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 2016  settembre 05 Lunedì calendario

CALENDARIO PER SETTE

Le protagoniste del calendario Pirelli 2017, che sarà presentato il 29 novembre a Parigi, sono tutte attrici: Nicole Kidman, Penelope Cruz, Uma Thurman, Kate Winslet, Julianne Moore, le settantenni Charlotte Rampling e Helen Mirren, eccetera. Il fotografo è Peter Lindbergh, 72 anni, che in questi scatti ha messo pochissimo nudo: «Lo evito, non serve, lo suggerisco appena. Qualche piccolo accenno, qualche indizio: qua e là si vede un reggiseno, ma il punto non è questo. È un altro tipo di nudo quello che io voglio rendere. Diciamo che il mio Pirelli è un calendario non nudo che spoglia l’anima delle attrici: quindi è più nudo del nudo» (Laurenzi, Rep).

Una volta John Lennon si presentò nella sede londinese della Pirelli per chiedere quattro copie dell’edizione 1971 del calendario dell’azienda lombarda.
Il calendario Pirelli, nato per essere appeso sui muri delle officine.

Il calendario lunare cinese risale al 2600 a. C. ed è il più antico della storia. Secondo la leggenda, dodici animali si sfidarono in una gara per ottenere l’assegnazione degli anni dall’Imperatore di Giada: vinse il topo, seguito da mucca, tigre, coniglio, dragone, serpente, cavallo, capra, scimmia, gallo, cane e maiale. Un anno lunare cinese è lungo 354 giorni e ogni 2 o 3 anni si aggiunge un mese supplementare, equivalente dell’anno bisestile, detto yun yue.


Il calendario greco era di 12 mesi distinti in ”cavi” (quelli di 29 giorni) e ”pieni” (quelli di 30). Si aveva così un anno lunare di 354 giorni. Rispetto all’anno solare avanzavano 11 giorni. Siccome i greci antichi non riuscirono a mettersi d’accordo su un calendario uniforme, ogni città aveva un suo diverso ”primo dell’anno”. L’anno olimpico e quello attico cominciavano in estate, l’anno macedonico in autunno. Le stagioni erano divise, semplicemente, in estate e inverno.

Il calendario egizio, quasi sicuramente fissato in periodo preistorico, teneva conto soprattutto di due eventi: il punto più alto raggiunto dal Nilo durante l’inondazione e il sorgere della stella Sirio. Il primo cadeva di solito tre giorni dopo il solstizio d’estate (a quei tempi tra la fine di luglio e i primi d’agosto), il secondo si osservava, alla latitudine di Menfi, al
crepuscolo mattutino del 19 luglio. Le stagioni erano tre, basate
sull’inondazione e sui lavori agricoli.

Un tempo si credeva che il più antico calendario romano, che prendeva il nome da Romolo, fosse di 10 mesi composti da 30 e 31 giorni, per un totale di 304 giorni. Oramai gli storici lo considerano una leggenda, anche perché Macrobio, nei suoi Saturnalia, parla di un anno composto da 12 mesi già in vigore ai tempi del mitico fondatore della città. La tradizione attribuisce a Numa Pompilio la prima riforma del calendario adattato al ciclo lunare e diviso in 12 mesi, con le kalendae (primo giorno del mese), le nonae (quinto giorno nei mesi di 29 giorni, settimo in quelli di 31) e le idus (tredicesimo giorno nei mesi di 29 giorni, quindicesimo nei mesi di 31). I mesi erano di 31 giorni (marzo, maggio, luglio, ottobre) o di 29, più febbraio di 28. Per ristabilire l’equilibrio con l’anno lunare veniva introdotto, dopo il giorno delle terminalia (23 febbraio), un periodo alternato di 22 o 23 giorni. L’anno era di 366 giorni e mezzo e creava problemi.



Fu Giulio Cesare a volere, nel 46 avanti Cristo, un nuovo calendario (battezzato in suo onore calendario giuliano) che fissava l’inizio del nuovo anno al primo giorno di gennaio, modificando così il precedente calendario egizio che faceva cadere la ricorrenza il primo di marzo.


Nel terzo anno del suo consolato (46 a. C.), Giulio Cesare promulgò la riforma del calendario che istituisce cicli di 4 anni: 3 anni di 365 giorni seguiti da uno di 366. Il giorno in più veniva tra il 23 e il 24 febbraio e
si chiamava ”bis sexto kalendas Martias”, da cui ”bisestile”. Per attuare
la riforma, nell’anno 708 di Roma, Cesare dovette imporre un aumento dei giorni: secondo Censorino quell’anno ”speciale”, durato addirittura 445 giorni, passò alla storia come l’’anno della confusione”.

