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 2016  agosto 30 Martedì calendario

ABU, PRIMULA ISLAM: “IL MIO JIHAD: DIFENDO ALLAH DAPPERTUTTO”

Nel nostro Paese ha lavorato per il Comune di Aosta come spazzaneve e spazzino. A Milano ha seguito corsi d’italiano ricevendo buoni pasto dall’amministrazione pubblica. Oggi Moaez Ben Abdelkader al Fezzani, alias Abu Nassim, nato a Tripoli nel 1969, con doppia nazionalità, libica e tunisina, è considerato dall’intelligence internazionale uno dei capi più carismatici di Isis. Su di lui pesa, però, un mistero: il nome di Nassim viene citato in diversi appunti di Daesh sequestrati durante la battaglia di Sirte. In quelle carte, in particolare, si fa riferimento a lui come il capo della “casa dei tunisini” a Milano e come possibile attivatore di una rete jihadista nel capoluogo lombardo. Il dato viene pubblicato dal Corriere della Sera il 13 agosto scorso. Quattro giorni dopo, la notizia è all’apparenza clamorosa: al Fezzani è stato arrestato nella regione di Zintan. Il condizionale, però, è d’obbligo. Libya Herald pubblica la notizia. Nessuno, però, tantomeno il sindaco di Zintan, conferma l’arresto. Poco convinti anche gli esperti dell’antiterrorismo italiano. “Non è la prima volta – spiega una fonte qualificata – che qualcosa viene millantato solo per ottenere attenzione. Allo stato non possiamo avere certezza del fermo di Nassim”.
E che Abu Nassim sia in galera oppure no è un dato decisivo anche per la sicurezza del nostro Paese. La sua vicenda, infatti, è legata a doppio filo con l’Italia. La prima volta nel 1989. L’ultima nel 2012, quando, dopo un’assoluzione in primo grado a Milano (poi ribaltata in Appello) e con un decreto di espulsione sulle spalle, Nassim riesce a fuggire gettandosi dall’auto in corsa della Digos. Sarà catturato pochi giorni dopo e messo su un aereo per Tunisi. Eppure per comprendere realmente la pericolosità di al Fezzani bisogna partire dalla piccola cittadina di Zenica, in Bosnia Erzegovina. È il 1994. Nassim decide di partire per combattere al fianco dei fratelli musulmani contro l’aggressione serba. Diventerà un mujaheddin. E come lui in Bosnia arriveranno altri 12 mila “fratelli”.
Molti combatteranno tra le file della brigata El Mujahid. Tanti resteranno in quelle zone, vivendo secondo i dettami della sharia. “Quello – ragiona l’antiterrorismo – è oggi il primo vero esercito del Califfo in Europa”. Abu Nassim racconta la sua esperienza davanti ai pm di Milano nel 2010. Spiega i suoi contatti con Anwar Shaban, all’epoca personaggio carismatico della moschea di viale Jenner a Milano, ucciso in Bosnia e la cui tomba, eretta in un luogo segreto, è ancora venerata dagli aspiranti jihadisti. “Attraverso questi sermoni – spiega al Fezzani – mi ero convinto di andare a combattere in Bosnia. Shaban mi diede un numero telefonico che corrispondeva alla sede della Katiba al Mujahideen (…).
Alla fine del novembre 1994 raggiunsi Zenica partendo in treno da Milano”. Da qui il trasferimento nel campo di Orachist: “L’ingresso era attraverso una strada d’accesso da Zenica (…). Sulla destra una prima casa degli addestratori e sulla sinistra un edificio con all’interno una moschea e una madrassa, poi diretta da Shaban”. Fezzani partecipa a una serie di operazioni militari. Poi nel 1995, dopo gli accordi di Dayton, succede qualcosa. Schaban viene ucciso. “Shaban – spiega Fezzani – aveva raggiunto il presidente della Bosnia (…) che gli chiese di consegnare le armi in base agli accordi internazionali”. Shaban però vuole proseguire. “E così a Doboj il convoglio che aveva a bordo tutto il vertice della Katiba al Mujahideen fu intercettato e attaccato (…) . In quel momento i croati e i bosniaci avevano raggiunto un accordo politico-militare contro i serbi, e siccome la posizione di Shaban andava contro gli accordi raggiunti, i croati eliminarono il vertice per conto dei bosniaci”.
Dopo l’esperienza bosniaca, nel 2001, Fezzani arriva a Peshawar in Pakistan. Qui, racconta, sarà arrestato. “Sono stato per 6 anni a Bagram, ma anche a Kandahar per 2 settimane e a Kabul per 1 anno. Sono stato torturato a Kabul dove ero sempre legato per un polso e costretto a vivere con musica ad alto volume ed era sempre la stessa musica e facevo i miei bisogni in un secchio. Questo trattamento veniva da agenti americani, credo della Cia”. Nei verbali del 2010, dopo il suo arresto con l’accusa di terrorismo per aver, assieme ad altri, messo in atto “un complessivo programma inquadrato in un progetto di jihad”, Fezzani spiega anche il suo modo d’intendere il jihad. Dice: “Mi si fa notare che dovere di un musulmano è quello di effettuare jihad tendendo al martirio, cioè diventare uno shaid. Rispondo che per me non era così. Per me il jihad, e quindi i doveri di me come musulmano, era difendere i musulmani, i loro beni e i loro territori da attacchi da parte di nemici. Per esempio è jihad quello a favore dei palestinesi aggrediti dagli israeliani”. Insomma, il profilo di Fezzani, per come emerge dai verbali, appare di tutto rilievo. Su questo, oggi, sta lavorando la Procura di Milano. Obiettivo: bloccare la nuova rete jihadista di Abu Nassim.
di Davide Milosa, il Fatto Quotidiano 30/8/2016