Giusy Franzese, Il Messaggero 30/8/2016, 30 agosto 2016
IN 40 ANNI SPESI 122 MILIARDI MA IL RISCHIO CROLLI RESTA FORTE
Non c’è prezzo per le vite umane perdute, oltre 4.600 a partire dal terremoto del Belice a metà gennaio 1968, e già questo basterebbe ad accelerare la messa in sicurezza e le opere di prevenzione da eventi sismici degli edifici pubblici e del patrimonio privato, almeno nelle zone più a rischio. C’è stato un prezzo, invece, e molto alto per le casse dello Stato e quindi di tutta la comunità, per affrontare le emergenze e poi le lunghe ricostruzioni. Uno studio elaborato su documenti ufficiali (Camera dei Deputati) dal Consiglio nazionale degli Ingegneri e rilanciato dagli analisti di Mediobanca Securities, calcola questo prezzo in oltre tre miliardi l’anno in 44 anni (dal 1968 al 2012), per un totale attualizzato di 122 milioni di euro. Un fiume di denaro, non sempre finito nelle tasche giuste come purtroppo le cronache ci hanno svelato a ogni evento.
E nemmeno sono bastati, tutti questi soldi, a riparare interamente i danni, visto che secondo la Protezione Civile negli ultimi 40 anni gli eventi sismici hanno comportato danni diretti per circa 147 miliardi di euro (3,6 miliardi per anno). E poi, come spiega sempre lo studio del Consiglio nazionale degli Ingegneri, le stime sui costi dei terremoti «fanno riferimento ai danni strutturali di immobili e infrastrutture (costi diretti) e mai ai costi indiretti, legati ai mancati guadagni delle attività economiche chiuse o rallentate a seguito del sisma». Costi, questi ultimi, difficili da quantificare ma che potrebbero essere altissimi con effetti molto rilevanti sul reddito della popolazione residente, perché dopo un disastro l’economia locale per decine di anni potrebbe non tornare ad essere più produttiva come prima.
GLI STANZIAMENTI
Quasi la metà dei soldi stanziati (il 43%) sono andati per la ricostruzione del violento sisma che colpì l’Irpinia e parte della Campania il 23 novembre dell’80, e che fece 2.914 vittime e circa trecentomila senza tetto: dai primi soldi per l’emergenza a tutti i numerosi provvedimenti successivi - gli ultimi ancora a 27 anni di distanza per interventi fino al 2023 - si è arrivati a un costo di 23,5 miliardi di euro di valore nominale, cifra che attualizzata al 2014 diventa pari a 52 miliardi di euro.
Quattro anni prima, nel 76, la terra aveva già mostrato tutta la sua enorme forza distruttrice nel Friuli e seppellendo sotto le macerie 990 persone (ci furono 45.000 sfollati): il conto per le casse pubbliche è stato di 18 miliardi e mezzo di euro (l’importo nominale non attualizzato è stato pari a 4,7 miliardi di euro).
L’Aquila nel 2009, l’Emilia tre anni dopo e le scosse in Marche e in Umbria nel 97, hanno comportato stanziamenti per spese fino al 2029 di risorse di oltre 13 miliardi di euro a drammatico evento (per la precisione 13,7 l’Aquila, 13,3 l’Emilia, 13,4 Marche e Umbria). Ma in tanti ancora non sono riusciti a rientrare nelle loro case.
LE POLIZZE
È anche banale, a questo punto, dire che gran parte di queste risorse pubbliche si sarebbero potute risparmiare se si fosse messa in atto una efficace politica di adeguamento sismico del patrimonio edilizio. O se fosse più diffusa l’assicurazione contro i danni da eventi naturali, come terremoti e dissesti idrogeologici (solo l’1% delle abitazioni italiane ha una copertura specifica per gli effetti delle scosse sismiche). Mediobanca ricorda che più volte in passato si è parlato di introdurre una polizza assicurativa obbligatoria contro le catastrofi. Sulla base dei dati disponibili e considerando i 30 milioni di immobili presenti in Italia - stima Mediobanca - una polizza obbligatoria potrebbe costare in media circa 100 euro lanno per ogni immobile. Una cifra tutto sommato accettabile.