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 2016  agosto 26 Venerdì calendario

AMICO GATTO, FRATELLO CANE UN AMORE DA 12 MILIARDI


Affollano i social network e sono al centro di battaglie in 4 mila divorzi l’anno, trattati come figli. Sottendono un giro d’affari di circa 12 miliardi di euro, più o meno quanto l’intero mercato della moda femminile italiana, e negli Stati Uniti la spesa per la loro alimentazione è
quattro volte superiore a quella dei bambini. Sono cani e gatti, protagonisti di una rivoluzione domestica che ha coinvolto 30 milioni di italiani.
Secondo il Rapporto Italia 2016 di Eurispes, infatti, quasi la metà dei nostri connazionali ha in casa un animale. Se i gatti sono sette milioni e mezzo, e i cani poco meno di sette milioni, gli uccelli superano i 13 milioni e i rettili arrivano a un milione e mezzo. La concentrazione è maggiore al Centro (23,8%) e nelle Isole (27,5%), ma sono gli abitanti del Nord-Ovest ad avere in casa più di un esemplare (9,9%).
Il relativo mercato vale, solo per l’alimentazione di cani e gatti, nel nostro Paese quasi 2 miliardi di euro e ha una crescita esponenziale che si declina sì in mangimi, ma anche in nuove attività commerciali come quelle deputate alla toilettatura, accessori e soprattutto figure professionali con stipendi di tutto rispetto.
«Negli anni Sessanta», spiega Roberto Marchesini, autore di svariate pubblicazioni scientifiche, fra cui Etologia Filosofica. Alla ricerca della soggettività animale (Mimesis, 2016, 121 pp.), «il cane era relegato al giardino. Con gli anni Ottanta, invece, ha cominciato in tutto il mondo a entrare in casa, e a diventare parte integrante del calore domestico. Ma la rivoluzione è arrivata negli anni Novanta: le persone hanno iniziato a desiderare la sua compagnia in qualsiasi momento della giornata, e si è affermata l’idea di cittadinanza dell’animale».
La principale ricaduta di questo processo ha toccato la medicina veterinaria, che ha avuto un rapido sviluppo e le cui spese sono dal 2015 detraibili (sconto Irpef 19%). «Il progresso tecnologico ha dotato di mezzi diagnostici le strutture medico veterinarie, che oggi hanno a disposizione le medesime strumentazioni della medicina umana. A chi si scandalizza per le cure prestate bisogna ricordare la crescente affezione per gli animali», commenta Gaetano Penocchio, Presidente della Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani (Fnovi), che registra quasi 32 mila iscritti. Un’affezione che corrisponde a benefici anche sulla salute tanto che recentemente il Centro Studi Sic Sanità ha affermato che «alla luce della riduzione dei costi legati alla gestione di alcune delle principali patologie croniche quali diabete, patologie cardiovascolari e depressione, possibile grazie alla diffusione degli animali domestici» il risparmio per il servizio Sanitario Nazionale sarebbe di quattro miliardi di euro.
A questo punto diventa lecito domandarsi quanto costa possedere un animale. Fare i conti in tasca ai proprietari però non è facile, perché le stime si dividono. Secondo l’Istat nel 2015 la spesa media famigliare è stata di 10,39 euro al mese per l’alimentazione e di 2,59 euro per la medicina veterinaria. Dati ben diversi da quelli diffusi per il medesimo anno dall’Adoc (Associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori) che prevede una spesa annua per il gatto di 800 euro e per il cane di 1.800. Circa il 70% in più rispetto a soli dieci anni fa. Vanno poi sommati i costi relativi agli accessori (circa 100 euro ogni sei mesi), alla toilettatura (30 euro) e alla sterilizzazione (dai 200 ai 400 euro). E, per chi preferisce un cane di razza, quelli relativi all’acquisto.
Proprio intorno ai cani con pedigree il dibattito è molto acceso. Nel 2015 sono stati iscritti nei diversi registri del Libro genealogico Enci 159 mila esemplari, 17 mila in più rispetto a due anni fa. Gli allevatori denunciano, però, soprattutto rispetto ad altri Paesi europei, una scarsa attenzione alle norme messe a regolamentare la riproduzione.
Ci sono poi razze al centro di polemiche cicliche come il bulldog inglese, ampiamente criticato per il processo di selezione che ha portato alla nascita di esemplari con patologie oculistiche, respiratorie e dermatologiche. Ne sa qualcosa Francesca Granatiero dell’allevamento Bulldog Glamour di Lavello, che vanta il Campione Italiano My Star Toy Boy (i nomi dei cani meriterebbero una trattazione a sé), recentemente qualificatosi quarto nel Campionato Mondiale di bellezza. «Spesso chi vuole un bulldog risparmia per anni, e quando riesce ad acquistarlo mi dice di aver raggiunto il sogno di una vita», racconta Granatiero. «Nel mio allevamento ho attualmente 15 fattrici, e ogni anno produco circa 30 cuccioli. I costi mensili, oltre a quelli di un dipendente fisso, sono molti: solo per l’alimentazione sono necessari 800 euro, e altrettanti sono quelli destinati alle spese veterinarie». Discorso a parte meritano le necessità specifiche della razza, dall’inseminazione artificiale, per evitare i problemi derivanti dalla monta, al parto cesareo a causa della grandezza delle teste dei cuccioli. Anche per questo gli esemplari di allevamenti certificati hanno un costo di partenza di 1.500 euro, che può arrivare fino a 5.000. Decisamente inferiori sono invece i prezzi di razze meno richieste o di cani da lavoro (dai 700 ai 1.000 euro).
