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 2016  settembre 04 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL G20 IN CINA


REPUBBLICA.IT
L’EUROPA è al limite della sua capacità di accogliere i profughi e l’emergenza deve diventare un problema per i grandi del mondo. È l’appello lanciato dal pulpito di Hangzhou dai vertici delle istituzioni europee. "La comunità del G20 - ha detto il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk - deve iniziare a condividere la responsabilità del fenomeno: ci sono 65 milioni di persone in fuga nel mondo e 4 milioni quelli che hanno dovuto lasciare la propria casa nella sola Siria". "Dobbiamo discutere la questione dei rifugiati a questo tavolo dei leader del G20", ha aggiunto il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, nel briefing prima dell’inizio dei lavori. "La commissione sta lavorando nella preparazione di un ambizioso piano di investimenti esterni, usando fondi pubblici per attrarre capitali privati. Dobbiamo combattere contro le rotte dei migranti, nei Paesi di transito, e questo è il motivo per cui abbiamo deciso di estendere il nostro piano al mondo esterno".
Renzi: "La Ue ha uno sguardo miope, aspettiamo ancora i fatti". "Mi fanno piacere le parole di
consapevolezza di Tusk e Juncker, ma ora aspettiamo che arrivino i fatti", ha detto Matteo Renzi, parlando di migranti, a margine del G20. "L’Europa - ha aggiunto il premier italiano - ha uno sguardo miope: l’Italia è in linea con gli arrivi, intorno ai 120mila, lo stesso livello dello scorso anno. Ma non possiamo pensare di accogliere tutti, dobbiamo salvare tutti perché questo richiede l’umanità, ma poi sappiamo che parte di questi non hanno diritto di stare in Italia e vanno rimpatriati". "L’Europa dovrebbe scegliere di accettare la linea del rimpatrio europeo, così l’Europa fa un investimento con i singolo Paesi, crea occasioni di sviluppo salva le vite e dà futuro a queste persone che non possono stare tutti in Europa e in Italia". Il premier ha poi sottolineato: "Non siamo al collasso, chi utilizza queste espressione non si rende conto, ma non possiamo pensare che si continui a fare tutto noi".
Il Ttip non va in archivio - L’emergenza migranti è stato uno dei temi principali dell’intervento di Juncker poco prima del via ufficiale del vertice. Juncker ha parlato poi del Ttip, precisando che la vicenda non è chiusa e che l’Ue continuerà a negoziare con gli Usa. L’Ue, ha detto Juncker, continuerà i negoziati con gli Stati Uniti sul Trattato transatlantico sul libero scambio e il mandato della Commissione europea in materia rimane pienamente valido. Senza far riferimento espresso alle critiche espresse dai governi francese e tedesco, Juncker ha detto che il Ttip avrà "impatto positivo" per l’economia e l’impiego.
Il caso Apple - Altro tema su cui il presidente Ue si è espresso è stata la polemica a distanza tra Washington e Bruxelles sul caso fisco-Apple: la decisione europea di obbligare il gruppo americano a rimborsare all’Irlanda più di 13 miliardi di euro è "fondata sui fatti" e "non è diretta contro gli Stati Uniti", ha ribadito Juncker. "Noi applichiamo le regole secondo i fatti e la legislazione", ha dichiarato a margine del G20 di Hangzhou, facendo notare che Apple ha beneficiato di "vantaggi fiscali" indebitamente accordati da Dublino e che scegliere questo terreno fiscale per "attaccare gli Usa" sarebbe stato "assurdo". "Tutte le società devono pagare la loro giusta quota di tassazione nei Paesi dove realizzano i loro profitti - ha spiegato - . Le nostre regole sugli aiuti di Stato sono sempre state chiare: le autorità nazionali non posso dare benefici fiscali ad alcune società e ad altre no. Questa è la linea rossa che la Commissione ha sempre lavorato per difendere. Applichiamo queste regole senza discriminazioni e in modo neutrale".
La ricetta Ue anti-crisi - Parlando delle difficoltà globali dell’economia, Juncker ha sostenuto la validità della linea dell’Unione: "La nostra strategia per la crescita - il virtuoso triangolo investimenti-riforme-controllo dei conti sta funzionando: le riforme portano risultati. Tuttavia a questo summit abbiamo bisogno urgente che i nostri partner del G20 implementino le strategie di crescita già accordate. Dopo anni di crisi - ha aggiunto- dobbiamo dimostrare che possiamo produrre una crescita di lungo termine e restituire fiducia".
Il problema dell’acciaio - E’ cruciale, ha poi detto Jean-Claude Juncker, che la Cina accetti un monitoraggio globale dell’eccesso di capacità produttiva nel settore dell’acciaio. "L’eccesso di capacità è un problema globale, ma c’è un particolare elemento cinese", ha sottolineato Juncker, aggiungendo che la Ue è determinata a "difendere gli interessi dell’industria europea dell’acciaio e dei suoi lavoratori" e ricordando che negli ultimi anni il settore ha perso decine di migliaia di posti di lavoro anche a causa del mancato rispetto delle regole da parte della Cina.
Brexit, messaggio a Londra - Juncker ha risposto anche alle domande sulla Brexit: "Devo dire che la negoziazione di accordi di libero scambio è di competenza dell’Unione europea, conformemente ai trattati, e a questo dobbiamo attenerci. Non mi piace l’idea che dei paesi membri della Ue, compresi quelli che ne fanno ancora parte,
negozino degli accordi commerciali. Si tratta di una competenza esclusiva della Ue". Parole chiaramente riferite alle intenzioni del governo britannico guidato da Theresa May, che dopo la Brexit punta ad avviare al più presto trattative informali per accordi commerciali bilaterali.