Commento di Cicerone il giorno in cui entrò in vigore la riforma del calendario voluta da Giulio Cesare: "Ormai le stelle si muovono per decreto!".

Nel Medioevo il tempo era scandito dalla Chiesa, che introdusse allora, tra l’altro, la settimana: per misurarlo e annunciarlo la campana, incorporata nell’edificio religioso. La Chiesa si preoccupava soprattutto di regolare il ”tempo per amare”, vietando agli sposi le relazioni sessuali durante alcuni periodi e giorni dell’anno. Alcuni divieti erano legati al calendario mestruale della donna (si riteneva che i bambini nati durante le mestruazioni sarebbero diventati lebbrosi). Sospeso soprattutto nei giorni religiosi sacri (Quaresima, giorni e vigilie di feste), il tempo sessuale era perciò discontinuo.


Tra i calendari di moda nel Cinquecento, quelli "terapeutici" destinati a medici e barbieri. Ogni mese è collegato a un consiglio per la salute: ad aprile è bene fare i salassi, a giugno bere acqua fresca ed evitare la lussuria, a ottobre mangiare uva. Due terzi del calendari pubblicati in questo periodo mostrano in prima pagina un uomo in piedi (a seconda delle edizioni un nudo o uno scheletro) intorno al quale compaiono consigli per i salassi a seconda della posizione della luna. L’anonimo autore di un calendario pubblicato a Magonza nel 1528, suggeriva di «cavare il sangue a un giovane mangione con la luna crescente, a uno magrolino con quella calante, ai vecchi con la vecchia, ai ragazzi con la nuova».

Il 4 ottobre 1582, Gregorio XIII introduce il suo calendario per correggere quello voluto da Giulio Cesare (in cui un anno era composto da 365 giorni e 6 ore, invece che 365 giorni 5 ore e 48 minuti). Per recuperare lo scarto accumulato, si salta dal 4 al 15 ottobre.

Lungo la strada che da Gorizia conduce a Codroipo, presso una villa chiamata Campolongo, cresceva, verso la fine del ’500, un vecchio noce dalle straordinarie proprietà: ogni anno, la vigilia di San Giovanni Battista, quando la vegetazione è più rigogliosa, mostrava rami privi di gemme come fosse pieno inverno; il giorno seguente (24 giugno), grazie all’intervento del santo, i goriziani assistevano al miracoloso rivestirsi dell’albero, improvvisamente ricoperto di un ricco fogliame e di frutti promettenti. La vigilia dei San Giovanni del 1583 scoppiò a Gorizia una polemica tra alcuni mercanti luterani e Mattia Serrar, gastaldo della città, sulla riforma del calendario di Gregorio XIII che aveva cancellato l’anno precedente 10 giorni per correggere la differenza tra moto del sole e calcolo umano accumulata in sedici secoli. I protestanti accusavano il Papa di aver scombinato tutte le feste e spostato, in particolare, quella del solstizio estivo. Il gastaldo, cattolico, difendeva Sua Santità e per dimostrare agli eretici da che parte fosse la ragione propose una semplicissima verifica: se il papa avesse alterato l’ordine temporale il noce avrebbe dovuto coprirsi di foglie e di frutti, a causa della soppressione di 10 giorni, solo il 4 luglio successivo, e il ripetersi del miracolo a San Giovanni sarebbe stato il segno che la riforma era accettata da Dio. La prova sembrò decisiva anche ai mercanti che stabilirono un appuntamento per l’indomani. La sera Mattia Serrar si incamminò verso Codroipo e, accampatosi sotto il noce, spoglio come tutte le vigilie del Battista, attese l’alba che gli portò la lieta novella di rami verdeggianti e carichi di noci, uno dei quali portò come prova al luogotenente e ai suoi assistenti al tribunale della città che lo inviarono al papa.


Nel 4909 il calendario gregoriano avrà accumulato un giorno di errore rispetto all’anno solare.

I "libri d’ore", manoscritti nel Medioevo, a stampa tra la fine del ’400 e l’inizio del ’500, erano volumetti destinati ad accompagnare quotidianamente i fedeli. I calendari in essi contenuti, con il "numero d’oro" necessario per stabilire la data della luna pasquale e la lettera domenicale per reperire la variabile posizione dei "giorni del Signore", erano molto diffusi, come ricordò l’avvocato Simon Marion in un’arringa pronunciata nel 1583: «Artigiani, agricoltori, donne e bambini [...] anche quelli che non sanno leggere considererebbero un’indecenza essere senza Ore».


