Vittorio Feltri, Libero 1/9/2016, 1 settembre 2016
CHE GRAN SCRITTORE STEFANO, PECCATO SOLO CHE ABBIA TORTO
Stefano Lorenzetto, veronese incapace di staccarsi da Verona, che considera l’ombelico del mondo, è un grande giornalista e lo era anche da piccolo, nel senso di molto giovane. È nato con un formidabile talento incorporato ed è cresciuto cercando di dissiparlo senza però riuscirci del tutto, tanto è vero che continua a distinguersi per bravura e quantità produttiva. Scrive notte e giorno: articoli, specialmente interviste (la sua inimitabile specialità), libri a iosa. Forse scrive anche sui muri per tenersi in allenamento. E io che lo apprezzo leggo la sua prosa deliziosa dovunque, perfino su riviste che compriamo solamente lui e io. Andare d’accordo con Stefano è più difficile che avere buoni rapporti con la suocera più pestifera. Parlargli è piacevole fino a che, all’improvviso, senza che te ne accorga, si adombra e diventa antipatico. Basta un nonnulla a irritarlo: una parola storta, un concetto che non condivide, una frase che giudica inopportuna. Vuole sempre avere ragione e quasi sempre ce l’ha. Le sue opere sono numerose e non le ricordo tutte. Alcune recano anche il mio nome quale coautore, ma la fatica maggiore nel comporle è stata sua. Io sono pigro, lui è iperattivo. Lavora troppo per avere successo pieno, non gli resta tempo per curare la carriera. Avere Lorenzetto in squadra è una benedizione per la qualità che vi porta e una maledizione per i problemi di rapporti che vi crea. Il suo stile è impeccabile. Ricorda quello dei migliori (pochi) suoi conterranei (veneti): Marchi, Nascimbeni, Parise, Berto. Padroneggia l’italiano, di cui è custode rigoroso sino alla pedanteria. Affidargli un pezzo da passare significa predisporsi ad atroci sofferenze. Ti segnala anche la più piccola imperfezione, che talvolta tale non è, ma è una semplice licenza dialettale. Lo devi sopportare perché in fondo la sua perizia ti salva da figure di merda. Conosco Stefano da oltre 30 anni. È stato mio vicedirettore (vicario) al Giornale all’epoca in cui succedetti a Montanelli. Faceva tutto lui. Raramente ho osato contraddirlo. Quando l’ho fatto me ne sono pentito. Discutere con lui significa soccombere per sfinimento. Egli ha tanti difetti sovrastati da pochi pregi di alto livello. Gli sono grato per quanto ha dato al giornalismo, e a me, ricavando meno di quanto meritasse. Oggi esce con questo libro che esalta il no al prossimo referendum confermativo. Lo si legge di un fiato e lo si gradisce per la limpidezza del linguaggio. Le idee sono espresse con chiarezza e proprio perché le ho capite bene le respingo in toto. Ho la sensazione che egli abbia torto, come sempre. Ma è questa la sua forza, il motivo per cui Lorenzetto è il collega che stimo di più. Alla lunga mi fa sentire alla sua altezza. Probabilmente sbaglio.