RENZI AL G20
HANGZHOU (Cina orientale) - "Per vedere i risultati delle riforme occorrono anni, ma non dobbiamo avere paura del futuro". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, intervenendo ai lavori del summit del G20 di Hangzhou, in Cina orientale. "Spesso per vedere i risultati delle riforme ci vogliono anni. Il futuro viaggia veloce e può impaurire. Dobbiamo avere più attenzione alla equità e alla uguaglianza: tutti vogliamo una crescita inclusiva, certo, ma abbiamo un nemico comune, la paura". "Se vince il sì al referendum, finalmente in Italia potrà tornare una strategia nazionale sul turismo".
Cina, i leader mondiali arrivano ad Hangzhou per il G20
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Il premier ha anche ringraziato il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, per avere citato nel suo intervento le riforme messe in campo dall’Italia, e ha ringraziato il presidente cinese, Xi Jinping, per avergli espresso le proprie condoglianze dopo il terremoto che ha colpito l’Italia centrale il 24 agosto scorso.

Renzi: "In Italia e Cina riforme, concentrati su futuro". "La Cina e l’Italia hanno lo stesso approccio: stanno facendo riforme strutturali che stanno trasformando i rispettivi Paesi". Lo ha detto il premier Matteo Renzi, intervistato dalla Cctv, la tv cinese, a margine dei lavori del G20 di Hangzhou. "Ci stiamo entrambi concentrando sul futuro", ha aggiunto il premier spiegando di aver affrontato il tema anche nell’incontro di ieri mattina con il presidente cinese Xi Jinping. Renzi ha poi parlato del vertice in corso ad Hangzhou sottolineando che "cade in un momento di grandi opportunità per la comunità internazionale. Molti sono i problemi e le sfide, come la crescita, ma l’Italia e la Cina possono dare un messaggio di speranza agli altri colleghi, partendo dalla loro amicizia". "Questa riforma non tocca i poteri del capo del governo e non tocca pesi e contrappesi".

Appello sinistra dem per sì Referendum. Continua il dibattito nel Pd sul referendum. Alla sinistra di Renzi non ci sono solo i no di D’Alema o i dubbi di Bersani, ma arriva anche un deciso appoggio da parte di autorevoli esponenti ex Ds. Il loro appello, pubblicato sulla pagina Facebook ’sinistra per il sì’, è stato firmato dalle prime personalità della politica e della società civile favorevoli al referendum costituzionale. Si tratta di una campagna targata sulla continuità storica dell’Ulivo alla quale hanno aderito, tra l’altro, padri nobili come Mario Tronti, personalità che finora stavano in componenti diverse. E da figure di governo, come ad esempio il Guardasigilli Andrea Orlando (leader dei ’turchi’). E il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti (della ’sinistra’, ma in autonomia). Con questo appello nasce un percorso, si allarga la platea della sinistra Pd con, ad esempio, l’adesione di Edo Ronchi (Federazione dei Verdi). Tra le prime adesioni: Luigi Berlinguer, Franco Cassano, Vannino Chiti, Cesare Damiano, Paola de Micheli, Piero Fassino, Anna Finocchiaro, Maurizio Martina, Matteo Orfini, Andrea Orlando, Edo Ronchi, Sergio Staino.
"Siamo un benchmark". "Gli Stati Uniti hanno valorizzato quanto fatto da noi in questi due anni e mezzo, essere un benchmark, un punto di riferimento è un grande passo in avanti per noi". Lo ha detto Matteo Renzi. "Ma c’è un rischio: non cogliere le diseguaglianze. Bisogna creare le condizioni per una crescita senza differenze e non aver paura del futuro".

