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 2016  agosto 26 Venerdì calendario

ASTEROIDI E VECCHI CODICI LA CORSA ALLO SPAZIO È UNA BATTAGLIA GIURIDICA


«Siamo venuti in pace per tutta l’umanità», diceva la targa lasciata da Neil Armstrong sul luogo del primo allunaggio, che però fu posta sotto una bandiera a stelle e strisce: già allora emergeva con evidenza la contraddizione tra l’universalismo delle dichiarazioni e la realtà di una feroce competizione tra le superpotenze. Affievolitasi con lo spegnersi della Guerra Fredda, la gara per il controllo dello spazio potrebbe però essere sul punto di riacutizzarsi.
Non solo perché le attività spaziali stanno diventando sempre più rilevanti dal punto di vista economico, ma anche perché si comincia a intravedere la possibilità concreta di sfruttare industrialmente le risorse extraterrestri, in particolare gli asteroidi e la Luna. La presenza di interessi economici concorrenziali nello spazio renderà inevitabile il sorgere di controversie. Diventa quindi essenziale la presenza di un quadro legislativo che consenta di risolverle amichevolmente.
Fino a poco tempo fa l’unica legge in materia era il Trattato sullo spazio extra-atmosferico, entrato in vigore nel 1967 dopo un negoziato tra Stati Uniti, Unione Sovietica e Regno Unito e ratificato dalla maggior parte dei Paesi del mondo (Italia inclusa). Oltre a proibire il posizionamento di armi di distruzione di massa al di fuori dell’atmosfera terrestre, il Trattato stabilisce anche che «lo spazio extra-atmosferico non è soggetto ad appropriazione nazionale né rivendicandone la sovranità, né occupandolo, né con ogni altro mezzo», e che la Luna, i pianeti e gli altri corpi celesti sono un «patrimonio comune dell’umanità». Il che significa che, come il mare in acque internazionali, possono essere usati da chiunque ma nessuno se ne può appropriare.
Nel 1979 fu stilato un trattato più dettagliato, l’“Accordo che regola le attività degli Stati sulla Luna e sugli altri corpi celesti”, che contiene norme più severe per l’uso dello spazio. In particolare vieta la sperimentazione di armi e la creazione di basi militari, proibisce l’alterazione dell’ambiente di altri corpi celesti, raccomanda la condivisione dei campioni ottenuti nelle ricerche scientifiche, e soprattutto nega esplicitamente anche ai privati, e non solo agli Stati, la possibilità di appropriarsi di risorse extraterrestri, stabilendo per le attività minerarie un regime simile a quello in vigore per lo sfruttamento dei fondali marini, in cui un’autorità internazionale sovraintende alla spartizione delle risorse e controlla che le estrazioni avvengano secondo regole condivise. Tuttavia l’accordo, pur depositato all’Onu, è stato ratificato da pochissimi Paesi, mentre le tre principali potenze spaziali, Stati Uniti, Russia e Cina, non lo hanno mai firmato, seppure senza dissociarsene apertamente. Rimane dunque una sorta di legge “fantasma”, priva di sostanza ma che potrebbe acquistarla se altre nazioni prendessero la decisione di aderire.
Quando, nel corso delle missioni Apollo, gli Usa riportarono indietro dalla Luna svariati campioni di rocce, stabilirono un precedente contrario alla collettivizzazione dello spazio, trattandoli come una proprietà esclusiva del governo americano. In generale negli Stati Uniti è diffuso il punto di vista secondo cui lo spazio è una nuova frontiera a disposizione degli intraprendenti, e non una risorsa collettiva. Negli ultimi anni sono state presentate al Congresso varie proposte di legge tendenti a stabilire diritti di proprietà e giurisdizione sulle risorse spaziali (di cui la più bizzarra è l’Apollo Lunar Legacy Act, che nel 2013 proponeva di dichiarare parco nazionale il sito dell’allunaggio dell’Apollo 11 nel mare della Tranquillità, con lo scopo di proteggerlo da manomissioni da parte di turisti spaziali).
Queste tendenze si sono concretizzate quando, lo scorso novembre, il Presidente Obama ha ratificato una legge denominata Spurring Private Aerospace Competitiveness and Entrepreneurship Act of 2015 (“Legge a stimolo della competitività e imprenditorialità dell’industria aerospaziale privata”, di solito abbreviata in Space Act of 2015).
La legge prevede espressamente che i cittadini americani possano intraprendere l’esplorazione e lo sfruttamento commerciale delle risorse dello spazio (con l’esclusione di eventuali esseri viventi), e garantisce loro protezione contro «interferenze dannose». In particolare dichiara che un privato ha il diritto di stabilire il proprio diritto di proprietà su un asteroide e di spostarlo, sfruttarlo e venderlo.
Il testo precisa che gli Stati Uniti non intendono con questo affermare alcun diritto di proprietà o sovranità su qualunque corpo celeste. Nondimeno alcuni esperti sostengono che la legge viola il Trattato sullo spazio, dato che l’impegno a difendere un diritto di proprietà equivale di fatto a una dichiarazione di sovranità. In un articolo sulla rivista specializzata Space Policy, Fabio Tronchetti, professore di Diritto internazionale dello spazio presso l’università cinese di Harbin, ha affermato che «agli Stati è proibito estendere la loro sovranità su qualunque parte dello spazio. E, nonostante le argomentazioni di chi sostiene il contrario, questa proibizione si estende anche ai privati».
In generale il dibattito in merito allo Space Act è stato acceso. I suoi difensori sostengono che si tratta di una legge necessaria, dato che le imprese private non affronterebbero mai le incognite dello spazio senza una garanzia sui loro diritti di proprietà. Altri affermano che, senza nuovi trattati internazionali che regolino in modo concordato i diritti di sfruttamento, si rischia di dare vita a un far west spaziale.
Lo Space Act è in ogni caso una legge semplice, che si limita a questioni di principio ma non entra nel dettaglio delle procedure da seguire per assicurarsi la proprietà di un asteroide. Si tratta insomma di un “sasso nello stagno”, il cui lancio è stato richiesto dagli imprenditori spaziali statunitensi per smuovere l’immobilismo legislativo imperante da quasi quarant’anni. E i risultati cominciano già a vedersi: il Lussemburgo ha infatti annunciato a sua volta un’iniziativa denominata Space Resources, con il dichiarato obiettivo di creare entro il 2017, con l’appoggio dell’Università del Lussemburgo, una legislazione che consenta di rilasciare licenze per lo sfruttamento degli asteroidi alle aziende, «regolando i loro diritti e doveri in accordo col Trattato sullo spazio». Il piccolo Paese non nasconde l’ambizione di diventare l’hub europeo dell’industria mineraria spaziale, e ha già stilato un protocollo di intesa con le aziende statunitensi interessate al settore. «Simultaneamente ai passi compiuti a livello nazionale», ha dichiarato il ministro dell’economia Xavier Bettel, «il Lussemburgo si sforzerà di promuovere a livello internazionale un quadro legislativo che sostenga gli investimenti e le opportunità di crescita per le imprese private che mirano all’utilizzo delle risorse spaziali. Obiettivo del Granducato è partecipare con altre nazioni a tutte le discussioni rilevanti per concordare un quadro internazionale reciprocamente benefico».
Sembra evidente che stiamo per assistere a una nuova corsa allo spazio, il cui motore principale non è più politico come negli anni ’60, ma economico. Staremo a vedere se gli Stati saranno in grado di darsi regole in grado di rendere possibile lo sfruttamento delle risorse extraterrestri senza conflitti e senza eccessi.