Quasi metà dei "libri d’ore" pubblicati tra la fine del ’400 e il 1510 erano illustrati: a gennaio un banchetto, a febbraio la vita domestica accanto al fuoco, a marzo la potatura della vigna, ad aprile e maggio attività signorili, a giugno la tosatura delle pecore e in seguito, a partire da luglio, fienagione, mietitura, semina, spremitura dell’uva, raccolta delle ghiande per il maiale e sua uccisione. Diminuite verso il 1510, forse per ragioni di carattere economico, le illustrazioni dei lavori o degli svaghi campestri si trovò una soluzione alternativa inserendo la formuletta: «Poto / Ligna cremo / De vite superflua demo / Do gemen gratum / Mihi flos servit / Mihi pratum / Spicas declino / Messes meto / Semen humi iacto / Vina propino / Mihi pasco sues / Mihi macto» («Bevo / Faccio bruciare la legna / Poto la vigna / Do il buon germe / Mi sono fedeli i fiori / A me i prati / Piego le spighe / Mieto / Getto il seme nella terra / Offro vini / Pascolo i maiali / Li uccido»).

Nel 1670 fu accordato il permesso di pubblicazione a "Le grand Almanach d’amour", nel quale i santi erano sostituiti dai più famosi amanti della storia. I dodici mesi dell’anno diventarono la sintesi di una storia d’amore: dalla "prima visita" (gennaio), all’ "assiduità e tenerezza" (aprile e giugno), fino alla "sospirata possessione" (luglio), preludio alla gelosia (ottobre) che porta, in questa "cronologia senza scampo", all’indifferenza (dicembre). Le previsioni per il futuro, invece di corrispondere ai quarti lunari, erano rappresentate da un cuore stilizzato: «Primo quarto d’amore: sospiri sofferti / Pieno d’amore: corte ascoltata / Ultimo quarto d’amore: accolto meglio degli altri».


A partire dal 1760 i calendari furono i doni preferiti da scambiarsi il 31 dicembre, al punto che nel 1766 "l’uso più universale era di munirsi di uno di questi libretti alla fine dell’anno". Nel 1788 li si potevano trovare nelle tasche delle ”grisettes ”, ragazze di modesta condizione, abbigliate con un’economica veste di tessuto grigio.

In un calendario del 1736 l’ascia compariva nei giorni favorevoli per tagliare la legna, il trifoglio in quelli in cui è bene seminare, il forcone consigliava di occuparsi di concimazione. Una seconda serie di immagini aiutava i contadini a prevedere il tempo: un cappello segnava temperature elevate, il sole velato stava a indicare cielo coperto, un profilo soffiava nei giorni ventosi, un fascio di linee era la pioggia. Non mancavano consigli sui momenti più indicati per tagliarsi unghie e capelli.

Il naturalista svedese Linneo pubblicò nel 1756 un calendario in cui a ogni giorno dell’anno era associato, al posto dei santi, il fiore che sboccia in quella data, oppure l’indicazione della partenza e dell’arrivo di uccelli migratori, del momento in cui gli altri depongono le uova, e poi ancora la muta delle piume dei volatili, l’accoppiamento dei pesci e i momenti adatti per i lavori agricoli. Anche la denominazione dei mesi si richiamava al susseguirsi delle stagioni e delle attività rurali: gennaio diventò "glacialis", agosto "messis", e così di seguito fino al nebbioso dicembre rimpiazzato da "brumales".

Nel 1757 a Parigi i borseggiatori avevano a disposizione un "almanacco dei mariuoli", nel quale erano citati tutti gli appuntamenti religiosi più importanti della capitale come prediche, Te Deum, feste di corporazioni o parrocchie (con tanta gente per strada, era più facile dare prova della propria destrezza).

Nel 1786, nei giorni di bel tempo, l’orologiaio Rousseau, che aveva bottega al 95 della galerie de Beaujolais, nel cuore di Parigi, indicava ai passanti, il mezzogiorno vero con un cannoncino che scoppiava proprio quando il sole era allo Zenit, grazie a una lente opportunamente orientata che provocava l’accensione di una miccia.

Nel 1846, quando Pio IX decretò la suddivisione del giorno in 24 ore a partire dalla mezzanotte, le opposizioni non furono poche. Tra di esse quelle del Belli, che non sopportava si volesse "arimette l’orologgio a la francese", un sistema a suo modo di vedere irrazionale.