Cooperazione Italia Cina sulla Salute. Nel dialogo con Xi, Renzi ha toccato soprattutto i temi economici e culturali come legame tra Roma e Pechino. Tra le possibilità di cooperazione, Renzi ha citato, oltre agli scambi economici, anche "la crescita negli scambi tra studenti" e la "possibile cooperazione in Africa insieme". Penso, ha poi concluso, "alle possibilità di cooperazione nel settore della Salute. Credo che la qualità più importante degli italiani in questo momento sia la grande attenzione verso il cibo, la salute, lo stile di vita".

"Importante incontro con Jack Ma". Renzi, parlando dell’incontro con Jack Ma, fondatore di Alibaba, per l’accordo sull’agroalimentare (in particolare sul vino), ha detto: "È uno dei punti del nostro impegno sull’internazionalizzazione, è stato un appuntamento molto importante". "Abbiamo fatto un buon lavoro con Alibaba - ha aggiunto - . Jack Ma è un innovatore straordinario". Il premier ha sottolineato in particolare l’impegno per "l’internazionalizzazione, l’e-commerce e la digitalizzazione delle nostre imprese". L’iniziativa ’9/9 wine-wine’ vedrà il vino italiano in vetrina sul gigante dell’e-commerce Alibaba.

"Anche da G20 nostro pensiero ai terremotati". "Anche qui in questo momento - ha dichiarato il premier - nonostante siamo su discussioni di politica internazionale, la nostra mente, il nostro cuore e il primo pensiero vanno ai nostri connazionali costretti anche stasera a stare nelle tende". Renzi ha inoltre reso noto di aver avuto "contatti" con il capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio in una pausa dei lavori del G20 "sul lavoro che si sta facendo" nelle zone terremotate.

RALLENTAMENTO CRESCITA, COMMERCIO, SPINTE PROTEZIONISTICHE, CINA DEVE BOOM ECONOMICO ALL’ACCESSO AI NOSTRI MERCATI 2001 WTO CINA INDIA SUDAFRICA TUTTI PRESENTI PER LORO È ANCORA PIU DRAMMATICO RALLENTAMENTO, DISAFF DALLA GLOBALIZZAZIONE, FINE DI UN’EPOCA. ALCUNI IN RECESSIONE, BRASILE PER ESE, CINA +6% MOLTO MENO, FORSE NOMN BASTA PER ASPETTATIVE SUA POPOLAZIONE

IMPRESE AL G20
MILANO - L’evento è il G20, ma l’antipasto, anche in ordine alfabetico, si chiama B20. Quella B sta per business e in questo caso non significa altro che imprese. Sono le più grandi aziende del mondo che si danno appuntamento il 3 e il 4 settembre a Hangzhou, insieme con le rappresentanze delle associazioni di categoria, per stilare punto dopo punto le misure da suggerire ai governi dei Paesi del G20 per far crescere – a loro giudizio - l’economia.

L’obiettivo, nemmeno troppo nascosto, è di condizionare le scelte degli esecutivi per creare un ambiente mondiale il più favorevole possibile alle imprese. Un programma pro-globalizzazione e un fine che non corrisponde spesso con l’interesse della collettività, come dimostra il recente caso della Apple, in cui la necessità avanzata dall’Unione europea di far pagare le tasse là dove si producono gli utili (a vantaggio quindi di tutte le comunità locali) si è scontrata con la volontà dell’azienda di trasferire i guadagni semplicemente dove si paga meno.

La prima volta formale del B20 è stata a Seul nel 2010, ma l’istituzionalizzazione dell’evento è avvenuta l’anno dopo a Cannes. Da allora, sempre più insistentemente, l’organizzazione degli imprenditori cerca di far pesare la propria voce sulle scelte dei grandi della Terra. Quest’anno ad Hangzhou, sono state create cinque task force (finanza, commercio e investimenti, infrastrutture, piccole e medie imprese e lavoro) e un forum sulle tematiche legate alla corruzione.

A guidarle sono i padroni di casa, ma ne fanno parte anche i numeri uno dei più importanti attori mondiali di ogni settore. Nel gruppo che si occuperà di finanza, per esempio, siede Laurence Fink, l’amministratore delegato di BlackRock, uno dei principali gruppi del risparmio gestito, mentre tra gli esperti di commercio e investimenti spiccano gli amministratori delegati del colosso di Stato saudita specializzato nelle estrazioni Natpet, Jamal Malaikah, e della statunitense Dow Chemical, Andrew Liveris.

Il fondatore di Alibaba, Jack Ma, avrà il compito di coordinare i lavori tra tutte le menti che cercheranno i mezzi e i modi per aiutare le piccole e medie imprese a diventare “globali”. E non è difficile pensare cosa possa offrire in privato a tutti i partecipanti al meeting il proprietario del più grande negozio online cinese.
Di infrastrutture si occuperanno, tra gli altri, il fondo sovrano di investimenti russo Rdif, i cinesi di Sinopec e di China Resource, il capo di Rio Tinto, Jean Sebastien Jacques, e il presidente della Skandinaviska Enskilda Banken, Marcus Wallenberg.

