Andrea Gaiardoni, il venerdì 26/8/2016, 26 agosto 2016
IL GAMBERO «ALIENO» NON RETROCEDE: IN ITALIA AVANZA
È una vicenda che incrocia cronaca e ambiente. La prima per gli allarmi lanciati da molti quotidiani locali; l’altra perché le origini del fenomeno sono un piccolo mistero ambientale. Il protagonista? Quello che, non senza un pizzico di ironia, la stampa ha ribattezzato «il gambero killer della Louisiana», o anche «l’alieno», che ha invaso laghi, fiumi e canali in ogni angolo d’Italia. Straordinari per capacità riproduttive, micidiali per aggressività e voracità: attaccano in branco e dopo il loro passaggio resta poco: uova di pesci, rane, insetti, perfino alghe e piante acquatiche. Ed è un problema. Perché non solo distrugge le specie esistenti, ad esempio il gambero nostrano, ma scava profonde gallerie negli argini per resistere all’inverno, indebolendo una rete già di per sé fragile. Il Procambarus clarkii ha anche la capacità di trascorrere ore fuori dall’acqua.
C’è chi giura di averli visti sfidare cani e assalire pollai. L’ultimo allarme arriva da Mestre: gli abitanti di via Forte Gazzera, quartiere vicino a campi e fossati, si sentono minacciati: «Non possiamo stenderci sull’erba» raccontano, «rischiamo di essere attaccati».
«L’aggressione all’uomo mi sembra poco verosimile» tranquillizza Piero Genovesi, ricercatore dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). «E se anche fosse, si tratta di animaletti lunghi al massimo venti centimetri, male che vada pizzicano».
Questa specie sarebbe anche buona, nel senso di commestibile. Il suo arrivo in Italia risale agli anni 80, quando un’azienda toscana creò allevamenti destinati al commercio. Ma, per cause ancora da scoprire, il gambero ha progressivamente invaso i tratti d’acqua dolce sfuggendo al controllo: prima nel Nord, dal Piemonte al Friuli; poi verso Sud, arrivando in Puglia e in Sicilia. E sono presenti soprattutto nei bacini dei grandi fiumi, dal Po all’Arno, al Tevere. Veloci e resistenti di notte possono percorrere fino a tre chilometri (a terra); depongono 500 uova l’anno e resistono anche ad agenti inquinanti come nichel, piombo e zinco. Non solo: il Procambarus clarkii è stato inserito nell’elenco delle 37 specie invasive, diffuso nel 2014 dalla Comunità Europea, che ne vieta l’allevamento.
«Ma in realtà c’è poco da fare» ammette Piero Genovesi, «debellarli è impossibile. Si può lavorare sulla prevenzione, con pescatori e diportisti, per evitare almeno il passaggio accidentale, nella fase larvale, da un bacino all’altro».