Paola Jacobbi, Vanity Fair 1/9/2016, 1 settembre 2016
«IL FILM DELLA NOSTRA VITA». INTERVISTA A FRANCA E FRANCESCO SOZZANI – Il 9 settembre di 34 anni fa, Franca Sozzani partorì il suo primo e unico figlio, Francesco Carrozzini
«IL FILM DELLA NOSTRA VITA». INTERVISTA A FRANCA E FRANCESCO SOZZANI – Il 9 settembre di 34 anni fa, Franca Sozzani partorì il suo primo e unico figlio, Francesco Carrozzini. Aveva lavorato in redazione fino all’ultimo giorno. Per non perdere il turno al corso di ginnastica pre-parto aveva fatto iscrivere la sua segretaria Lucia. Ma poi, di fatto, non era riuscita ad andare nemmeno alle ultime, decisive, lezioni. Non fu un parto facile: 15 ore di travaglio, molto dolore e la contestuale decisione di non avere più figli. Non solo: quando il bambino nasce – magrolino, due chili e quattrocento grammi – Sozzani non è soddisfatta. «Era bruttissimo», racconta. «Aveva l’ittero, era tutto giallo, e con una macchia rossa sulle palpebre che temevo non sarebbe mai più andata via. Pensai che, appena fossero cresciuti i capelli, gli avrei fatto fare una bella frangia per coprirla. Ero furibonda. Per di più la mia vicina di letto aveva avuto un bambino stupendo e io non mi capacitavo, visto che lei e il marito non erano esattamente bellissimi. Ho persino pensato che me lo avessero scambiato nella culla». Impossibile. Perché non solo Franca e Francesco si somigliano in modo inequivocabile, ma il bebè con l’ittero è anche diventato un gran bel ragazzo con tanto di fidanzate celebri (come l’ex Lana Del Rey), che, ridendo e indicando la madre, dice: «Meno male che la disgrazia estetica è stata evitata, altrimenti qui non ci saremmo mai più ripresi». Complici e affini ma anche sinceramente conflittuali, Franca e Francesco sono l’interessante materia prima del documentario firmato da Francesco e intitolato Franca. Chaos and Creation, che sarà presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia. Poi girerà per festival, avrà un’altra première a New York e dovrebbe uscire in sala in Italia nella primavera del 2017. Il film spiega molto bene, con l’intervento di alcune celebrità – da Bernard-Henri Lévy a Courtney Love ai più grandi fotografi di moda del mondo –, in che cosa consista il Sozzani touch nell’editoria (scansare l’ovvio, cercare la provocazione, portare i talenti allo zenit della loro capacità espressiva), ma anche che tipo di donna e madre sia Franca. La Sozzani professionista avrebbe potuto raccontarla chiunque, tutto il resto poteva solo raccontarlo Francesco. Si comincia con una passeggiata a due a Central Park, New York, dove Francesco vive da 14 anni e lavora come fotografo e regista. Francesco Carrozzini: «Era il 2010, mio padre stava morendo. Ho pensato che fosse arrivato il momento di saperne di più sulla mia, sulla nostra storia familiare. E soprattutto su mia madre, perché era quello che mi rimaneva. All’inizio doveva essere una cosa privata, solo per noi, per conservare la memoria, riguardare i filmini di famiglia che aveva girato il nonno e che ritraggono Franca da ragazzina. Fin lì, lei è stata molto disponibile. Quando però le ho detto che volevo farlo diventare un film vero, già non ne voleva più sapere». Franca Sozzani: «Anche se la mia vita è molto esposta al pubblico, io sono una persona riservata. Non mi piace parlare del mio privato. E poi, onestamente, il dialogo con un figlio è molto difficile: hai pudori che non avresti nella conversazione con un’amica». F.C.: «E invece sono venute fuori tante cose, cose che io non avevo mai avuto il coraggio di chiedere né lei di raccontare». Per esempio, intervistandola, Francesco ha scoperto che suo padre, al tempo in cuiFranca rimase incinta, era sposato. F.S.: «Proprio così, non glielo avevo mai detto. Ma soprattutto non gli avevo detto che io non sono mai stata veramente innamorata di nessuno, che mi è mancata quella grazia del grande amore, e che è una cosa di cui mi dispiaccio parecchio. Alla fine, l’uomo più importante della mia vita è stato suo padre, ma solo perché da quella relazione è nato Francesco». Prima di conoscerlo, si era sposata con un altro uomo, a 21 anni. Un matrimonio durato pochi mesi. F.S.: «Un errore. Il giorno delle nozze ero fuori di me, non ci volevo più andare. Mi aveva fatto schifo il bouquet che mi aveva spedito mia suocera e lo buttai via. Mia sorella, con molta pazienza, me ne fece un altro, di margherite raccolte in giardino. Arrivai in chiesa con un’ora di ritardo e un muso lunghissimo». F.C.: «Le ho chiesto perché ci fosse andata comunque. Mi ha risposto: “Perché ero già vestita!”». Neanche con il padre di Francesco durò molto: dopo pochi anni vi siete lasciati. F.S.: «Sì, e con Francesco andai per un lungo periodo a vivere in albergo, al Duca di Milano, vicino al