Il delicato tema del lavoro è nelle mani della task force presieduta da Li Yanhong, presidente e amministratore delegato di Baidu, il più importante motore di ricerca della Cina, un Paese in cui il governo non ha ancora ratificato le convenzioni internazionali del lavoro (Ilo) che riconoscono i sindacati, che aboliscono i lavori forzati e che permettono la contrattazione collettiva. Yanhong ne discuterà con i connazionali Liang Xinjun, ceo della più grande conglomerata cinese, la Fosun, nota in Italia per aver soffiato il Club Med ad Andrea Bonomi, e Zhang Lei della società di investimento Hillhouse, ma anche con Gary Burnison, ad della società di selezione del personale Korn Ferry, e con Yogendra Kumar Modi, presidente esecutivo della società di gas indiana Great Eastern Energy. Per completare la squadra, che non sembra il massimo sul fronte dei diritti dei lavoratori, interverrà anche Daniel Funes de Rioja, il presidente dell’Organizzazione internazionale dei datori di lavoro (Ioe).

Poche righe del programma sul lavoro gettano luce sugli intenti degli imprenditori. “Le norme ambigue e inefficienti – si legge nelle linee guida - che governano il mercato del lavoro, il business e gli spostamenti delle persone sono le più grandi barriere per migliorare l’occupazione. Le restrittive leggi sul lavoro, sulle imprese e sui trasferimenti rendono difficili le assunzioni da parte delle imprese e impediscono alle società di crescere”. E ancora: “Nell’era moderna della globalizzazione e della penetrazione tecnologica, le regole devono essere scritte in modo tale che i beni, i servizi, le persone e le idee innovative vengano usate dove riescono a produrre i benefici economici e sociali maggiori. Riducendo le inefficienze e le eccessive regolamentazioni si promuoverà l’innovazione e l’imprenditorialità e si provvederà ad aumentare le possibilità di lavoro, soprattutto per i giovani”.

Il fine ultimo resta la globalizzazione e sul fronte del lavoro in Italia, la volontà delle imprese si è materializzata con
il Jobs Act del governo Renzi, una strada seguita anche dalla Francia con non poche ripercussioni sul fronte del consenso sociale.


I membri della delegazione britannica al summit del G20 in Cina sono stati avvertiti dal proprio servizio segreto di stare attenti alle "honey traps", alla lettera le "trappole al miele", ovvero a tentativi di adescamento e seduzione da parte di agenti cinesi allo scopo di carpire informazioni riservate. Secondo il Daily Telegraph, nel recente passato funzionari britannici sono caduti in "trappole" di questo tipo in Cina: una fonte cita un "incidente" avvenuto nel 2008, durante una visita a Pechino dell’allora primo ministro Gordon Brown, in cui il diplomatico vittima della seduzione scoprì, al risveglio, che gli erano stati rubati il telefonino e documenti top secret. Un altro pericolo, secondo i servizi segreti di Sua Maestà, sono gli hacker cinesi: a tale scopo la delegazione di Theresa May in Cina ha ricevuto telefonini e indirizzi email temporanei per evitare operazioni di spionaggio elettronico ai propri danni.

CORRIERE.IT
La promessa è di quelle impegnative e Barack Obama sarà di sicuro preso in parola. Gli Stati Uniti aiuteranno la Turchia a portare dinanzi alla giustizia i responsabili del fallito colpo di Stato del 15 luglio. Il presidente americano lo ha assicurato al suo omologo turco Recep Tayyip Erdogan a margine del G20 a Hangzhou in Cina: «Ci assicureremo che coloro che hanno realizzato queste attività saranno portati dinanzi alla giustizia».
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Golpe fallito in Turchia, dall’attacco alla resa. Il fotoracconto

Golpe fallito in Turchia, dall’attacco alla resa. Il fotoracconto
Golpe fallito in Turchia, dall?attacco alla resa. Il fotoracconto
Golpe fallito in Turchia, dall’attacco alla resa. Il fotoracconto
Golpe fallito in Turchia, dall?attacco alla resa. Il fotoracconto
Golpe fallito in Turchia, dall’attacco alla resa. Il fotoracconto
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La visita del vicepresidente

Parole che sono suonate come un’apertura all’estradizione del predicatore Fethullah Gülen, in esilio negli Stati Uniti dal 1999 e considerato da Ankara l’ispiratore del fallito colpo di Stato. La questione era stata discussa dal vicepresidente statunitense, Joe Biden che si è recato in Turchia lo scorso 24 agosto. Biden aveva definito «comprensibile» la «collera» del governo turco nei confronti di Fethullah Gülen ma aveva precisato che per arrivare all’estradizione sarebbe stato necessario esaminare le prove. «Washington — aveva aggiunto Biden — non ha alcun interesse a proteggere una persona che avrebbe nuociuto a un alleato», ma «abbiamo anche la necessità di rispettare le esigenze in materia di norme giuridiche». Quando si va davanti a un tribunale americano», aveva concluso il vicepresidente statunitense, «si deve provare il crimine di cui un uomo o una donna sono accusati».

