di Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 4/9/2016, 4 settembre 2016
“CERCAVO SOLO DI VIVERE”: STORIE DI EROI E DI EROINE DELLA PRIMA REPUBBLICA – [Intervista a Eleonora Giorgi] – Eleonora Giorgi ha sempre avuto paura degli squali e nei suoi 63 anni ne ha incontrati tanti
“CERCAVO SOLO DI VIVERE”: STORIE DI EROI E DI EROINE DELLA PRIMA REPUBBLICA – [Intervista a Eleonora Giorgi] – Eleonora Giorgi ha sempre avuto paura degli squali e nei suoi 63 anni ne ha incontrati tanti. Li ha catalogati insieme a molti altri predatori in un bellissimo libro che sembra un film. L’ha intitolato Nei panni di un’altra e tra le pagine ha vestito la sua vita senza imbellettarla: “Non ho raccontato nulla che non fosse vero”, dice mentre legge ad alta voce un diario del 1983, l’anno dell’arresto del marito di allora, Angelo Rizzoli: “Andreotti mi ha ricevuta e mi ha fatta sedere sul divano piccolo e chiaro vicino alla finestra con vista sui tetti di Roma. Voleva sapere cosa sapessi sull’Ambrosiano vecchio e nuovo”. La grafia agitata, la presa diretta di un’epoca lontana, la famiglia, il set, l’oppio a casa di Mario Schifano, i pranzi con Agnelli, Pertini, Craxi e Montanelli, la P2, il disprezzo di Oriana Fallaci, l’altera distanza di Antonioni, i pomeriggi con Jack Nicholson, i baci con Warren Beatty, gli amori, i drammi, le delusioni, i successi, le cadute, le gioie, i figli, l’anticonformismo, la libertà e le avventure di una bionda ragazza che Moravia definì “crudele e danubiana” e che invece, ricorda lei in una terza persona che marca la distanza dei decenni: “Era ingenua, aveva vent’anni e del mondo non sapeva niente”. Dopo la presentazione al Festival di Venezia, Nei panni di un’altra arriverà in libreria martedì con Mondadori Electa, ma la storia – racconta l’attrice che recitò per Lattuada, Brusati, Manfredi e Verdone facendo incassare ai produttori 220 milioni di euro di oggi in soli 10 film – aspetta da almeno vent’anni: “Avevo tirato giù una versione rudimentale già nel 1996, ma Andrea De Carlo, il mio compagno di allora, mi aveva detto che sembrava redatto con lo stile di un notaio”. Cosa è cambiato in questi 20 anni? Ho capito che una rilettura in chiave matura della mia vita sarebbe stata noiosissima e ho trovato una soluzione nel ricordarmi com’ero quando quelle cose accadevano. Ho raccontato il passato al presente con l’aiuto dei miei quaderni. Sono sempre stata una grafomane e ho conservato tutto. Guardi questa agendina, la annusi, sa ancora di cantina. Perché tirarla fuori proprio ora? Perché ero stanca di sentirmi descrivere dagli altri. Sono uscita di scena molto male e temevo che qualcuno potesse continuare a disegnarmi come la Crudelia Demon che non sono mai stata. E chi è stata davvero Eleonora Giorgi? Una donna fortunatissima che come tutte le persone sensibili ha avuto il dolore come compagno di viaggio d’elezione. Certe amarezze le avvertivo sulla carne. Ho imparato a conviverci e ovviamente ho commesso tanti sbagli. In un certo senso mi sono sempre sentita una promessa mancata. Quattro fratelli, un padre di ascendenza inglese, una madre ungherese. Di figli, mio padre non ne avrebbe voluto neanche uno. Li fece per assecondare la vena mistica di mia madre perché delle donne è stato sempre succube. È morto chiedendoci scusa, papà. E sua madre? È una mistica con 45 anni di cammino catecumenale alle spalle. Vive in un alberghino accanto alla sua chiesa. Mi ha donato molto, ma non posso valutarla come madre e non voglio giudicarla. Non scegliamo come siamo fatti. Per le nostre inclinazioni e per i nostri istinti, non abbiamo