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 2016  agosto 26 Venerdì calendario

REGOLE & CARTOON LA MIA RICETTA PER SALVARE ATAC– [Marco Rettighieri] ROMA. L’ingegner Marco Rettighieri ha grande fiducia in se stesso, nell’«etica nei trasporti» e nella forza persuasiva dei cartoni animati

REGOLE & CARTOON LA MIA RICETTA PER SALVARE ATAC– [Marco Rettighieri] ROMA. L’ingegner Marco Rettighieri ha grande fiducia in se stesso, nell’«etica nei trasporti» e nella forza persuasiva dei cartoni animati. Appena si è trovato alla guida dell’Atac, il carrozzone più malandato e indagato di Roma se non d’Italia, questo professore esperto di ferrovie e con 18 anni di esperienza nei Paesi arabi ha chiamato a raccolta quadri e dirigenti, alcuni dei quali assai riluttanti, e li ha messi a vedere il film d’animazione A Bug’s Life nel momento in cui le laboriose formichine si bloccano per un imprevisto, per rimettersi in marcia solo dopo l’intervento di un insetto manager. Ma il colpo di grazia all’incredulo pubblico in sala lo ha dato la scena di Invictus dove Nelson Mandela fa il suo ingresso nel palazzo presidenziale e invita gli impiegati a rimanere, anche quelli che stanno già facendo gli scatoloni, purché si lavori per il bene comune «altrimenti quella è la porta». Per quanto un tantino retorica, la parabola sul gioco di squadra non poteva essere più chiara, visto lo stato terminale in cui versa l’Atac, dopo decenni di malversazioni, tra scioperi e guasti al limite del sabotaggio, aggressioni agli autisti, consulenze senza capo né coda, la Parentopoli di Gianni Alemanno e, naturalmente, una montagna di debiti che schiaccia e paralizza il servizio pubblico. Rettighieri, nominato direttore generale il 2 febbraio (dopo l’arresto del suo predecessore), in questi mesi ha fatto aprire quattro inchieste, per poi affrontare una temibile estate di guasti, autobus in fiamme e corse tagliate per mancanza di pezzi di ricambio. E soprattutto segnata dalla schermaglia con la giunta di Virginia Raggi su 18 milioni – già stanziati ma congelati durante la campagna elettorale – attesi come l’acqua nel deserto per consentire alle officine di fare le riparazioni. Per non dire del piccolo ma simbolico caso della dipendente sospesa dopo essersi messa in tasca cinquemila euro di ticket e subito soccorsa dai sindacati, pronti allo sciopero. Jeans e maniche di camicia, Rettighieri accoglie gli ospiti nel suo ufficio sulla Prenestina, della cui monumentalità sembra il primo a stupirsi: «Fantasmagorico, lo so. In Italferr avevo una stanza quattro per quattro e non è che non contassi proprio niente». Ci levi una curiosità: cosa è successo in sala dopo la scena di Invictus? «Tutti ammutoliti. Toccava a me parlare. Ho preso il microfono per spiegare le nuove linee guida di Atac. Pochi giorni prima avevo tenuto una lezione a Venezia sul Project management in condizioni perturbate... Perturbate dalle inchieste, per esempio. Al ritorno, in treno, ho pensato: facciamo una convention a Roma, diamo un segnale forte. Così è arrivata questa giornata. L’etica nei trasporti...». Lei ha più volte dichiarato che la situazione dell’azienda è molto grave. Ma non dica che non lo sapeva. «Però mi aspettavo che la complessità della macchina fosse di natura industriale, che dipendesse da scelte strategiche sbagliate, non da decenni di commistioni politico-sindacali». Il primo caso di «commistioni» nel quale si è imbattuto? «Quindici giorni dopo il mio arrivo. Era sera; inizio a leggere una statistica sulle sostituzioni delle gomme degli autobus e subito mi balza all’occhio un’incongruenza troppo grande: un anno Atac sostituisce novemila pneumatici, l’anno dopo solo mille. “Porca miseria” penso». E dopo? «Sono