Nel nostro 2000 i giapponesi hanno festeggiato l’anno 2660 mentre per i cinesi era il 4637. Nel Calendario Nabonassar era l’anno 2749, nel Greco (Seleucide) l’anno 2312, in quello Indiano (Saka) l’anno 1922. Per calendario Bizantino era il 7509, gli ebrei hanno festeggiano il 5761 (il loro anno nuovo comincia a settembre) e i mussulmani il 1421. Per gli arabi il calendario islamico segnava il 1420 (e la fine dell’anno si ha nel mese di aprile). I Nordcoreani vivevano l’anno 88, lo Juche 88: con la teoria dell’autosufficienza elaborata dal fondatore della Corea del Nord, Kim Il Sung, nel 1995 la Corea del Nord ha sostituito il calendario gregoriano con quello autoctono Juche. L’anno 0 coincide con la data di nascita di Kim Il Sung, nel 1911.

Il matematico cuneese Giuseppe Peano «si dedicò nel 1927 alla riforma del calendario, producendo un marchingegno in grado di funzionare fino al 2599, che venne venduto per tre lire. Risolti i problemi dell’umanità, a Peano non rimase molto da fare: morì ridendo la notte del 20 aprile 1932, mentre raccontava alla moglie un film che, quel pomeriggio, l’aveva molto divertito» (Odifreddi).

Abitudine dei barbieri, nel dopoguerra, di donare ai clienti minuscoli calendari da nascondere nel portafogli, avvolti in una bustina infiocchettata, tutti profumati di «una fragranza morbida, insinuante, sontuosa e misteriosa» come le fanciulle discinte e sorridenti disegnate su ogni foglio. Il barbiere porgeva «l’ambita strennina» con un «sorrisetto allusivo», il cliente, «fresco di acqua di colonia e di borotalco, assaporava il piacere di quando, svoltato l’angolo, avrebbe sfogliato quelle paginette, ogni mese un piccolo tuffo al cuore» (Matteo Collura, Corriere della Sera).

La domenica non è l’ultimo giorno della settimana, come si ritiene, ma il primo. Negli Atti degli Apostoli Luca infatti scrive: "Nel primo giorno della settimana, quello festivo, ci eravamo riuniti....". Anche Costantino quando il 7 marzo del 321 d.C. introdusse la domenica, disse la stessa cosa.

”Non le pare necessario conoscere le divisioni dell’anno?” ”Niente affatto, i miei contadini sanno perfettamente quando è giorno e quando è notte, quando è inverno e quando è estate e anche quando è mezzogiorno, senza alcuna conoscenza di questo tipo”. Conversazione fra Melatone (astronomo del ’500) e un medico avverso agli studi matematici.

Ancora oggi in Italia i bambini apprendono l’irregolare durata dei mesi aiutandosi con la cantilena: «30 giorni ha novembre / con april giugno e settembre / di 28 ce n’è uno / tutti gli altri ne han 31». Della formuletta esistevano innumerevoli esempi in latino sin dal Medioevo, come quello in versi del XIII secolo: «Junius, aprilis, september necne november / Terdenos numerant continuantque dies / Praeter quos omnes uno retinet sibi plures / Sed tenet in numero viginti Februus octo / Cui, si bissextus fuerit, superadditur unus».

I bambini francesi, per memorizzare la durata dei mesi, chiudono una mano a pugno e contano i dodici mesi sulle quattro nocche e sugli avvallamenti tra l’una e l’altra. Si comincia con gennaio su una nocca e febbraio sull’avvallamento, e si riparte da capo con agosto, una volta esaurite le sette possibilità. I mesi nominati nelle fossette hanno 30 giorni (unica eccezione, febbraio), gli altri 31 (l’uso della mano risale al Cinquecento).


Nel 2001 il calendario sexy di Sabrina Ferilli vendette un milione di copie.

«Il corpo e l’anima in un calendario? Non so, forse guardando le foto si vedono gli occhi. Forse. Ma c’è qualcuno che li guarda, gli occhi?» (Sabrina Ferilli, il Messaggero, ottobre 1999).

Se le riproponessero di posare per un calendario? «A me? Non so, ormai sto invecchiando, magari potrei posare per L’arte del ricamo» (Elisabetta Canalis nel 2010).

Antonella Clerici, che a una proposta di fare un calendario per il 2004 rispose: «A quarant’anni e con il sedere molle che mi ritrovo!».

Fabio Fazio: «E’ vero che anche tu farai un calendario erotico?»
Luciana Littizzetto: «Sì, me l’ha chiesto una ditta di tombini».