colpe. Suo padre andò via di casa quando lei aveva 16 anni. Mia madre ci riunì con tono grave nella stanza dei fratelli più piccoli. “Vostro padre ha altri due figli con un’altra donna, io non lo voglio più”. Di Giulia Mafai, la sua compagna segreta, la sorella di Miriam, non sapevamo niente. In quel 1970, osservandolo fare le valigie per sempre, capimmo molte cose. All’epoca lei non aveva ancora intrapreso la sua carriera di attrice. Pensavo di diventare restauratrice e non avevo alcuna intenzione di recitare. Accadde per caso. Negli anni del caos familiare, dopo un litigio con mia madre, ero andata via di casa e avevo iniziato a viaggiare tra Roma e Milano posando come modella per mantenermi. Un giorno, mentre con il mio fidanzato di allora, Gabriele Pogany, facevo qualche foto sulla spiaggia di Fregene, era passato Fellini. Si era fermato e mi aveva chiesto di andare a trovarlo a Cinecittà. Ero emozionata e mi ero schermita. Fellini, profetico, aveva risposto alle mie titubanze con gentilezza: “Se ci ripensa mi cerchi, prima o poi lei attrice diventerà”. Esordio in Storia di una Monaca di clausura di Domenica Paolella. Prima di allora avevo esordito proprio con Fellini, in Roma. Nella scena finale, stretta a Gabriele, in sella alla sua moto, insieme ad altre decine di centauri attraverso le strade della città. Paolella venne dopo. Incontrai il produttore Tonino Cervi che mi offrì un ruolo da protagonista. Avrei dovuto posare nuda. Ero molto moralista e covavo più di qualche dubbio. Mio padre e Giulia mi aiutarono a diradarli e mi ritrovai sul set. Andò bene? Feci una prova con Tino Carraro. Interpretava mio padre. Mi redarguiva. Scoppiai a piangere sotto gli occhi stupefatti della troupe. Zampillavo lacrime e Cervi diceva: “Ma è pazzesco, sei un’attrice nata”. Non sapeva che il tema del padre mi scuoteva nel profondo. La mia famiglia, anche adesso che sono vecchia come una quercia, è il tema intorno a cui ha ruotato tutta la mia vita. Cosa ricorda degli anni 70? Confusione, incontri, ideali, violenza, rischi e pericoli. Si poteva passare dalla piazza alla P38, dal fumo all’eroina come se nulla fosse. La droga era ovunque e gli amici, vecchi e nuovi, ne facevano uso come se niente fosse. La provò anche lei? Nonostante fossi ostile all’idea, mi feci convincere a fumare l’eroina e in breve di quella nebbia che alterava le percezioni e dilatava i contorni fui prigioniera. In breve tempo non fui più me stessa e un giorno, sul set di un servizio fotografico, mentre già lavoravo nel cinema da molto tempo, cominciai a tremare di freddo e a sentirmi veramente male. In un raro momento di lucidità, chiesi aiuto a mio padre e a Giulia: “Se prometti di smettere e disintossicarti, puoi venire a stare da noi”. Furono settimane durissime in cui alla mia volontà si sovrapponeva la difficoltà di uscire dal gorgo in cui ero precipitata. Come uscì dalla sua dipendenza? Grazie ad Angelo Rizzoli. Tina Aumont, attrice francese che con la droga aveva avuto un rapporto continuo e tormentato, mi aveva cercata e trovata per invitarmi a cena: “C’è un mio amico editore, una persona straordinaria che voglio assolutamente presentarti”. Mi sembrava di aver capito che l’editore fosse Rusconi. Grazie al suo nuovo compagno, Tina sembrava stare meglio e nonostante non avessi voglia di incontrare nessuno, mi feci convincere e accettai di uscire. Era pieno inverno, ma nel mio stato non sentivo né il caldo né il freddo. Vestita con un abito maoista con gli alamari e il collo alla coreana, affrontai il gelo di Roma decisa a essere presente a me stessa almeno per una sera. Mi