andato dal magistrato altre cinque o sei volte. Finora. Resto in ufficio a leggere fino alle 22, alle 23. Apro i cassetti, ecco. La cosa più difficile è districarsi nel disordine, perché un conto è il caos della camera di mio figlio che fa arrabbiare mia moglie, un altro è la confusione organizzata, scientifica, costruita per non fare capire». Esempio. «Atac aveva trenta o quaranta avvocati esterni: perché non fare lavorare i venti interni? Mistero. Lo stesso vale per la manutenzione, era tutta affidata fuori. Ora ci pensano le nostre officine». Tasso di gradimento nei suoi riguardi? «Molti mi ringraziano, mi fermano: “Rettighieri resista, non se ne vada”». Davvero ha pensato di andarsene? «Più di una volta. Ma sono fiducioso per natura». Lei è in una posizione troppo difficile per essere così amato come dice. «Ho ricevuto alcune rimostranze scritte. Da parte di persone che sono state spostate o hanno perso incarichi. C’erano nove direzioni. Nove! Ora abbiamo solo una linea giuridico-economica e una linea operativa. La catena di comando è diventata cortissima, un ordine che esce da qui deve trovare subito risposta. Ah, ho rimandato i dirigenti in strada: una volta alla settimana fanno i verificatori». Hanno accettato di buon grado? «Uno può anche fare il suo lavoro infischiandosene. Ma al rientro devono scrivere una relazione, che finisce sulla rete intranet. Noto ritorni positivi». È vero che anche lei va a zonzo per Roma tutto solo, per testare i mezzi? Non le sembra eccessivo? «Invece mi aiuta a capire. Esco da qui senza preavviso, nessuno sa dove sto andando. L’altro giorno, piazzale Flaminio, linea A della metropolitana. Ho fatto il viaggio con il macchinista. Poi ho riportato la mia esperienza al centro manutenzione. Spesso faccio andata e ritorno sulla Roma-Lido...». Un disastro entrato nella leggenda. «A febbraio questa linea era servita solo da quattro treni. Con fatica ne abbiamo aggiunti otto. Purtroppo ora siamo di nuovo a cinque». Ma come. «Sono mezzi progettati per viaggiare nelle gallerie, al chiuso, non per arrivare al mare esposti al sole e alle intemperie. Alcuni non hanno l’aria condizionata, e sono vecchi, soggetti a guasti continui. Impossibile utilizzarli in estate. Abbiamo dovuto levarli. Anche i bus hanno in media undici anni. C’è persino un tram che risale al 1927, carinissimo eh, me lo ricordo da quando ero bambino...». Torniamo ai suoi test. «Sulla Roma-Lido. Una signora settantenne apostrofa un ragazzo che tiene i piedi sul sedile. Lui sta per reagire, ma i passeggeri si alzano e gli fanno capire che è meglio di no, finché non se ne va». Morale? «È il segno di un riacquisito senso civico». Considerando che il 25 per cento dei passeggeri non paga il biglietto e che lo sport più amato è svellere le macchinette obliteratrici? «A Roma non siamo più abituati a rispettare le regole. La prossima campagna di comunicazione manderà questo messaggio: non vandalizzare, non sporcare, cedere il posto a chi è in difficoltà». Vi costerà. «Tutto lavoro interno. Niente manifesti. Solo immagini sui monitor dei mezzi». Giuri che lo slogan non sarà Lavoriamo con trasporto, come recita la scritta all’ingresso del palazzo Atac. «Mamma mia, la faremo sparire il prima possibile». Riuscirà a fare pagare il biglietto? «C’è un solo modo: la card prepagata, come a Londra. Ci arriveremo presto». Come sono oggi i suoi rapporti con i sindacati? «Con alcuni va meglio, con altri meno bene. Se ci saranno scioperi, ognuno si assumerà le proprie responsabilità». E la nuova sindaca? Sempre tensioni? «Senta, ho fatto l’ingegnere in Arabia Saudita, in Qatar, in Egitto, India, Turchia, negli Emirati... Diciamo che ho imparato a trovare il punto di equilibrio». Claudia Arletti