A fare la differenza sono le competizioni vinte e i relativi titoli che possono far lievitare il valore dei cuccioli fino al 100%. Nel 2015 le esposizioni e le prove promosse dall’Enci sono state 2.362. Per gli allevatori è fondamentale prendervi parte, con una spesa che va dai 500 ai 1.000 euro per ogni singolo incontro. «Tutto è anticipato da una lunga preparazione. Il cucciolo deve socializzare fin da piccolo. Il passo successivo è l’allenamento e l’addestramento al ring, quello che in gergo cinofilo si chiama dressare il soggetto. Una volta abituato a restare in posizione, a trottare e a farsi vedere i denti, il soggetto è pronto per l’esordio espositivo», spiega Federico Vinattieri dell’allevamento di Fossombrone, attivo dal 1977, con oltre 1.000 esposizioni all’attivo e più di 4.000 qualifiche eccellenti, fra cui numerose vittorie in campionati mondiali.
Si tratta di un notevole business, che spesso sacrifica l’indole degli animali in virtù della bellezza. «La selezione della razza è un aspetto che spesso viene sottovalutato», sottolinea Marco Morganti, dell’allevamento ValdiSterza Labrador. «Scegliere il giusto accoppiamento è un esercizio nel quale si cimentano giornalmente decine e decine di persone, ma poche sono quelle che ne hanno le competenze. I rischi sono molteplici: si va da una perdita delle prerogative caratteriali e attitudinali specifiche della razza, che possono portare ad avere dei soggetti diffìcilmente gestibili per esuberanza e temperamento, all’insorgenza di patologie ereditarie come displasie a carico delle articolazioni, o invalidanti patologie dell’apparato visivo. Per ogni razza esistono test genetici i cui risultati possono dare indicazioni fondamentali nella scelta del giusto accoppiamento, ma non tutti se ne avvalgono o ne conoscono l’esistenza». Una polemica cruciale riguarda poi i controlli che l’Enci effettua sugli allevatori riconosciuti. «Esiste un Codice Etico», spiega ancora Morganti, «che gli allevatori devono sottoscrivere, ma i controlli sono molto rari e le negligenze molteplici: da cucciolate prodotte a meno di 5 mesi l’una dall’altra, all’iscrizione di cucciolate nate da genitori che, pur in possesso di un certificato di origine, non hanno nessuna verifica morfologica». I vuoti legislativi sono numerosi, partono dall’alimentazione – con le aziende che garantiscono agli allevamenti sconti fino al 70% purché queste consegnino ai nuovi proprietari kit pubblicitari e li convincano a non cambiare mangime – fino ad arrivare al traffico internazionale di cuccioli, che secondo il Rapporto Zoomafia della Lav è uno dei business più redditizi. Solo nel 2015 sono stati sequestrati 500 cuccioli che, acquistati per pochi euro, avrebbero fruttato con pedigree fasulli oltre 400 mila euro con la vendita su internet o presso rivenditori compiacenti. Altrettanto preoccupante è la questione relativa ai canili, di cui 11 strutture sono state sequestrate l’anno scorso. Nel 2014 la spesa pubblica per la gestione degli animali senza padrone ammontava a 248 milioni di euro, distribuiti fra le spese di settore per le amministrazioni comunali e le aziende sanitarie, di cui 85 milioni gestiti proprio dai canili. L’Italia – insieme a Francia, Belgio, Bulgaria e Germania – delega ai Comuni le politiche relative al randagismo. La situazione europea è molto disomogenea, come emerge dal V Rapporto Nazionale di Legambiente; se in Austria e a Cipro esistono degli incentivi per l’adozione, diffusissima è l’eutanasia nei Paesi del Nord. Nel nostro Paese è concessa solo se inevitabile e nell’interesse dell’animale e sempre più spesso vi si ricorre per porre fine alla vita di animali che riescono a sopravvivere unicamente grazie a farmaci e interventi medici. «Spesso cani e gatti», dice Monica Marelli, autrice per Giunti di numerosi saggi sull’argomento fra cui Arrivederci Bau, «diventano protagonisti di processi di umanizzazione molto rischiosi. Per questo, quando vengono a mancare, il dolore è profondo e anche in Italia stanno nascendo delle strutture dedicate alla loro sepoltura». Questioni di cuore, ma anche (e forse soprattutto) di business.