di Marco Maroni, il Fatto Quotidiano 4/9/2016, 4 settembre 2016
PROFONDO ZERO – DALL’ACCIAIO ALL’HI-TECH, ECCO I SETTORI CHE FRENANO LA CRESCITA
Ci sono i colossi siderurgici come l’Ilva di Taranto alla ricerca di un compratore, l’Alcoa di Portovesme, con gli impianti fermi da quattro anni e destinata alla chiusura salvo miracoli, o l’acciaieria di Piombino, con l’altiforno spento da due anni e mezzo, solo per citare tre casi critici. C’è la crisi dell’edilizia e dei lavori pubblici, frenati dal nuovo codice degli Appalti, c’è la stagnazione del tessile e la crisi della chimica. I dati sulla crescita zero parlano chiaro, è in crisi soprattutto la manifattura. Nonostante le propagandistiche rassicurazione del premier Matteo Renzi, che anche ieri ha ribadito che nonostante lo stop del secondo trimestre l’economia cresce, la domanda interna è debole, i consumi fermi, e in molti settori anche l’export fatica. Secondo l’Istat il valore aggiunto dell’industria nel secondo trimestre è calato dello 0,6%. A mancare sono gli investimenti. Si vendono meno macchinari e attrezzature. È la voce più preoccupante: niente investimenti, niente aumento della produttività, niente crescita della produzione, dei redditi e dei consumi.
Un dato che segnala che il super ammortamento, il bonus fiscale del 140% per chi investe in nuovi macchinari e il Jobs act, due misure costate finora alle casse dello Stato circa 20 miliardi di euro, non hanno avuto gli effetti immaginati. La stagnazione e la deflazione generano una spirale negativa. Non si investe, malgrado i tassi sui prestiti siano al minimo storico, perché non si vede una prospettiva di ripresa e perché con i prezzi dei prodotti in calo, conviene aspettare. Se a questo quadro si aggiunge la crisi bancaria, con il surplus di incertezza sistemica che getta sul sistema economico, si capisce la dinamica dell’Italia a zero.
IL METALLO NON RESISTE ALLA CONCORRENZA CINESE
Provando ad andare oltre il dato congiunturale trimestrale vediamo quali sono i settori che frenano il Pil italiano dall’inizio dell’anno.
Secondo i dati statistici sul fatturato delle aziende italiane nei primi cinque mesi 2016, elaborati dall’ufficio studi Prometia, il settore che va peggio, è quello della metallurgia, con un calo di fatturato tendenziale, sullo stesso periodo dell’anno precedente, che si avvicina al 10%. La crisi dei grandi gruppi, risente del contesto globale di sovra produzione di acciaio, in cui pesa la concorrenza dei paesi Emergenti, Cina in testa. A questo si è aggiunto all’inizio di quest’anno lo stop delle importazioni dall’Algeria, importante mercato per l’Italia, dovuto alle nuove limitazioni all’import imposte da quel governo, la crisi del settore petrolifero, che incide sulla domanda di tubi d’acciaio. In sofferenza sono anche i prodotti in metallo: fatturato nella prima parte dell’anno in calo di oltre il 3%, con una domanda domestica scesa dell’8,4%, penalizzata soprattutto dalla crisi delle costruzioni.
TECNOLOGIA: POCA RICERCA E RITARDO DELLA FIBRA OTTICA
Al secondo posto tra i settori che frenano il Pil, l’elettronica e gli elettrodomestici. L’elettronica scende in fatturato di oltre il 3%. È uno di quei settori in cui l’Italia non riesce a reggere la concorrenza, con i prodotti hi-tech che scontano gli scarsi investimento in ricerca e tecnologia, a loro volta conseguenza della ancora scarsa attenzione che il Paese riserva alla ricerca: 1,3% del Pil, contro il 2,03% medio europeo. In particolare, in quanto a gap digitale e connettività, l’Italia risulta, secondo i dati della Commissione europea, agli ultimi posti tra i 28 partner, insieme a Grecia e Croazia. L’Agenda digitale italiana finora è rimasta poco più di uno slogan, con il governo che non è riuscito a imporre una strategia unica nella battaglia sulla fibra ottica tra i concorrenti Enel e Telecom.
MODA E CHIMICA FIORI ALL’OCCHIELLO IN CRISI
A pesare sull’andamento economico nazionale nei primi mesi di quest’anno anche il sistema moda e l’industria chimica.
Diverse firme del made in Italy negli ultimi anni sono finite all’estero. Krizia ai cinesi, Bulgari e Loro Piana ai francesi di Lvmh, Gucci, Bottega Veneta e Brioni a quelli di Kering, Valentino a un fondo del Qatar e Gianfranco Ferré a Dubai. Le aziende che rimangono in Italia hanno registrato un fatturato in calo del 2% nei primi mesi del 2016, dovuto soprattutto alla contrazione delle esportazioni. Particolarmente colpito è il settore della pelletteria e delle calzature.
Sul comparto chimico, in calo dell’1,3%, pesa la crisi di lungo periodo della chimica di base. Un tempo punto di forza dell’industria italiana, è ora insidiata dalla concorrenza dei paesi Emergenti e della mancanza di investimenti. Nessun nuovo impianto da 20 anni e molte dismissioni e crisi aziendali, tra cui le produzioni di polipropilene di Terni (LyondellBasell), la crisi e vendite di impianti di cloruro di vinile a Ravenna, Marghera e Porto Torres (Vinyls Italia), mentre è nei mesi scorsi sfumata la vendita del colosso Versalis da parte di Eni.
di Marco Maroni, il Fatto Quotidiano 4/9/2016