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 2016  agosto 27 Sabato calendario

L’AQUILA, DOPO 7 ANNI 9 MILA SFOLLATI: CHI VA VIA NON TORNA A CASA

Non disperdetevi come comunità, non lasciatevi allontanare dalle vostre case, fate che l’emergenza non diventi lungodegenza ”. Sono tre punti del decalogo scritto subito dopo il sisma del 2012 in Emilia Romagna dal “Comitato 3e32”, che riunisce gli sfollati del terremoto del 2009 a L’Aquila, per suggerire le insidie da evitare durante i lunghi periodi in attesa della ricostruzione. Dopo la nuova calamità che ha scosso il centro Italia, il manifesto del “terremotato consapevole” è tornato a circolare. Perché, una volta venuta meno l’emergenza umanitaria dei primi giorni, il problema principale diventa dove, con quali fondi e in che tempi ricostruire. L’esperienza degli ultimi gravi terremoti avvenuti nella penisola insegna che lasciare subito la città o la frazione dove si vive coincide spesso con l’abbandonarla per sempre.
Dopo sette anni gli sfollati del terremoto de L’Aquila, che ha causato 309 morti, sono ancora circa novemila. Oggi 3.700 famiglie vivono disseminate nelle new town, quartieri antisismici costruiti in pochi mesi ma situati lontano dal resto della città. Altri 1.050 nuclei familiari risiedono nei Moduli Abitativi Provvisori, delle casette prefabbricate che in alcuni casi sono più vicine alle vecchie abitazioni. Non sono gli unici in Italia: in Molise dopo quattordici anni dal sisma che ha colpito San Giuliano di Puglia dove circa 300 persone ancora vivono tra il villaggio di prefabbricati e appartamenti in affitto.
A L’Aquila la ricostruzione procede a rilento: su 10 miliardi di danni stimati sono stati stanziati fondi per 4,4 miliardi per la ricostruzione, altri 3 mancano all’appello. E se nel centro storico hanno riaperto 90 negozi, in alcune frazioni buona parte di cantieri non è mai partita, complice anche la presenza di seconde case non considerate tra le priorità.
“Siamo venuti nelle frazioni vicino ad Amatrice per dare una mano, il nostro primo suggerimento è non abbandonare il proprio territorio, per evitare che subisca gravi danni sociali”, racconta Mattia Fonzi del “Comitato 3e32”. Il suggerimento resta sempre lo stesso già scritto nel decalogo: “Nell’ottica della ricostruzione – prosegue – le strutture provvisorie vanno fatte il più vicine possibile al luogo dove si abitava. Nei luoghi colpiti da questo terremoto mi sembra più percorribile che a L’Aquila la strada dei moduli provvisori davanti ai piccoli paesi”. Poter osservare da vicino l’avvio della ricostruzione, dove avverrà, fornisce un conforto a livello psicologico ben diverso. “A L’Aquila – sottolinea Fonzi – ormai il problema non è più abitativo, perché tra moduli non più utilizzati ed edifici ricostruiti ma rimasti disabitati ci sono circa 7.000 alloggi liberi. Più passano gli anni più la gente tende a cercare nuove sistemazioni stabili, chi ha potuto ha comprato in altri quartieri, altri sono andati via”.
Un fenomeno che si sta osservando in questi primi giorni anche nel reatino, dove non tutti i 3.300 sfollati si sono rifugiati nella tendopoli allestita ad Amatrice, alcuni invece hanno chiesto di poter piantare delle tende nei pressi dei piccoli paesi dove abitavano. Per un fattore psicologico, per abitudine, o forse nella consapevolezza che se una città come L’Aquila dopo sette anni ancora è un cantiere una piccola frazione può rapidamente diventare un fantasma.
In Molise va anche peggio, con i risarcimenti alle famiglie delle 27 vittime del crollo della scuola elementare di San Giuliano che devono ancora arrivare. Il Tribunale di Campobasso ha stabilito che Comune deve versare 35 milioni di euro, una cifra fuori portata per piccolo paese con appena mille abitanti. Tanto che lo scorso anno il sindaco Luigi Barbieri ha messo in vendita tutti i beni comunali, dalla piscina al palazzetto dello sport fino allo stesso villaggio temporaneo per gli sfollati, per riuscire a saldare il debito. Nel frattempo, in Parlamento, un disegno di legge per consentire di allentare i vincoli del Patto di Stabilità di 77 milioni di euro langue dal 2013.
di Andrea Managò, il Fatto Quotidiano 27/8/2016