Francesco Battistini, Sette 26/8/2016, 26 agosto 2016
«LA DEBOLEZZA DI CRAXI? UNA VISIONE OTTOCENTESCA DEI FINANZIAMENTI»
«La fourmi ayant chanté tout l’été...». Rino Formica conserva tutto, negli archivi ingialliti nel suo studio. Una lettera di Nenni, un messaggio di Spinelli, vecchi titoli di giornale costruiti su giochi di parole senza troppa fantasia. «Formica la cicala del Psi». «Il Formica regina». «Un lavoro da Formica». Che facesse il cassiere del partito o il ministro delle Finanze, la fourmi socialista veniva sempre caricaturata come l’insetto scialacquone della fiaba di La Fontaine: camicia hawaiana, ukulele sottobraccio a godersi l’estate e a cicalare, fregandosene di fare scorte per l’inverno. «Sì, facevano molta ironia. Ma se c’era uno per il rigore, quello ero io. E se si trattava di trovare soldi, l’unico strumento che usavo era la fantasia…».
Altro che la finanza creativa di Tremonti: la prima cosa che gli chiede Craxi, quando lo nomina segretario amministrativo del Psi, è d’inventarsi un modo per sistemare i conti. Le casse di via del Corso languono e la direzione non riesce nemmeno ad approvare il bilancio: «Il convento è povero», ama ripetere Formica, «ma i frati sono ricchi…». C’è il finanziamento pubblico dei partiti, però tanti mariuoli fan da sé: le aziende pasturano la Dc, l’oro delle cooperative garantisce il Pci, i socialisti s’arrangiano. «Dobbiamo abolire l’idea che i partiti non possano avere attività economiche», predica Bettino. E dunque bisogna risanare, ramazzare, reinvestire. E viaggiare: Formica visita gli eurosocialisti spagnoli e portoghesi, va a studiare «tutta la capacità della socialdemocrazia svedese e tedesca d’elaborare un compromesso col capitalismo». Finché un giorno ritorna dalla Germania con un’idea meravigliosa: «Rifaremo qui le Officine Rosse 1892!». Queste Officine sarebbero poi le case del popolo. E a possederle è la potente Spd tedesca, che così s’autofinanzia. Un gruppo d’architetti romani, in testa Bruno Zevi, è incaricato di lavorare al progetto: trasformare ogni sezione del Psi in un’officina di proprietà di tutti, sostenuta dall’azionariato popolare. Rino ne parla a Bettino e Bettino non dice no. Ma nemmeno sì: «Alla fine non se ne fece nulla. Ci furono resistenze troppo forti. I notabili della periferia non ne volevano assolutamente sapere, perché tanti pagavano il fitto del locale e la sede era di loro proprietà. Forse arrivammo troppo presto, perché certe fonti di reddito allora erano difficili da accettare…». Quali fonti? «Beh», Formica s’allarga in un sorriso, «le Officine Rosse non dovevano essere semplici sezioni. Dentro doveva starci di tutto: il bar, il ristorante, il dopolavoro». E pur di far cassa, perché no, una sala giochi e una ricevitoria per le scommesse: «Avevamo previsto anche un club privé per gli strip-tease...».
Nudi alla meta. E alla fine si rimase in mutande. Fra partiti corrotti, in una nazione infetta. Cosa resterà di questi anni 80 craxiani, «anni allegri e depressi di follia e lucidità», non c’è bisogno d’essere Raf o cicala o formichina per cantarlo. «Lo Stato è mezzo gruviera e mezzo gorgonzola», avverte il profetico Rino in un’intervista, vedendo i buchi di bilancio e sentendo già puzza di fallimento: «Stiamo attenti, o i nostri figli ci malediranno!». Purtroppo, è già tardi. Il quindicennio di Bettino coincide col primo presidente del Consiglio socialista della storia italiana e col massimo storico del Psi: quasi il 15%. Ma è pure la palude del Pentapartito e dell’etere regalato a Berlusconi. È il nuovo Concordato che abolisce la religione di Stato e, insieme, la guerra di religione per le banche. Il Patto della staffetta con De Mita e lo scontro aperto con l’Iri di Prodi. Il taglio di tre punti della scala mobile e la picconata di Cossiga al Caf di Craxi-Andreotti-Forlani. È l’inflazione dimezzata, assieme a un debito pubblico raddoppiato. Ed è sui soldi, sui maledetti soldi che il Psi e il Paese vanno a schiantarsi: qualcosa vorrà dire, se l’era Bettino s’apre con un partito senza una lira e si chiude con la folla che tira le monetine all’hotel Raphael. «Craxi ha saputo guardare lontano», dice Formica: andate sul web a cercare la lucida previsione del disastro euro e degli errori di Maastricht. «Ma la sua debolezza è stata d’avere avuto una visione ottocentesca del finanziamento. Per lui, la cassa era come quella di Garibaldi: una cassa comune. Che doveva provvedere a risolvere i problemi immediati. La tecnica comunista di gestire i fondi, per dire, era molto più moderna. Loro dividevano tutto in compartimenti stagni…».
