Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  settembre 02 Venerdì calendario

LA VERA LITE È SUL CONTROLLO DELLE “RICCHE”. PARTECIPATE

È sulla gestione delle società partecipate del Campidoglio, una galassia di 26 aziende con circa 22 mila dipendenti, che si è consumato l’ultimo scontro, il più acceso, tra Marcello Minenna, ex assessore al Bilancio, e i fedelissimi dello staff della sindaca Virginia Raggi, a partire dal vice capo di gabinetto Raffaele Marra fino al capo della segreteria politica Salvatore Romeo. Una contesa di intensità tale che ieri in Campidoglio ha fatto sussurrare a più di un consigliere grillino: “Se l’andazzo è questo, che ci stiamo a fare qui?”.
Da quasi un mese, Minenna lavorava ad un piano per la razionalizzazione delle aziende municipalizzate, che rendesse definitiva la scelta di farle guidare da un amministratore unico, già sperimentata negli ultimi anni in Campidoglio. Via i cda, sarebbe rimasta una sola figura, assistita da un direttore generale, a guidare le aziende in house del Comune di Roma. Una scelta in linea con la spending review tanto cara ai 5Stelle. La delibera era pronta ma è slittata per diverse sedute di giunta visto che il nuovo modello di governance non avrebbe trovato ampia condivisione tra gli uomini più vicini alla sindaca, desiderosi di inserirsi nella partita. Perché avere le mani libere su Atac e Ama – una gestisce i trasporti, l’altra i rifiuti – significa dirigere buona parte dell’attività del Campidoglio.
A Roma per anni il “capitalismo municipale” ha generato mostri: società pubbliche che producono servizi di bassa qualità ad un costo elevato. Ma anche un grande bacino di consensi, visto il numero dei dipendenti. Numeri alla mano sia Atac sia Ama spendono più per i costi del personale che per i servizi erogati. La prima conta 11.738 lavoratori, forte di un contratto di servizio da 440 milioni di euro all’anno, a cui vanno aggiunti 71 milioni di fondi della Regione Lazio. L’altra, invece, ha in organico 7.924 addetti e incassa un contratto col Comune da 793 milioni l’anno. Non a caso uno dei concetti ripetuti della campagna elettorale della Raggi è stato fornire rassicurazioni ai dipendenti delle due partecipate che, nonostante i loro conti dissestati (solo Atac perde circa 1 miliardo) i servizi non sarebbero stati messi sul mercato. L’addio alla giunta di Minenna però ha generato un effetto domino anche in Atac e Ama: in entrambe le aziende si sono dimessi i vertici, anche se le due situazioni vanno distinte.
Nell’azienda dei rifiuti l’amministratore unico Alessandro Solidoro, entrato in carica solo dal 4 agosto, ha subito gettato la spugna senza fare mistero di essersi trasferito da Milano, dove guidava l’Ordine dei Commercialisti, su esplicito invito di Minenna. Punto che ribadisce nell’annunciare il suo passo indietro: “A seguito delle dimissioni dell’assessore al Bilancio, ho ritenuto venute meno le condizioni per l’incarico affidatomi”. Resta in carica invece il direttore generale Stefano Bina, più vicino agli ambienti a 5 Stelle, arrivato il 23 agosto dalla multiutility di Voghera con un incarico fino a dicembre.
Diverso il caso delle dimissioni dei vertici Atac, il presidente Armando Brandolese e il dg Marco Rettighieri: erano nell’aria da tempo. Entrambi nominati dal commissario Francesco Paolo Tronca, graditi al Pd, negli ultimi giorni hanno manifestato a più riprese il loro disappunto per quelle che Rettighieri ha definito le “intromissioni” dell’assessore ai Trasporti Linda Meleo. L’ex dg accusa “una palese violazione delle regole del buonsenso” parlando di una lettera in cui l’assessore gli chiede che in “caso di cambiamenti da apportare alla macrostruttura aziendale, il provvedimento prima che sia reso definitivo, mi venga sottoposto”. Come dire: le nomine interne all’azienda devono avere il mio assenso. Un caso, si dice, scatenato dallo spostamento di un dipendente imparentato con un assessore 5Stelle del municipio XV. Brandolese invece ha parlato di amministrazione “contraria al piano aziendale”, che prevedeva l’alienazione di patrimonio immobiliare, ex depositi inutilizzati, per 95 milioni di euro. La giunta parla di nuove nomine “a giorni”, sperando di trovare qualcuno disposto a rischiare di restare in carica anche meno di un mese.
di Andrea Managò, il Fatto Quotidiano 2/9/2016