ritrovai al desco con un signore che mi pareva di aver capito fosse Rusconi e invece era un ragazzone accigliato di 35 anni a capo di un impero. Angelo Rizzoli. Come andò il vostro primo incontro? Mi aveva osservato in silenzio per tutta la sera e poi, superate le diffidenze, aveva iniziato a parlarmi di libri, cinema e poesia. Scoprimmo di aver molte passioni in comune e continuammo a parlare prima in macchina e poi a casa sua. Ci capimmo in un istante. In quella sera del 1978, le nostre malattie si fusero. Quali malattie? La mia e quella di una persona che dava l’idea di essere aggredita dall’angoscia e da un senso di afflizione universale. Mi lesse un brano di Storie di ordinaria follia di Bukowski, la storia di Cass, una ragazza magnifica e triste, così votata all’autodistruzione da andare in giro con degli spilli conficcati sotto gli occhi: “Mi hai fatto venire in mente lei. Sei così bella e intelligente e invece mi pare di non aver mai incontrato una ragazza più infelice di te. Perché ti fai così male?”. Poi aggiunse: “Io sono più solo di te”. Trascorremmo la notte insieme e il mattino dopo eravamo ancora lì a baciarci. L’idea di separarci ci addolorava, ma Angelo mi propose di seguirlo a Milano. E accettò? Andai. Passammo un mese in cui la meraviglia del nostro incontro era scossa dalle ricadute in una dipendenza da cui non riuscivo a liberarmi. Angelo mi propose di disintossicarmi: “Ce la puoi fare, ne puoi uscire – mi disse – ti starò vicino”. Fu di parola. Nel percorso di redenzione, durato cinque settimane in un centro medico, non mi lasciò mai sola. Quanto pesò quel suo debito iniziale nella storia con Rizzoli? Moltissimo. Ero la bambina che era stata salvata dall’abisso. Angelo fece un gesto inestimabile, si prese a cuore la vicenda con infinita cavalleria e mi tirò fuori dall’inferno, ma anche io, con vanità emotiva e presunzione, mi ero a mia volta convinta di potergli fare del bene. Ero certa di poterlo persuadere che la vita non era soltanto cupezza, ma luce e sole. Non ci riuscii, ma il pensiero, nei nostri anni insieme, mi sostenne nei tanti momenti difficili che mi trovai ad affrontare. Le è costato raccontare questo passaggio inedito della sua vita? Ammettere una cosa tanto umiliante è stato doloroso. Ma dovevo farlo. Non tocco nulla da più di quarant’anni e oggi sono contrarissima non solo a qualsiasi tipo di droga, ma pure a un blando sonnifero. La storia d’amore con Rizzoli durò cinque anni e si concluse nell’83, pochi mesi dopo il suo arresto per “bancarotta societaria patrimoniale in amministrazione controllata” e prima delle assoluzioni successive. Angelo è stato l’uomo fatale della mia vita. Fisicamente era un orsacchione, ma aveva un viso stupendo, un lato letterario e un carisma incredibile. In quegli anni non mettevo in discussione niente e non sapevo che il potere non fosse un diritto naturale, ma l’esito e il frutto di una spietata guerra imprenditoriale che si svolgeva sotto i miei occhi senza che io ne fossi consapevole. A casa Rizzoli, per tradizione immutabile, le donne di certe questioni non si occupavano. E Angelo, l’uomo più affascinante e complesso che avessi mai incontrato nella mia vita, sarebbe bastato di per sé ad allontanare le domande che pure, anche prima dell’arresto, osservando uno stile di vita in cui non mi riconoscevo più, avevo iniziato timidamente a fargli. In quegli anni lei è all’apice del successo e vince anche il David di Donatello per la sua interpretazione in Borotalco di Verdone. Dopo l’arresto di Angelo mi ritrovai nel frullatore. Facevo la spola tra il carcere e i miei impegni, tra