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 2016  agosto 29 Lunedì calendario

QUELLA FAGLIA LUNGO GLI APPENNINI CHE SPINGE L’ITALIA VERSO I BALCANI

Il terremoto che ha colpito l’entroterra laziale nella notte tra il 23 e il 24 agosto non ha sorpreso i geologi: il sisma ha devastato una zona ad alto rischio, caratterizzata dalla presenza di rocce torbiditiche create dall’unione di sabbia e argilla mentre il massiccio del Gran Sasso si sollevava, all’incirca 6 milioni di anni fa. Nello stesso momento sotto le vette montuose si accumulavano questi detriti. È qui che, tra i due e i tre milioni di anni fa, si è formata una faglia che s’è poi mossa per quasi due chilometri. Impossibile predire il terremoto della scorsa settimana, ma l’«attività» di quel sottosuolo è nota da tempo ai geologi.
Senza interruzione
Ieri pomeriggio un’altra potente scossa, di magnitudo 4.4, si è irradiata da Arquata del Tronto. Ben 2002 gli eventi sismici registrati nel Centro Italia dopo il terremoto (magnitudo 6.0) avvenuto alle 3.36 del 24 agosto. «Nella prima metà del mese sono stati riconosciuti e localizzati 581 terremoti», afferma Alessandro Amato, sismologo dell’Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia (Ingv). Una media di 39 eventi al giorno: in linea con i numeri degli ultimi mesi. «I terremoti di magnitudo pari o superiore a tre sono stati sette: due in Friuli, uno in Molise, uno in Calabria e tre nel Tirreno. Ma la zona dell’Appennino umbro-marchigiano è sempre la più attiva». Anche perché «in quell’area la sensibilità della rete sismica è maggiore e consente di rilevare anche i terremoti di piccola intensità». Quasi sempre a piccoli passi, l’Italia continua dunque a muoversi lungo la rotta imboccata circa otto milioni di anni fa, quando l’espansione del Mar Tirreno iniziò a spingere il nostro Paese verso est.
Direzione Est
Da allora la Penisola, schiacciata tra le placche africana ed euroasiatica, si è spostata in direzione dei Balcani: con una velocità superiore nelle regioni meridionali. E’ come se il nostro Paese fosse in origine una lancetta che, facendo perno sulla Liguria, cadeva perpendicolarmente nello spazio oggi occupato dalla Corsica e dalla Sardegna. Successivamente ha iniziato a piegare verso l’oriente. Mentre infatti la costa tirrenica rimane piuttosto stabile, «quella adriatica, assieme alla catena appenninica, continua a spostarsi verso l’ex Jugoslavia di almeno cinque metri ogni mille anni», spiega Stefano Salvi, ricercatore del Centro Nazionale Terremoti (Ingv). Ciò vuol dire che da qui a venti milioni di anni Rimini e Pola potrebbero unirsi. Qualcosa in meno basterebbe per far fondere Otranto e Valona: via mare distanti meno di cento chilometri. Il sisma che ha sconvolto la provincia sabina è presto spiegato, sul piano geologico: «È come se, a furia di tirare i due lembi, un lenzuolo si fosse strappato nel mezzo».
Imprevedibilità
Il terremoto è stato pertanto la logica conseguenza dei fenomeni di distensione che stanno interessando la crosta terrestre che fa da base all’Italia centrale. «Quando un blocco si stacca, il trasferimento di energia che dà origine al terremoto è praticamente contemporaneo», dice Paolo Messina, direttore dell’istituto di geologia ambientale e geoingegneria del Cnr. Motivo per cui non c’è tempo utile ad avvisare la popolazione. Tutte le indagini si concentrano sulla rilevazione dei movimenti del suolo, che la rete di sensori gps - ce ne sono più di 200 piantati nel suolo italiano - misura con una sensibilità inferiore al millimetro per anno. Dati che non sono predittivi, «perché un sisma è l’ultimo atto di un evento caotico non riproducibile in laboratorio», prosegue Salvi. Ma servono a stimare la quantità massima di energia che potrebbe essere liberata da un terremoto e ad aggiornare ogni tre anni la mappa del pericolo sismico del Paese, che è la base su cui si progetta la costruzione dei nuovi edifici, non l’adeguamento dei vecchi. A esplorare l’assetto geologico più profondo, invece, sono per lo più le compagnie petrolifere. Ma le ricerche, in questo caso, si concentrano sulle aree di loro interesse, che quasi mai sono quelle a più alto rischio sismico. Ecco perché anche i loro dati, una volta messi a disposizione, non sono sufficienti a prevedere quando arriverà il terremoto.