Stefano Mannucci, il Fatto Quotidiano 26/8/2016, 26 agosto 2016
“CANTO PER L’ITALIA, TOCCA A NOI CAMBIARLA”
Lo diresti un novizio capitato fuori tempo massimo ai convivi bolognesi di Dalla, Guccini e tutta la nobile compagnia che si riuniva a far bisboccia e a inventar musica all’Osteria da Vito. “Sono figlio di quel mondo lì, il cantautorato degli anni in cui la parola doveva significar qualcosa, dentro lo spartito. Ma appartengo a questa mia epoca, ho 31 anni e non disdegno i suoni elettronici. E sono pronto ad accendere la miccia di una rivoluzione poetica: voglio dare la sveglia a una generazione che si illude che qualcuno le costruirà addosso un futuro luminoso, mentre il tempo da vivere è questo, senza remissività né deleghe in bianco”.
Eccolo, Paolo Simoni: talento inquieto sotto la maschera sorniona dell’intellettuale pop, deciso a candidarsi come portavoce dei giovani alle prese con una strategia resistenziale dell’anima, e destinato a caricarsi sulle spalle la responsabilità di una nouvelle vague autoriale di spessore. Il suo quarto disco “Noi siamo la scelta” è un concept nel quale, spiega, “cerco di captare il battito nascosto di questo Paese ad uso dei trentenni, offrendone un ritratto in chiave sociologica, politica, sentimentale”. Impresa mica da ridere: ma il brano-manifesto “Io non mi privo” ha conquistato radio e piazze, e a ogni tappa del tour c’è sempre qualche coetaneo in più a dimostrargli che il seme attecchisce, eccome. “Canto per convincere gli altri che dall’Italia non devi andartene: combatti dove hai le radici. Anch’io ho pensato di emigrare, ma quando vedo che questa politica di premier neodemocristiani e di seminatori d’odio blandisce noi giovani senza offrirci progetti concreti, senza investire su cultura o lavoro, beh, dico che dobbiamo cavarcela da soli, qui e ora”.
Ma prima del pubblico ad averlo adottato sono stati proprio i suoi padri putativi. Quando Simoni canta, l’eco dalliana arriva forte e chiara: non è un caso che Lucio volle duettare con lui su “Io sono io e tu sei tu”: “L’ultima volta che lo sentii mi disse: ‘Vado a fare dei concerti in Svizzera e al mio ritorno ci vediamo’. E invece…”. Ma l’incontro decisivo, per il giovane emiliano svezzato tra le nebbie di Comacchio e approdato nella Bologna Felix, è stato sotto i portici della Correggio di Ligabue: “Il suo manager Claudio Maioli ascoltò un mio provino e mi convocò: ‘Simoni, mi piace come canti, vediamo se te la cavi dal vivo’. Io risposi: ‘Ok, organizzo uno show in qualche locale’. E Maioli: ‘Ma quale locale, tra 15 giorni aprirai i concerti di Luciano all’Olimpico e a San Siro’. Non avevo neppure una band. Claudio scrollò le spalle: ‘Arrangiati, se vuoi fare questo mestiere!’. Compresi che fare il cantautore è un lavoro serio, non la posa di uno che si aggrappa al clichè dell’alternativo cui tutto è dovuto”. Era il 2010, un doppio debutto negli stadi da far tremare i polsi, però Maioli è ancora lì a produrre gli album di Paolo.
Che ogni volta che si accosta a un mito è destinato a saltare nel cerchio di fuoco: “Mesi fa al Palalottomatica ero l’opening dello show di De Gregori. Fui scaraventato sul palco nell’ora in cui la gente si aspettava solo Francesco. Lui mi fissò con quel suo sguardo smagato: ‘Hai voluto la bicicletta? Ora pedala…’”. La strada non era in discesa, ma il viaggio valeva la pena.
Stefano Mannucci, il Fatto Quotidiano 26/8/2016