Il dossier

Alla fine di agosto fonti dell’Amministrazione statunitense avevano fatto sapere ai media americani che la Turchia finora non aveva presentato nessuna prova del coinvolgimento di Gülen nel golpe, ma solo documenti «su presunti crimini non collegati al fallito tentativo di colpo di Stato». A tal fine il presidente turco ha confermato che una delegazione, capeggiata dal ministro della giustizia Bekir Bozdag, si recherà ni Usa per presentare nelle sedi opportune il materiale ritenuto utile.

La Siria

I due presidenti hanno parlato anche della lotta contro l’Isis in Siria. Obama ha espresso apprezzamento per il lavoro svolto insieme alla Turchia ma ha sottolineato che «ora occorre portare a termine il lavoro». «I nostri eserciti, il nostro rafforzamento della legge e la collaborazione nell’intelligence hanno contribuito a far retrocedere l’Isis, specialmente lungo la frontiera tra Turchia e Siria. Però ora dobbiamo terminare il lavoro». Tra Usa e Turchia continuano a esserci divergenze sul ruolo dei curdi nella crisi siriana. Washington considera i miliziani del Ypg degli alleati preziosi nella lotta all’estremismo islamico mentre per Ankara sono solo dei terroristi. «Tutto il terrorismo è cattivo» ha detto Erdogan


Il summit

I lavori del vertice dei leader del G20 ad Hangzhou (Cina) si sono aperti in mattinata. Il presidente cinese, Xi Jinping, ha rivolto un appello ad aprire «un nuovo percorso di crescita» per l’economia mondiale e a ridurre le disuguaglianze. Xi ha esortato i partecipanti al vertice a coordinare le loro politiche monetarie e fiscali, così come le loro riforme strutturali, in modo da stimolare l’economia e garantire che questo dinamismo si mantenga a lungo.

CORRIERE DI STAMATTINA
DAL NOSTRO INVIATO

HANGZHOU Cina e Stati Uniti, i due più grandi inquinatori del mondo, hanno deciso insieme di «salvare il pianeta», come ha promesso Barack Obama commentando la sua ratifica presidenziale dell’accordo sul taglio delle emissioni di gas che provocano il cambiamento climatico innalzando la temperatura e causando fenomeni atmosferici che appaiono sempre più estremi.

Obama e Xi Jinping hanno formulato congiuntamente la loro promessa a Hangzhou, mentre i leader del G20 arrivavano per il vertice economico-finanziario di oggi e domani. La spinta dei due presidenti spiana la via all’entrata in vigore forse entro dicembre del trattato Cop21 varato a Parigi a dicembre 2015 che impegnerà almeno 180 Paesi a ridurre i gas serra. Obama, a fine mandato, è alla ricerca di un successo da lasciare in eredità dopo otto anni nei quali la sua politica internazionale è stata accusata di mancanza di incisività in particolare per non aver posto fine ai conflitti in Siria e Libia e non aver contrastato il nuovo espansionismo cinese. Non avrà salvato i due Paesi in preda alla guerra civile e terroristica, ma ora rivendica che «la storia giudicherà lo sforzo sul fronte ambientale come un punto di svolta».

Il padrone di casa di questo G20, il cinese Xi Jinping, vorrebbe invece accreditarsi oltre che come salvatore del globo dalla minaccia del riscaldamento, anche e soprattutto come soccorritore della globalizzazione in campo economico e commerciale, mito infranto dalla crisi cominciata nel 2008. Non c’è troppo da far conto che in questi due giorni di conclave a 20 vengano elaborate ricette miracolose per uscire finalmente dalla mediocrità economica e sociale che ci deprime dal 2008. Il Gruppo dei 20, che rappresenta l’85% del Pil mondiale e il 75% dei commerci, è un’aggregazione di potenze industriali e nazioni emergenti con interessi per niente omogenei. Con questo beau geste verde-ambiente che lo accomuna al leader Usa, Xi punta a dimostrare di avere le carte in regola per mettersi alla guida di quella che in Cina si comincia a chiamare «riglobalizzazione».
G. Sant.

HANGZHOU L’hanno chiamato Cop21 perché il trattato firmato a Parigi il 12 dicembre 2015 da circa 180 Paesi è arrivato alla ventunesima conferenza tra le parti, a parole convinte della necessità di ridurre, se non fermare, il cambiamento climatico.