Sali&tabacchi. Dei soldi, da tesoriere e da ministro, s’occupa soprattutto lui. «Un giorno do un’intervista a Pansa e viene giù il mondo. Eppure faccio solo una domanda: perché la Dc non taglia le spese? Vedo che c’è chiaramente un progetto da dottor Stranamore: far incancrenire la situazione italiana, perché poi ci possa essere imposto un vincolo dall’Europa. E di questo progetto, la Dc è un motore. Del resto, qual è la differenza tra conservatori e riformisti? I conservatori pongono problemi marci, perché hanno una sola soluzione: il ritorno al passato. I riformisti pongono problemi maturi, perché porgono la soluzione del domani. Far marcire i problemi è una tecnica anche dei rivoluzionari: Lenin predicava il tanto peggio tanto meglio e diceva che l’inflazione è la mitraglia della rivoluzione. Basta distruggere salari, pensioni, redditi e la rivoluzione (o la conservazione) è fatta».
Appena mettono Formica alle Finanze - uno come lui che vuole la tassazione di Bot, Cct e utili di Borsa -, la sola notizia provoca un mezzo crollo in Piazza Affari. «Non potevo avere peggior successore», commenta acido il ministro uscente Franco Reviglio («ma lui veniva da un alto mondo, era un torinese che per caso stava coi socialisti...»). L’immaginifico Rino ha idee che deflagrano e «non fa mai autogol per eccesso di vanità o d’esibizionismo», ne scrive invaghito Giampiero Mughini: rende pubbliche le dichiarazioni dei redditi degli italiani; mette il sale sulla coda alle multinazionali dei tabacchi che danno «consenso attivo al contrabbando, la Philip Morris deve smetterla di pensare che questo sia il Paese degli allocchi»; va in tv da Minoli a proporre d’assumere nella pubblica amministrazione 20mila contrabbandieri di sigarette; chiede la testa d’un suo sottosegretario Psdi al Lavoro, Costi, perché «è un fannullone». E quando impone ai negozianti lo scontrino fiscale, l’occhettiano Vincenzo Visco applaude: bravo Rino, hai fatto perdere alla Dc almeno un milione di voti… «Mi prendevano in giro. Ma io facevo provvedimenti sociali. Uno dei primi fu l’abbattimento dell’imposta di registro della prima casa per i giovani sposi. Permettendo a milioni di persone di comprarsi un tetto». Prima di Berlusconi e Renzi… «Ecco, la cosa più odiosa è che ci troviamo con questa classe dirigente così sprovveduta, che dice sempre una bestialità: “Abbiamo fatto per la prima volta!...”. Ora, un governante che dice “abbiamo fatto per la prima volta”, è solo un ignorante. Tutto quel che si può fare ora è perché, una prima volta, quella prima volta c’è già stata…».
Quanto piace a Formica sbalordire il borghese, litigare con l’avversario, imbarazzare l’alleato: l’Opus Dei è uguale alla P2; dietro la strage di Bologna «esistono complicità dello Stato col terrorismo»; Ustica è «un mistero che non mi risulta avvenuto nei cieli d’Alaska»… Utilizza la Guardia di finanza come una guarnigione che regoli conti anche politici, la manda dai repubblicani e minaccia di farlo pure coi comunisti: «Le Feste dell’Unità erano in esenzione Iva, protette dalla legge. Ma io sollevai una questione: il Pci dava ai privati box che non erano della Festa dell’Unità. Una specie d’evasione mascherata da concessione. Un giorno, i comunisti m’invitano in Emilia a una di quelle feste e mi fischiano. Io allora lo dico chiaro: state tranquilli, il ministro socialista delle Finanze non vi manderà ispezioni fiscali, sperando che nella denuncia dei redditi vi siate comportati più onestamente che qui…».
