclusione a cui si è giunti è stata illustrata da Margrethe Vestager, commissaria Ue alla Concorrenza: «Gli Stati membri non possono concedere vantaggi fiscali a determinate società e non ad altre: tale trattamento è illegale ai sensi delle norme Ue sugli aiuti di Stato. L’indagine della Commissione ha portato a concludere che l’Irlanda ha concesso ad Apple vantaggi fiscali illegali che hanno consentito alla società di versare per lunghi anni molte meno imposte di altre imprese. Il trattamento selettivo di cui ha goduto ha infatti permesso ad Apple di pagare sugli utili europei un’aliquota effettiva dell’imposta sulle società pari all’1% nel 2003, scesa poi fino allo 0,005% nel 2014.»
Nel comunicato la Commissione sottolinea che il trattamento fiscale di cui ha goduto in Irlanda ha consentito ad Apple di eludere le imposte sulla quasi totalità degli utili generati dalle vendite dei suoi prodotti in tutto il mercato unico dell’Ue, avendo il colosso statunitense deciso di registrare tutte le vendite in Irlanda piuttosto che nei Paesi nei quali venivano venduti i prodotti. Questa struttura, tuttavia, esula dalla sfera di competenza dell’Ue in materia di controllo degli aiuti di Stato. Qualora altri Paesi dovessero imporre ad Apple di versare maggiori imposte sugli utili delle due società nello stesso periodo in forza della propria normativa tributaria nazionale, si ridurrebbe l’importo che l’Irlanda deve recuperare. Di fatto negli ultimi anni la Commissione ha iniziato a esaminare le pratiche di ruling fiscale in alcuni Stati membri, indicando i casi in cui si ritenevano violate le regole sulla concorrenza. Nell’ottobre 2015 la Commissione ha concluso che il Lussemburgo e i Paesi Bassi avevano concesso vantaggi fiscali selettivi rispettivamente a Fiat e a Starbucks. All’inizio di quest’anno sono stati rilevati vantaggi fiscali selettivi concessi dal Belgio ad almeno 35 multinazionali, prevalentemente dell’Ue, nell’ambito di un regime fiscale sugli utili in eccesso illegale ai sensi delle norme europee sugli aiuti di Stato. L’obiettivo a cui si vuole arrivare è che tutte le società, grandi e piccole, paghino le imposte dove realizzano i propri utili.
Questa nuova aria che tira fa sì che una parte dell’opinione pubblica irlandese vorrebbe che il governo non presentasse il ricorso e approfittasse del 13 miliardi per investire in una nuova strategia di sviluppo del Paese. L’idea è che i tempi sono comunque cambiati e che le indagini avviate dalla Commissione sui ruling fiscali siano di fatto un segnale che, dopo la lunga crisi finanziaria, i trattamenti fiscali agevolati su cui hanno potuto contare le multinazionali globali non sono più politicamente sostenibili. E quindi quello che ha funzionato fin qui nel modello di sviluppo irlandese, ossia attirare investimenti e posti di lavoro (con conseguente gettito fiscale) in virtù di una tassazione leggera per le imprese, potrebbe essere una strada destinata a interrompersi. Allora alcuni sostengono che sia meglio approfittare dell’occasione per rivedere il modello di sviluppo dell’isola, che dovrà cavarsela nel trovare una propria nuova collocazione tra la stretta sui Paesi che offrono tassazioni agevolate, la Brexit e le tensioni crescenti tra Usa ed Europa.
di Rebecca Carlino, MilanoFinanza 3/9/2016