Dopo calcoli complicati si è arrivati a stabilire che tenendo l’innalzamento della temperatura terrestre al di sotto dei 2 gradi centigradi (meglio se 1,5), si potrà evitare il peggio, vale a dire per esempio lo scioglimento completo dei ghiacciai, l’innalzamento del livello di mari e oceani, la desertificazione. I Paesi firmatari dovranno puntare «a raggiungere il picco delle emissioni di gas serra il più presto possibile» proseguendo con «rapide riduzioni dopo quel momento» per arrivare a «un equilibrio tra le emissioni da attività umane e le rimozioni di gas serra nella seconda metà di questo secolo».
L’ACCORDO
L’accordo di Parigi, come molti nobili trattati internazionali non resta solo sulla carta ma entra in vigore legalmente solo al raggiungimento di una soglia di ratifiche formali da parte delle istituzioni politico-costituzionali dei Paesi, con voto in Parlamento, decreto governativo o presidenziale. Per il Cop21 è necessaria la ratifica di almeno 55 Paesi le cui emissioni sommate rappresentino il 55 per cento delle emissioni globali di CO2. Ma fino a ieri solo 24 Paesi avevano concluso il processo di ratifica, soprattutto piccole nazioni-isola che sono spaventate dall’innalzamento del livello degli oceani. E la loro quota di gas serra è solo dell’1,08%. Per aiutare i Paesi in via di sviluppo, convinti di aver inquinato pochissimo rispetto ai ricchi occidentali, il Cop21 ha previsto un fondo di 100 miliardi di dollari di finanziamenti «verdi» all’anno.

La Cina è il primo inquinatore del pianeta, con il suo 24% di quota di gas serra sprigionati da un sistema industriale mastodontico, sviluppato senza badare all’ambiente per produrre a ritmi forzati, estrarre carbone e bruciarlo per alimentare centrali elettriche e catene di montaggio di quella che per trent’anni è stata nota come la Fabbrica del Mondo (a basso costo). I cinesi ancora oggi ricavano il 70 per cento circa della loro elettricità dal carbone. Gli Stati Uniti, meno numerosi e tecnologicamente più avanzati, sono al secondo posto con il 14% dei gas serra. I negoziatori della Casa Bianca hanno promesso di tagliare entro 15 anni tra il 26 e il 28 per cento le emissioni. Il governo cinese invece si è impegnato a ridurre le emissioni dal 2030, perché sostiene di dover fare i conti con un Paese ancora in via di sviluppo e alla ricerca di una «moderata prosperità».

Il 24 per cento dei gas cinesi, sommati al 14 degli americani e all’1,08 delle 24 isole arriva al 39% e 26 Paesi. Ma per arrivare alla magica formula 55% e 55 Paesi basterebbe l’Unione Europea con il Regno Unito fino a quando non scatterà il Brexit. Gli europei hanno un 12% di quota nelle emissioni globali. La Commissione di Bruxelles, secondo alcuni esperti, potrebbe legalmente ratificare l’accordo a nome dei membri, dopo un voto del Consiglio europeo, ma alcuni Stati invocano la preventiva ratifica nazionale.

C’è poi il timore che l’obiettivo di tenere l’innalzamento della temperatura sotto la soglia dei +2 gradi centigradi sia forse già irraggiungibile. Per 14 mesi di seguito gli osservatori metereologici hanno registrato il mese più caldo di sempre nei loro archivi storici. Aspettare 15 anni per raggiungere il picco delle emissioni in Cina potrebbe dunque far saltare i piani di contenimento.

Sul riscaldamento terrestre c’è nonostante tutto ancora scetticismo. Obama ha ratificato con decisione presidenziale l’intesa sostenendo che non è un vero e proprio trattato internazionale, da sottomettere al voto del Congresso, ma un «accordo esecutivo». «Credo che l’accordo si rivelerà un punto di svolta per il nostro pianeta, la storia giudicherà decisivi gli sforzi di oggi» ha detto il presidente americano. Ma il solito Donald Trump, che definisce nei comizi il riscaldamento terrestre una «bufala totale» o «una balla inventata dalla Cina», ha già annunciato che rimetterà in discussione l’adesione americana se sarà eletto presidente il prossimo 8 novembre. I cinesi, invece, non debbono fare i conti con queste «incertezze» della democrazia occidentale. La parola di Xi Jinping è legge. Basta poi applicarla .