Brigitte Bardot e gli avvocati. Nel dramma c’era anche qualcosa di comico: ero sul set di Sapore di mare e mi chiamavano i legali da Milano per avere lumi sulla vendita delle azioni. Mi ritrovavo sola, nella grande, grottesca villa del Vascello che Angelo aveva affittato contro il mio parere, con nostro figlio Andrea e una pressione che a tratti mi sembra impossibile da sostenere. C’erano sere in cui, tornando dal lavoro, non sapevo neanche se Andrea avesse mangiato oppure no. Mettere al mondo un figlio in quella situazione fu un atto di notevole presunzione. Vivevo male e non so neanche come apparissi agli occhi degli altri: se sembrassi una stronza, oppure solo una ragazza smarrita in un gioco più grande di lei. Durante la detenzione di Rizzoli, per cercare una soluzione e una via di uscita, lei incontrò tutto il potere politico imprenditoriale d’Italia. Piccoli, Longo, Craxi, che poi diventerà primo ministro, ed è paradossalmente il più insicuro. Poi Gianni Agnelli. L’unico principe che abbia mai davvero conosciuto. Il più generoso di tutti però, l’unico che mi chiamò per tre mesi ogni santa domenica pur conoscendomi a malapena e solo per la sua attività televisiva chiedendomi ogni volta: “Come sta?”, fu Berlusconi. Apprezzò il gesto? Non me lo sono più dimenticata. Mi ritrovavo in un ruolo scomodo, ma io nemmeno sapevo di averlo, un ruolo. Non avevo la struttura, direi persino comportamentale, per reggere in quella situazione. Avevo poco meno di trent’anni e della vita sapevo pochissimo. Se ne avessi avuti dieci in più, avrei saputo gestirla meglio. Ma quando la macchina del fango si mise in moto, reggere l’urto fu complicatissimo. Una sola cosa mi chiedevo all’epoca: come mai ogni volta che cercassi di vivere mi succedeva regolarmente qualcosa di abnorme. Con Rizzoli si unì in matrimonio nel 1979. E mi chiesi subito, fin dalla prima notte, se quella decisione non avesse autorizzato da lì all’eternità un atteggiamento vagamente diffamatorio nei miei confronti. Per anni sono stata trattata dai media con pregiudizio, come la squinzia senz’arte né parte, quella che aveva fatto la furba con l’editore, l’arrampicatrice sociale che non sono mai stata. Ero sempre come l’ospite non gradito, il côté frivolo della faccenda, la donna inopportuna che aveva sposato un uomo che secondo i disegni familiari avrebbe dovuto avere in sorte una donna dell’altissima borghesia milanese. Il cinema italiano colto mi snobbava: non c’era una volta che incontrassi Antonioni senza che lui mi ignorasse platealmente. Oggi Rizzoli non c’è più. Andò al suo funerale? Certo. Non ci parlavamo da anni, ma mi aspettavo che un giorno ci saremmo ritrovati, perdonati, ringraziati e forse persino capiti. Sono andata in chiesa, mi sono messa da parte, qualcuno venne a salutarmi, qualcuno no. Ma non importa. Dopo il matrimonio con Rizzoli, ha avuto un figlio e una grande storia d’amore con Massimo Ciavarro. De Sica mi aveva messo in guardia: “Non capiranno, stai attenta”. Massimo però era il fratello che avevo sempre cercato. L’uomo che mi fece di nuovo credere negli uomini. Andammo a vivere in campagna, per molti anni. Siamo rimasti fratelli e la cosa mi consola. Cos’altro la consola? L’amore. Non ha età. Come il desiderio. Contro i tabù sessuali della terza età ho intenzione di condurre una battaglia. Tardona, io non me lo faccio dire. Autoscatto finale? Sono una persona che non è sicura di essere diventata donna, ma che sa guardarsi indietro con la misericordia che da giovane non sapevo neanche che esistesse. di Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 4/9/2016