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 2016  agosto 27 Sabato calendario

BANCO DI NAPOLI, UN’EREDITÀ CONTESA

In tre interventi il professor Zingales con la nota competenza prova a far luce sul l’apparente paradosso Sga, un case study, egregiamente illustrato nell’e-book di Mariarosaria Marchesano che sviluppa un’analisi dettagliata di un “miracolo napoletano” ricco di spunti utili ad affrontare oggi il mare delle sofferenze bancarie. La Sga venti anni or sono acquistò i crediti problematici (circa 6 miliardi di euro) del “vecchio” Banco di Napoli, ne recupera al momento oltre il 90% e realizza anche 700 milioni di utili. Nei primi anni usufruisce dello schermo del “decreto Sindona” non certo eretto a sua protezione bensì a garanzia del felice acquirente del Banco (Bnl nel 1998 e San Paolo Imi nel 2000). Grazie alla protezione, il prestito di 12mila miliardi di lire con cui il Banco finanziò la Sga per l’acquisto dei “suoi” crediti problematici è un impiego privo di rischio e ad alto rendimento (nel 1997 il 9,4%: oltre mille miliardi di lire annui). Il fortunato acquirente potrà così più che agevolmente ricapitalizzare il Banco con i suoi stessi proventi. La Sga, insomma, è una “gallina dalle uova d’oro” soprattutto all’atto della famigerata “asta” che il Tesoro (grande azionista di Bnl) con impudenza definì «competitiva».
Alcuni ingredienti decisivi sfuggono completamente al professor Zingales che, attento ai dettagli, ignora la “storia”. Egli plaude incondizionatamente al Mef per «la tutela del contribuente» che avrebbe ispirato l’acquisizione del “tesoretto” subito investito per 500 milioni nel fondo Atlante 2. Plaude anche alla (ritengo improvvida) decisione di trasformare la Sga in un intermediario finanziario, con il che ponendo i presupposti per smantellare una struttura di validità unica nel panorama bancario nazionale. Atlante 1 e 2 che non brillano per competenza specifica e ancor meno per esperienza potranno così affidarsi in modi “competitivi” ai soliti advisor anglo-italiani.
Molte delle valutazioni e messe a punto, perdono rilievo in carenza di una contestualizzazione di quell’esperienza; una carenza che inficia le sue rassicuranti e consolatorie conclusioni. Il professor Zingales scrive su eventi dei quali sembra ignorare origine e natura, né si confronta con i nodi che dopo vent’anni giungono al pettine. Il che è grave sia che dipenda dalla non conoscenza delle questioni aperte, sia – ancor peggio – se intende eluderle relegando ai margini come dettagli aspetti invece essenziali. Quanto al Mef, oggetto del peana del professor Zingales, parla per lui il decreto del 3 maggio 2016 che al comma 2 abroga i commi 6 e 6-bis dell’articolo 3 del d.l. 24 settembre 1996, n. 497. Il riferimento al lontano 1996 avrebbe – non fosse altro per cortesia – meritato qualche arido numero supportato da una adeguata contabilità.
Sconcerta, ma non il professor Zingales, il fatto che il Mef non abbia sentito il bisogno di motivare il suo operato nell’evidente intento, come suol dirsi, di metterci una pietra sopra. Sconcerta il timido silenzio della Fondazione Banco di Napoli (vigilata dal Mef), che ha sempre iscritto a bilancio nei conti d’ordine il potenziale credito legato ad eventuali utili della Sga. Non sconcerta, il muto conformismo delle istituzioni napoletane, campane, meridionali. Di intenti “tombali” è ricca la vicenda postuma del Banco, e la sua ombra ogni tanto come l’omonima sheakespeariana, ricompare a rivendicare almeno la verità.
Ragionare sulla “pretesa” di vecchi azionisti abrogata per decreto, offre l’occasione per valutare elementi, a monte e a valle della esperienza Sga. Senza di ciò giudizi e conclusioni all’apparenza ineccepibili rischiano di essere strumentali solo a presunte verità o a ostacolare analisi che, lungi dal sottoscriverle, potrebbero invece pesantemente censurarle.
Il “Vecchio Banco” – e questo ormai è noto – fu sacrificato sull’altare di enormi conflitti di interesse celati dietro lo schermo accecante di un fondamentalismo efficientista puramente formale. Nel caso specifico, l’invocazione della logica “competitiva” e di “mercato” fece da paravento al trionfo di uno spregiudicato, strumentale e smaccato conflitto di interessi, favorito, in corso d’asta, da un’intensa turbativa sulla quale si sono chiusi occhi e orecchie. In questa storia si inserisce la nascita della Sga e il suo “miracoloso” operare; ripercorrerla correttamente è condizione necessaria per individuare il “miracolato”.