DAL NOSTRO INVIATO

HANGZHOU Una ventina di minuti di colloquio, con il presidente cinese Xi Jinping, l’uomo che ambisce a mettersi alla guida della «riglobalizzazione» dell’economia internazionale, attento a offrire a Matteo Renzi «una relazione di cooperazione strategica completa tra Repubblica popolare e Italia». È un’espressione che lascia pensare a nuove possibilità di scambi e di collaborazione non solo commerciale, ma anche in progetti congiunti in Africa o sulla Via della Seta. Renzi è venuto in Cina per la seconda volta dopo il 2014; in questa occasione a Hangzhou come membro del G20. E ha deciso che la pista cinese va seguita con maggiore attenzione «perché c’è spazio per un percorso»: così tornerà l’anno prossimo e il 2017 sarà anche l’anno della visita di Stato del presidente Sergio Mattarella.

I cinesi sanno guardare in prospettiva breve e lunga: la cooperazione strategica di cui parla Xi Jinping tiene conto del fatto che nel 2017 l’Italia ospiterà il G7 (in Sicilia) e questa presidenza di turno «di un Paese portavoce dell’europeismo potrebbe anche sostenere i rapporti tra Cina e Ue», osserva Qiu Lining, vicedirettrice della sezione Italia della China Radio International.

Intanto anche Renzi tesse la sua tela di contatti. Lasciato Xi, che rivedrà oggi e domani ai tavoli del G20 di Hangzhou in un centro congressi di maestosità imperiale e costi faraonici, il presidente del Consiglio ha incontrato un gruppo di capitani d’industria che hanno investito miliardi in Italia negli ultimi mesi in una campagna di acquisizioni e fusioni: c’erano Ren Jianxin, il numero uno di ChemChina che ha rilevato Pirelli, i vertici di Fosun, di State Grid, che è il maggiore ente di distribuzione di energia elettrica in Cina ed è entrato in Italia accordandosi con Cassa Depositi e Prestiti; e non mancava nemmeno Zhang Jindong, il nuovo proprietario dell’Internazionale che è diventato un cult da noi con il video in cui dice «Fozza Inda!». Gli imprenditori cinesi hanno chiesto delle riforme in Italia. Renzi ha preso atto del fatto che l’interscambio sta crescendo ed è sui 38 miliardi di euro l’anno, ma noi vogliamo esportare più degli attuali 10 miliardi di euro all’anno. Però, per riuscire a portare i nostri prodotti meglio anche nel difficile mercato cinese «dobbiamo uscire dalla tiritera per cui la globalizzazione è una parolaccia», ha detto Renzi durante una tappa lampo a Shanghai tra gli studenti cinesi dell’Istituto di design e innovazione dell’università Tongji.

La globalizzazione può giocare anche a favore nostro e per dimostrarlo oggi Renzi va a Hangzhou nel quartier generale di Jack Ma, il nuovo profeta dell’e-commerce, per tenere a battesimo un accordo che porterà sulla piattaforma di vendita online cinese i prodotti agroalimentari, partendo dai vini. Il discorso per sfatare il mito della globalizzazione colpevole di tutti i mali piacerà anche a Xi Jinping. «Un incontro tempestivo quello di Renzi con Xi, visto che si parla di rapporti strategici Roma-Pechino», dice Yang Aiguo, ex corrispondente in Italia dell’agenzia Xinhua, voce del governo.