Principe di Savoia». F.C.: «Proprio quando vivevamo in hotel è stata nominata direttrice di Vogue. Ricordo che sono tornato da scuola e c’era la stanza piena di fiori, non capivo che cosa fosse successo». Che madre è stata Franca? F.C.: «Quando avevo bisogno di lei, c’era. Mi ha persino aiutato nei compiti di latino e greco al liceo, era bravissima. Però è stata anche molto assente. Si è persa il mio esame di quinta elementare perché è arrivata il giorno dopo». C’è l’inquadratura di un’immagine di repertorio che torna due volte nel film: Franca intervistata all’evento per i trent’anni di Vogue Italia e lei, piccolino, tra sua madre e l’intervistatrice. F.C.: «Sì, e lì l’intervistatrice le chiede di fare lo spelling del suo nome perché non era ancora la Franca Sozzani che tutti conoscono. Ho rimontato la stessa immagine alla fine, assieme ai momenti in cui riceve la Légion d’honneur a Parigi, per ribadire che ci sono anch’io accanto al suo straordinario percorso professionale». Si intuisce che, benché da piccolo forse l’avrebbe voluta tutta per sé, come una mamma normale, lei prova un’ammirazione sconfinata per Franca. F.C.: «Sì, ma ogni volta che provo a dirglielo, lei si infuria». F.S.: «Avrei detestato un film in cui non si fa altro che dire quanto è brava di qui, quanto è geniale di là. Non mi piacciono i santini e le autocelebrazioni». Nei suoi numerosi viaggi di lavoro, ha mai portato Francesco con sé? F.S.: «Spesso. Una volta andammo in Giappone, lui avrà avuto 12 anni. La sera del nostro arrivo a Tokyo, andiamo a cena con la stilista Rei Kawakubo e il marito. Una serata difficile, i due parlavano pochissimo e noi eravamo stravolti dal jet lag. In macchina, tornando in albergo, gli dissi: “Sei stato bravissimo, Francesco”. Lui mi rispose: “Mamma, ero troppo stanco per fare l’antipatichetto”». Ha incoraggiato l’interesse di Francesco per il cinema? F.S.: «Da subito. Siccome già a 13 anni lui aveva cominciato a dire che voleva fare il regista, due anni dopo, pur di non vederlo spiaggiato tutta l’estate a Forte dei Marmi o a Portofino, lo mandai a fare un corso di cinema a Los Angeles. Tornò entusiasta e non ha più cambiato idea. Ha lavorato e ancora lavora anche come fotografo, e io sono felice. Abbiamo un dialogo interessante, su argomenti che ci appassionano entrambi. Avesse scelto di fare il medico o l’avvocato, sarebbe stata una sfortuna per me». Essere il figlio di Franca Sozzani è solo un privilegio o anche un ostacolo? F.C.: «Certamente un privilegio, per l’aria che ho respirato, perché come fotografo ho avuto lo stesso mentore che hanno avuto dei grandissimi come Peter Lindbergh o Steven Meisel. È un privilegio perché, grazie al suo amico Helmut Lang, a 21 anni sono stato due settimane sul set di Oliver Twist di Roman Polanski, dove ho avuto la folgorazione definitiva per il cinema. È un ostacolo, ma di minor importanza, perché la gente ha dei pregiudizi. Molti pensano che io sia un raccomandato. Del resto, è vero che ho avuto una partenza molto veloce, e in più sto riuscendo in quello che faccio. È ovvio che si creino inimicizie. Va detto che anche lei, nella sua posizione, ha un sacco di nemici. Anzi, ogni tanto la chiamo e le chiedo se per favore può evitare di litigare con Tizio o Caio perché non vorrei finire vittima di una di queste antipatie transitive…». E lei, Franca, che cosa risponde alle accuse di nepotismo? F.S.: «Quale genitore non aiuterebbe un figlio? Poi, tu le possibilità le dai, ma se non si hanno le capacità si cade da soli. Non si semina sul cemento. Per esempio, nel 2007, io ho mandato Francesco a fotografare Tim Burton per L’Uomo Vogue. Prima di chiamare lui avevo cercato altri fotografi, ma Burton poteva solo l’8 agosto a Cuernavaca, in Messico, ed erano tutti in vacanza. Francesco parte, arriva lì e Tim Burton ha cambiato idea. Non vuole fare le foto, erano a duemila metri e gli mancava l’aria. Francesco mi chiama e mi dice che ci sono questi problemi. Io rispondo “arrangiati” e gli butto giù il telefono. Si è arrangiato, è riuscito a convincerlo, il servizio era bello, la sua occasione non l’ha certo sprecata». Nel film ci sono molti momenti in cui vi scontrate a muso duro. F.C.: «Non seguiva le mie istruzioni, dovevo farle ripetere le frasi mille volte e lei si spazientiva!». F.S.: «Insomma, tutti mi accusano di non sapermi spiegare perché troppo sintetica, lui è l’unico al mondo che mi accusa di essere prolissa!». C’è una cosa, nel film, che ho trovato tenera e che non mi aspettavo. Lei dice che spera ancora di incontrare un grande amore, un principe azzurro. F.S.: «Sì, perché sognare non costa niente, a nessuna età. Anche se, a dirla tutta, se davvero lo incontrassi, non sono sicura che vorrei mettermelo in casa, questo principe azzurro».