Sinistra ferroviaria. Sono anni senza sconti. Beppe Grillo che viene cacciato dalla Rai per una battuta sul viaggio di Craxi a Pechino («se in Cina son tutti socialisti, a chi rubano?»). I tipografi del Giornale di Montanelli che ritoccano le cronache su Bettino, fingendo che sia un refuso la parola “leader” milanesizzata in “lader”. Il portaborse Rocco Trane che viene arrestato per concussione e una settimana dopo, paragonato nientemeno che a Giacomo Matteotti, riceve 50mila preferenze… Non sono più gli anni epici d’Oddino Morgari, il deputato socialista che di Matteotti era contemporaneo, così povero da dormire nelle stazioni come un clochard: al ministero dei Trasporti c’è una corrente di Signorile e, se tutti la chiamano “la sinistra ferroviaria”, non è perché sverna sui vagoni... Anche il Formica nel suo piccolo s’incazza, ma in pubblico di rado: scusi, gli chiederanno un giorno, ma lei dov’era? «Quando illustravo da capogruppo le mie posizioni politiche, rispettose ma differenziate, Craxi mi faceva attaccare dall’Avanti!...». «Non sono un prete medievale», risponde a chi gl’indica la passione esagerata di De Michelis per le discoteche, o le amanti socialiste piazzate in tv, o un potere che celebra i congressi sotto i templi di cartapesta dell’architetto Panseca, insomma un’evidente degenerazione anche estetica… «Nelle comunità politiche ci dev’essere sempre il giusto equilibrio tra interessi e ideali», corregge oggi Formica, «e un’organizzazione che sia puro ideale non esiste: deve avere una sua base materiale, ci vuole una trama d’interessi. Solo interessi, però, alla fine distruggono le ragioni ideali». Quando ci si accorge che il disastro non è più recuperabile? «Il fenomeno riguarda la trasformazione delle correnti, che erano state il risvolto buono d’aggregazioni ideali: con gli anni 80, man mano che s’andava indurendo lo scontro politico, le correnti diventarono semplicemente dei coaguli d’interessi d’altro tipo». Quando Rino lascia la segreteria amministrativa del Psi, Bettino lo sostituisce prima col fidato Giorgio Gangi, «ma ci fu una storiaccia interna e allora Craxi, che sapeva trattarsi d’un meccanismo molto delicato, decise d’affidarsi a Vincenzo Balzamo»: l’uomo che passerà alla storia come il cassiere socialista di Tangentopoli.
Dal frigo al wc. 1) «Vendicarsi poco, perdonare molto, dimenticare mai». 2) «Non fidarsi di Andreotti». 3) «Ricordarsi che la società civile non esiste». Ci sono poche regole che aiutano Formica a sopravvivere nel Psi, nel Caf, nell’onda montante della protesta. E gli permettono di non finire sepolto all’ombra di mille garofani rossi. Perché i nani menano, le ballerine sgambettano e anche gli altri non scherzano. Quando lo nominano ai Trasporti, il commento cattivo è d’un vecchio partigiano socialista: «Formica è l’uomo giusto», sibila il compagno Cipellini, «in fondo lì non serve mica un intellettuale…». Non è facile nemmeno essere nella testa del Capo: c’è da votare al referendum sulla scala mobile? Craxi consiglia agli italiani d’andare al mare. C’è l’ipotesi d’un voto anticipato a dicembre? Craxi stronca: «Il Natale si fa in famiglia». Formica va a una tavola rotonda con Alfredo Reichlin e viene molto applaudito? Craxi lo gela: «Non dar troppo peso ai dibattiti della domenica». Craxi gli prospetta una nomina a ministro e poi punta su altri nomi, Vassalli, Lagorio, tutti meno Formica? Per sbollire la rabbia, Rino deve prendere un aereo e sparire per un po’ a Vancouver... L’eterna spina nel fianco, però, si chiama Claudio Martelli. Il vicepremier della prima legge sull’immigrazione. Il ministro della Giustizia amico di Falcone. Il più bello, il più giovane, il più coccolato. L’unico, si dice, ad avere il permesso d’andare dal Capo senza suonare il campanello: «Lo disse Anna, la moglie di Craxi: “Martelli viene a casa nostra e apre il frigo…”. Martelli era sicuramente molto attento, anche dal punto di vista formale. E sa, io diffido sempre di chi è molto rispettoso formalmente: dentro, copre qualcosa…». Formica si trova a sorpresa il giovane Claudio vicesegretario vicario e sbotta: che brutta parola, vicario, per uno che si dice laico… «C’era l’unanimità sul mio nome. Ma all’ultimo, Craxi fece una scelta diversa: non un vicesegretario, ma due. Martelli e Valdo Spini, due cavallini che dovevano tirare: era la forma per metterli in competizione e intanto mortificare Signorile. Poi Spini se ne andò e Martelli rimase l’unico vice. Contro di me ci furono molte pressioni dei socialisti milanesi, che ogni tanto avvertivano Bettino: stai attento, Roma è un nido di vespe, complottano… Un’idea un po’ protoleghista. Invece la regola è sempre una: sotto il capo, metti uno della vecchia guardia che non ti faccia le scarpe. Se metti uno più giovane di te, te le fa di sicuro». Martelli sarà il nostro Cadorna, profetizza gelido Formica. E quando arriva la Caporetto del Psi – 17 febbraio 1992, le mazzette di Mario Chiesa buttate nel wc –, il figliol prediletto è fra i primi a brandire il pugnale del cesaricida. «Il suo non fu un tradimento politico», racconterà Filippo Facci, «Martelli non disse a Craxi: “Io succedo a te perché sei vecchio”. Gli disse: “Io succedo a te perché sei un ladro”. Martelli diede a Craxi un dolore che non si rimarginò mai».