NAZIONALE - 04 settembre 2016
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4/9/2016
IL G20 in Cina
Il vertice.
I leader mondiali cercano la ricetta contro la stagnazione. Pechino e Washington ratificano l’intesa di Parigi sull’ambiente. Obama: “Così salviamo il pianeta”
“Rilanciare l’economia con ogni strumento possibile” Parte il G20 per battere la crisi Cina-Usa, sì all’intesa sul clima
FEDERICO RAMPINI
DAL NOSTRO INVIATO
HANGZHOU.
«Rilanciare la crescita facendo leva su ogni strumento possibile. Difendere un’economia aperta, respingere il protezionismo, promuovere il commercio globale». Il vertice G20 si apre all’insegna della stagnazione secolare. Il male oscuro della globalizzazione domina la bozza di documento finale, su cui oggi si confrontano i leader che rappresentano l’85% della ricchezza del mondo. La presidenza cinese raccoglie l’allarme lanciato dal Fondo monetario e incalza: «Guai se vincono i nazionalismi, le barriere e i muri ».
I due pesi massimi del summit, il padrone di casa Xi Jinping e Barack Obama, offrono almeno un avvio positivo: l’accordo storico sull’ambiente è cosa fatta, le due superpotenze lo hanno adottato. Nel loro incontro bilaterale che precede i lavori del vertice, i presidenti cinese e americano annunciano «l’adesione formale» dei due Paesi al piano di Parigi per la lotta al cambiamento climatico, lanciato nel dicembre 2015 alla conferenza Cop21. Cina e Stati Uniti insieme generano circa il 40% delle emissioni planetarie di CO2, la loro azione in questo campo è determinante. Obama ne fa un pezzo portante della sua eredità: «La ratifica dell’accordo può essere vista come il momento in cui abbiamo deciso di salvare il pianeta». E da Hangzhou vuole rassicurare anche su quel che accadrà dopo l’elezione del suo successore: «La storia dimostra che una volta adottati questi accordi gli Stati Uniti li rispettano, al di là degli avvicendamenti politici». In realtà non è sempre stato così. Ma per non correre rischi Obama si era premunito perché quell’accordo non fosse un trattato formale, con impegni vincolanti e sanzioni: nella veste attuale non ha dovuto passare da una ratifica del Congresso. In quanto alla Cina, continua a produrre il 70% della sua elettricità dal carbone, il cui consumo è raddoppiato in un decennio; e ha varato la costruzione di altre 150 centrali a energia fossile. Per evitare che i leader mondiali venissero accolti da una nube di smog, Xi ha messo in vacanza forzata gran parte della popolazione di Hangzhou, e diversi quartieri della metropoli sono semi-deserti. Il leader cinese però è convinto che la svolta verde sia nell’interesse nazionale: «Quando la vecchia strada non porta da nessuna parte, bisogna provarne una nuova». Gli investimenti nella energie rinnovabili e la riconversione a uno sviluppo sostenibile potrebbero diventare un cantiere mondiale per creare ricchezza e lavoro, su basi nuove.
Proprio la ripresa economica che manca all’appello, è il tema dominante di questo G20. Il Fondo monetario parla di «rischio di stallo», abbassa le stime della crescita mondiale dal 3,1% al 2,9%. Il capo dell’Ocse Angel Gurria avverte che qualcosa non sta funzionando nell’unico strumento che fin qui era stato dispiegato: la politica monetaria: «Le banche centrali sono vicine al limite delle loro pos- sibilità, per stimolare l’economia ». Dopo otto anni di esperimenti audaci e perfino spericolati – tassi sottozero, creazione di liquidità, massicci acquisti di bond, aiuti alle banche – la cura è sempre meno efficace, il paziente dà segni di assuefazione, non reagisce più agli stimoli monetari. I sintomi di anomalia sono ormai ovunque: dal Giappone che scivola in recessione malgrado l’enorme pompa del credito interno, al caso della Danimarca dove si offrono mutui a tasso negativo.
Di fronte a un ristagno che coincide con diseguaglianze sociali sempre più acute, e un impoverimento del ceto medio in tutto l’Occidente, la direttrice del Fmi Christine Lagarde constata che «il pendolo politico oscilla in direzione contraria ai mercati aperti». E questo spaventa la Cina più di ogni altro paese: il suo poderoso decollo da tre decenni è strettamente legato al suo accesso ai mercati altrui. Xi Jinping è consapevole del pericolo, lancia un avvertimento: «L’isolazionismo non risolverà i problemi dell’economia globale». Pechino ha vissuto come uno shock il referendum Brexit (la Gran Bretagna era la sua migliore amica dentro l’Unione europea), segue con inquietudine la campagna elettorale americana dove Trump propone un superdazio del 45% sul made in China. Ma proprio alla vigilia di questo summit la Camera di commercio Ue a Pechino (che riunisce tutte le aziende europee presenti su questo mercato) ha pubblicato un rapporto in cui denuncia il protezionismo sempre più smaccato con cui le autorità cinesi aiutano le proprie aziende.
Il G20 a differenza del G7 è rappresentativo dei nuovi equilibri mondiali, ci sono dentro tutte le economie emergenti. È l’occasione per prendere il polso anche a loro. E tutte le ex-locomotive sono nei guai. In recessione Brasile, Russia, Nigeria, Sudafrica. La stessa Cina, che riesce ancora a mettere a segno una crescita del 6,6% (per quel valgono le sue statistiche ufficiali), ha chiesto di inserire nel documento finale del G20 il tema della sovra-capacità nel settore dell’acciaio: la metà della produzione mondiale è cinese, e interi giganti della siderurgia rischiano il collasso per mancanza di sbocchi. Altro segnale inquietante da un paese vicino è la bancarotta di Hanjin, colosso coreano del trasporto navale: il traffico marittimo è in crisi, subisce il contraccolpo dal rallentamento degli scambi internazionali. Resta il dubbio che il G20 possa concordare una ricetta comune, e poi applicarla. Accadde una volta sola, nel 2009, quando si trattava di coordinare gli interventi per salvare le banche dal crac sistemico.
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Il padrone di casa Xi Jinping lancia la svolta verde: “Ora proviamo una strada nuova” Le anticipazioni della bozza finale: “Difendere un’economia aperta, no al protezionismo”
AD HANGZHOU
Il segretario Onu Ban Ki-moon, i presidenti di Cina e Usa Xi Jinping e Barack Obama
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