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 2016  agosto 28 Domenica calendario

LIBRO IN GOCCE NUMERO 105 (Lettere di prigionieri di guerra italiani, 1914-1918) Vedi Biblioteca in scheda: manca Vedi Database in scheda: manca SCRIVERE, UN CONFORTO IN PRIGIONE – Attacco

LIBRO IN GOCCE NUMERO 105 (Lettere di prigionieri di guerra italiani, 1914-1918) Vedi Biblioteca in scheda: manca Vedi Database in scheda: manca SCRIVERE, UN CONFORTO IN PRIGIONE – Attacco. Le lettere dei prigionieri cominciano quasi immancabilmente con la formula: «Vengo con queste due righe onde farti sapere l’ottimo stato della mia salute». Chiusa. La chiusa, quasi sempre contiene la formula poetica «vi lascio colla penna ma non col cuore» che ritorna in tutte le variazioni possibili e più o meno assure: tralascio da scrivere colla penna ma non col cuore, vi lascio col scrito, ma non col cuore, vi lasio colle lagrime agli occhi. La posa del pianto è molto frequente. Saluti. I saluti, che nel Mezzogiorno patriarcale si mandano ai genitori chiedendo la benedizione e baciando loro la mano, ma anche il piede (destro); alla sposa, all’amata e ai parenti più prossimi con baci e abbracci; negli altri casi solo con saluti. Spazio. Cerimonie e complimenti, nelle lettere dei meridionali, occupano la metà o addirittura due terzi della lettera. Scuse. Alla fine delle lettere, quasi sempre qualche scusa per il fastidio inflitto al destinatario con la cattiva scrittura: Scusa il mio male scritto perché devo scrivere a salti di volpe (lettera della moglie a un soldato austriaco al fronte); Scusi del mal scritto che ho freddo (lettera da Mauthausen); mi trema la mano sono ubbriaco dalla fame; eccetera. Ricordo. «La guerra ha creato per tutti gli uomini una situazione veramente lirica: dalla pace e dalla felicità l’umanità è precipitata nel disordine e nel pericolo, ma l’ultima parola della guerra non è la guerra, e i tempi della pace e della felicità finiranno per ritornare. Per il momento la terra è visitata da un duro flagello, da un castigo divino; per il momento la terra è una dolorosa valle di lacrime, ma all’inizio e al termine di questa valle ci sono i campi ubertosi della felicità e della contentezza. La guerra ha insegnato ai cuori umani a vivere con raddoppiata intensità due motivi fondamentali della lirica: il ricordo e la nostalgia. Ogni lettera di guerra contiene perciò uno sguardo retrospettivo al passato e uno sguardo in avanti verso il futuro». Padre. «Caro padre a mi non mi occorri niente perche non ai una idea de tanto lontano che sono via de casa se fossi più vicino allora si caro pardre mi ti scrivero sempre se posso ma non avvilirti se non ti scrivo perche non o tempo qualche volta oppure non o coraggio» (lettera da Bratainisa a Perteole, presso Cervignano). Mamma. I prigionieri, che esortavano i fratelli o i figli rimasti a casa a trattare la madre col dovuto rispetto: ti raccomando difare giudizio di non fare sempre barufa con tua mamma perche mamma se una solo quando manca quello manca tutto (lettera da Trieste). Genitori. Le lettere ai genitori, così spesso simili alle lettere d’amore: Babo dello mio cuore Benche io non ti posso ofererite il mio lappro su la tua carra bocca che mi bacciava tanto maio tio agurio Babo mio una buona salutte ed una benvenuta e di finire presto cheusta benedetta guerra (lettera da Tunisi a Mauthasen). Rassicurazioni. Le locuzioni tipiche di cui si servivano gli italiani per rassicurare e consolare i parenti: non farti pensieri, non avvilirti (vedi, nelle lettere francesi, ne vous faites pas de mauvais sang, o ne vous en faites pas ), datti coraggio, sii allegro e tranquillo, eccetera. Dialetti. «Dialetti psicologici […] in tutta questa corrispondenza di prigionieri non ce n’è: tutte le nazioni e parti di nazioni parlano la stessa lingua in diverse lingue (o dialetti), la lingua della fame e della nostalgia, l’amore della pace e del paese» (Leo Spitzer a Hugo Schuchardt). Giorgio Dell’Arti, Domenicale – Il Sole 24 Ore 28/8/2016