Forse il Mef di oggi, non essendo il Tesoro di allora, non se ne rende conto, forse non se ne cura, ma una qualche domanda sui diritti dei vecchi azionisti se la sarà pur posta visto che il decreto sulla Sga richiama esplicitamente la legge 588 del 1996 che, in parole povere, riconosce loro una partecipazione agli utili della Sga qualora risultassero tali da compensare il Tesoro dei costi del “salvataggio”. Di questo dettaglio il professor Zingales non si cura, una distrazione grave se ci si vuol avventurare in arditi, sommari, giudizi su persone o in impegnative considerazioni di etica economica e di tutela del contribuente.
Facendo il processo alle intenzioni (del Mef), si può stimare che esso valuti il presunto costo del salvataggio in circa 3 miliardi, cioè ben al di là dei 7-800 milioni realizzati. Una stima che il Mef potrebbe far lievitare a 4-5 miliardi ma che si fonda su una contabilità del tutto impropria, viziata da imperdonabili vuoti di memoria, e che occulta consapevolmente il peccato originale che lo vede primo responsabile.
La perdita di memoria del Mef è perfettamente quantificabile attorno ai circa due miliardi incassati dal Tesoro: asta competitiva, privatizzazione Bnl, Opa San Paolo-Imi. A questa posta va aggiunta quella più ricca, sommersa e che al peso delle cifre aggiunge un significato politico e morale enorme. A testimoniarne la portata c’è una corposa documentazione in attesa da anni che il Parlamento, i “tecnici” governativi, magari qualche studioso paziente la consultino. Potranno allora emergere chiaramente responsabilità del Tesoro, aggiuntive rispetto a quelle ben evidenti del conflitto di interessi che ha dominato l’asta “competitiva”.
Esse si commisurano alle macroscopiche inadempienze che dal 1992 – ante litteram – praticò l’unico vera attiva spending review: mirata, illegittima (anzi illegale) che con irresponsabile imperizia governò la repentina cancellazione dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Una vicenda che condizionò pesantemente nel periodo 1993-1997 le imprese meridionali e, meccanicamente, impattò sulle banche creditrici che avevano come d’uso concesso anticipazioni su erogazioni regolarmente deliberate. Tutto ciò fu decisivo per alimentare l’abnorme crescita delle sofferenze meridionali. Analitici riscontri potrebbero rinvenirsi nelle decine di migliaia di pratiche trattate dalla Sga.
La slavina di crediti deteriorati iniziò nel 1993 proseguendo fino a tutto il 1996, cioè ben dopo la severissima ispezione della Banca d’Italia al Banco. D’altra parte la certificazione del nesso causa-effetto tra inadempienze del Tesoro, esplosione del contenzioso e lievitare delle sofferenze è di fonte ministeriale. In audizione alla Commissione V Bilancio e programmazione della Camera dei Deputati il 26 luglio 1995 il professor Giuseppe Ammassari D.G. della produzione industriale del Ministero industria, riferisce come a quella data vi sia un cumulo di 19mila domande con relativi decreti di concessione di finanziamenti mai erogati per attività in avanzato stato di realizzazione per un impegno di circa 12mila miliardi di lire. Quanto dovuto alle imprese non fu tempestivamente e, in molti casi, mai liquidato con conseguente enorme crescita di un contenzioso protrattosi per anni nel mentre procedeva inesorabile il passaggio dei crediti a incaglio e, poi, in sofferenze «burocraticamente-politicamente procurate». Il potenziale di queste partite indotte – in massima parte concentrate sul Banco di Napoli – supera quei 6 miliardi andati in dote alla Sga. Sarebbe interessante ricostruire quanti “miracolosi” recuperi si debbano alla soluzione del contenzioso o al lento superamento delle inadempienze ministeriali.
Il richiamo alla “storia” esprime un’esigenza di verità che inevitabilmente chiama in causa i “vecchi azionisti” e cioè la Fondazione. Se con un eufemismo si può dire che oggi la banca (in sedicesimo) esiste, lo stesso non può dirsi per la Fondazione che vide azzerato il suo patrimonio. Di tutta la vicenda, questo è il danno socialmente più rilevante, perché destinato a persistere in perpetuo: oltre 2 miliardi sottratti alla comunità che lo aveva costituito nei secoli. Per tutto ciò varrebbe la pena di fare una salutare pausa di riflessione sulla buona novella della Sga.
Adriano Giannola*, Il Sole 24 Ore 27/8/2016

*L’autore è presidente della Svimez