La manina amerikana. Ci fu una manina o una manona, dietro Mani Pulite? I vecchi socialisti ne sono tutti sicuri, Formica di più: «Tangentopoli è stato un effetto, non la causa. I detonatori furono il caso Moro, Sigonella, la nostra posizione d’autonomia internazionale. Era il gioco della Guerra fredda. La politica di Craxi non era contro la Nato, ma su come si stava nella Nato: disse che, per l’articolo 11 della Costituzione, noi potevamo cedere sovranità solo in condizioni di reciprocità, cioè d’uguaglianza. Questa cosa, ce la fecero pagare…». Con l’Achille Lauro e la crisi di Sigonella, s’era sfiorata la rottura con gli Usa. E poi c’erano state le accuse ai nostri servizi subalterni agli americani… «Uno degli strumenti di pressione era il CoCom: un comitato, a Parigi, che controllava il commercio di prodotti sensibili nei Paesi non dell’Alleanza. Un’arma segreta della Guerra fredda: l’America vietava di trasferire prodotti della ricerca occidentale in Paesi extra Nato che avrebbero potuto utilizzarli. Un principio che sta nella logica d’una guerra, ma che per gli Usa si traduceva nella tentazione di bloccare l’espansione dell’industria informatica europea nell’enorme mercato che s’apriva all’Est. Fu il caso dell’Olivetti: gli americani misero il veto a una serie d’esportazioni italiane nell’Urss. Lo facevano in nome della tutela dell’Occidente? O facevano gli interessi della ricerca informatica negli Usa? Microsoft e Apple oggi sarebbero quel che sono, se non ci fosse stato quel boicottaggio della concorrenza europea?».
Bene: ma che ci azzecca tutto questo con Di Pietro, il conto Protezione, Larini, lei che prometteva un poker d’assi contro i giudici?... «La fine del socialismo reale portò a rivedere il compromesso tra capitalismo democratico e socialdemocrazia. E Mani Pulite nacque dagli eventi del 1989». Quando tutto è perduto, e Bettino se ne va in Tunisia, Formica non lo rivedrà mai più: «Io ho sempre mantenuto un atteggiamento, com’era giusto e doveroso, di difesa. Ma non andai a Hammamet perché nel ’93 ebbi un dissenso: ritenevo che nessuno di noi dovesse lasciare l’Italia, indipendentemente da ciò che doveva affrontare». Craxi fece un celebre discorso alla Camera, sulle colpe di un’intera classe politica nel finanziamento dei partiti… «Ma poi doveva rimanere qua. Perché questo non solo era un errore personale: era un danno alla comunità. E un errore strategico: tra le verità coperte e le fantasie scoperte degli anni 90, si sarebbe capito che poi alla fine era un grande bluff».
Venticinque anni dopo: il Formica parlante ridirebbe tutto? «Col senno di poi, alcune mie forme espressive potevano essere diverse. Ma non la sostanza. Perché ci son cose in cui il silenzio è stato anche più dannoso. Qui s’innesta un’altra difficoltà che c’è nella politica: riconoscere l’errore. Una cosa è se riconosci un errore in famiglia: non paghi prezzo, vieni perdonato. Ma in politica, no: l’errore non è indolore».
La fine del Psi fu anche un nuovo inizio. Un altro indirizzo. Una corte dei miracolati. Racconterà Ezio Cartotto, vecchio dc che partecipò alla nascita di Forza Italia, come una notte di pioggia Craxi si presentò ad Arcore e propose di fondare il partito di plastica… «No, Forza Italia non nasce da una costola del Psi: fu solo un’intuizione mercantile. Berlusconi non sapeva un cazzo di politica: una volta disse che lui lavorava 16 ore al giorno e io gli feci notare che questo va bene in azienda, ma la politica non si fa a cottimo… Lui voleva leader come Segni o Martinazzoli: se fai il partito, disse a Segni, io sono a disposizione. Forza Italia nasce come zattera di Publitalia per i profughi del Pentapartito, per disperazione, per la rinuncia della Dc di rivivere come Dc anche nella Seconda Repubblica». Molti socialisti ci sono saliti, su quella zattera. E ancora oggi ci navigano bene… «La fine della Guerra fredda ha portato il ricambio delle classi dirigenti. Con una differenza: noi nel dopoguerra fummo costretti dagli eventi a diventare subito adulti, questi invece sono rimasti tutti fanciulli adulti. A noi è mancata la giovinezza, a loro manca l’età adulta».
3 - fine