di Daniela Ranieri, il Fatto Quotidiano 1/9/2016, 1 settembre 2016
FERTILITÀ STILE LORENZIN: I FRUTTI DELLE DONNE LI DECIDE L’IMPERO
Non fosse bastato a stuzzicarvi i lombi l’idea di intascare 80 euro dal governo semplicemente portando a termine una gravidanza (un lavoro di 9 mesi, più di molti contratti a tutele crescenti), da ieri il Dipartimento alle Ovaie che fa capo al Ministero della Sanità sostiene l’incremento della stirpe e la lotta delle donne contro l’orologio biologico indicendo il “Piano nazionale per la fertilità” (il 22 settembre, per chi volesse approfittarne), lanciato sui social con l’hashtag #fertilityday. Abbiate pazienza, l’argomento ci imbarazza, e non per i motivi che potrebbe pensare la (ex?) Ncd quasi-neo-renziana diplomata classica Lorenzin, promotrice insieme ad Alfano dell’istituzione del reato di maternità surrogata e altre aberrazioni.
Non è tanto il fumo incensato da Family Day che vi aleggia attorno (Lorenzin, che da quando ha partorito due gemelli a 43 anni, s’è resa conto che si può dare un cambioverso al calo demografico anche con la cultura e non solo con la moneta sonante), quanto il fatto che la campagna di incentivo anzi di sollecito alle nascite sia tra le altre una iniziativa del governo “più di sinistra degli ultimi 30 anni” (copyright Renzi), e dunque, anche se vorremmo ignorarla come la raccomandazione di certe zie rompicoglioni e beghine che chiedono nipotini nella grazia di Dio, ci tocca parlarne. Qui più che l’etica conta l’estetica, ed è questa che andiamo a illustrare.
In uno dei manifesti della pubblicità-regresso una ragazza in età fertile si accarezza la pancia, dove tutto origina, e con l’altra mano mostra una clessidra, allegoria barocca del memento, con sotto la scritta: “La bellezza non ha età. La fertilità sì”. Cominciamo bene: noi avevamo giusto in mente di procreare verso i 55-56 anni, fortuna che il governo, che vigila sui nostri destini, ci ricorda che l’obsolescenza va bene per gli iPhone ma è in conflitto con la missione di una vera donna, che non certo è quella di farsi bella.
In un altro un rubinetto gocciolante segnala che “La fertilità è un bene comune”, al che molte di noi si sono subito procurate una scatola di Norlevo (volgarmente: pillola del giorno dopo) e l’hanno ingoiata intera come gesto politico di autonomia e autodeterminazione. Al netto della beffa che il referendum del 2011 sull’acqua-bene comune è stato, secondo le denunce di Sel e M5S, disatteso proprio dal partito governativo, il messaggio è che l’utero nostro è loro e lo comandano loro, e c’è poco da scherzare perché, anche se in un senso che questa “classe dirigente” non può comprendere, la questione sta già in questi termini. Il materialismo storico in cui immergeremmo per un salutare bagno di laicismo tutti quelli che hanno lavorato a questa demente, maschilista, paternalista e stolta campagna, infatti, suggerirebbe di legare il calo demografico e l’aumento dell’età delle partorienti a fattori che non hanno a che fare con un antipatriottico sciopero delle culle.
Ad esempio le condizioni contrattuali, mentali e fisiche in cui le donne sono costrette dai datori di lavoro, autorizzati a controlli, discriminazioni e licenziamenti dal Jobs Act; l’impossibilità di avere un reddito certo per crescere un figlio; le uguali condizioni condivise dal padre del pargolo; l’inaccessibilità a prestiti e mutui (dunque a una casa propria che segni l’ingresso nell’età adulta); la mancanza di asili nido pubblici e di consultori e la chiusura dei centri antiviolenza. Elenchi noiosi, che la spinterogena compagine governativa non avrà manco tempo di leggere, occupata com’è a dare all’Italia il segno più, se occorre anche usando le nostre Tube di Falloppio.
Evidentemente si ritiene l’erosione del welfare perfezionata da questo governo (in primo luogo in tema sanitario, con la geniale idea di distinguere tra esami diagnostici utili e inutili, dove gli utili sarebbero quelli che si rivelano tali solo dopo averli fatti) come meno capace di influire sulle scelte di vita delle persone di quanto pensiamo noi, insipienti delle cure del ferro del Partito della Nazione e ignari della lezione dei Nardella (“La socialdemocrazia in tutta Europa è alla canna del gas”), dunque dediti al gufesco e antirenziano uzzolo di rifiutarci di dare figli alla Patria.
Questo ovviamente senza considerare che una donna o una coppia può anche non voler fare figli indipendentemente dalle condizioni economiche, ma questo, da chi diffonde manifesti con una buccia di banana per rappresentare la fertilità maschile, sarebbe troppo sperare. Non ci aspettiamo neanche che Boschi s’esprima, lei che è occupata a venderci la Costituzione che ha con tanto amore riscritto, e sì che sarebbe pure ministro per le Pari Opportunità (chissà di chi, forse le sue). Così dal mussoliniano “Un popolo ascende quando sia numeroso” all’odierno “Proteggi la tua fertilità. Per te. Per noi. Per tutti” è un attimo, e per un’anamorfosi straniante non ci stupirebbe leggere “Se le donne daranno i frutti loro, #impero è solo questione di tempo” (e però almeno il fascismo dava alle puerpere cure sanitarie e colonie marine e asili).
Oh: va bene gli 80 euro a chi fa un figlio, e magari pure 160 a chi lo chiama Matteo; ma non è chiaro come il governo parteciperà a questa campagna in un modo che sia anche fattivo e non solo retorico.
Se verrà introdotta la tassa sui celibi e i non fertili, se ai banchetti Anci apposti nei Comuni che pubblicizzeranno l’iniziativa verranno fatti accoppiare individui con modalità rigorosamente gender-free, o se saranno distribuite per uso casalingo fiale contenenti spermatozoi veri, quelli che hanno fatto la Resistenza e dunque voteranno Sì.
di Daniela Ranieri, il Fatto Quotidiano 1/9/2016