25 agosto 2016
APPUNTI PER GAZZETTA - DOPO IL TERREMOTO
DAI GIORNALI DI STAMATTINA
CONSIGLIO DEI MINISTRI RENZI
SERGIO RIZZO
Le comunicazioni sono difficili. Le strade interrotte. L’area del cratere si estende in tre regioni diverse e i territori dei Comuni colpiti sono disseminati di frazioni complicate da raggiungere. La macchina dei soccorsi però funziona. Le ruspe lavorano a pieno ritmo. Le donne e gli uomini della Protezione civile e dei vigili del fuoco scavano senza sosta. La loro abnegazione,e quella dei volontari,rasenta il sacrificio. Ma in un Paese dove negli ultimi quarant’anni si sono verificati almeno otto terremoti devastanti, al ritmo di uno ogni cinque anni, è l’unica lezione che abbiamo davvero imparato: salvare vite umane, dopo. Quanto alle altre lezioni, siamo ancora molto indietro. Con scarse eccezioni le ricostruzioni sono state lente, tardive e costosissime.
per non parlare degli sprechi e delle dissipazioni clientelari di denaro pubblico.
La ricostruzione dell’Irpinia è costata l’equivalente attuale di 70 miliardi di euro, con l’area del cratere allargata fino a raggiungere Comuni dove il sisma non aveva fatto cadere un soprammobile, e una faraonica iniziativa di industrializzazione forzata di cui restano soltanto macerie e una bella fetta di debito pubblico. La commissione parlamentare d’inchiesta ha accertato le gravi responsabilità dei politici in un meccanismo che fu fonte di ruberie e malversazioni, completando lo scenario già emerso da molte indagini giudiziarie.
Nemmeno L’Aquila è stata risparmiata dal virus. Basterebbe ricordare i costi e la follia, tutta giustificata dalla politica, dell’operazione Case. E se oggi nel centro storico la ricostruzione delle case e dei palazzi privati sta finalmente procedendo, grazie a un sussulto di buonsenso per cui si è preso atto che non era un problema degli abruzzesi ma di tutti gli italiani, quella degli edifici pubblici invece arranca nel percorso minato della burocrazia.
Tutto questo adesso non si deve più ripetere.
Le stime dicono che i danni provocati dai terremoti ci sono costati dal 1968 al 2003 ben 162 miliardi di euro, mentre con al massimo un quarto di quella somma investita negli ade-guamenti antisismici l’Italia avrebbe forse potuto evitare anche i costi umani di quelle tragedie. Sappiamo che per com’è fatta l’Italia questo sarebbe stato impossibile. Ma oggi quei numeri devono indurre una seria riflessione.
L’Italia è un Paese fragile. Il territorio è in gran parte sismico: il terremoto che tre anni fa ha colpito Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia ha dimostrato come non esistano zone franche. Questa sua caratteristica è accentuata dal fattore umano: alla fragilità delle migliaia di bellissimi centri storici medievali, si deve purtroppo aggiungere quella di un’edilizia sterminata e priva di qualità architettonica e strutturale che ha allagato le periferie delle grandi città e assedia anche i nostri meravigliosi borghi.
Un’edilizia realizzata prevalentemente quando ancora non ancora esistevano le norme antisismiche e in misura consistente abusiva: quindi per definizione nell’inosservanza di quelle disposizioni. Fatto sconcertante, anche molti edifici pubblici sono a rischio, come sta a dimostrare la strage dei bambini nel crollo della scuola di San Giuliano di Puglia nel 2002. Ma anche la casa dello studente dell’Aquila, l’ospedale di Amatrice…
Da qualche anno si sta facendo strada nel Paese l’idea di intervenire sullo sfacelo delle periferie. Che il tema sia stato posto all’ordine del giorno è incoraggiante, anche se per ora è solo un dibattito.
Al tempo stesso c’è da domandarsi che cosa si aspetti, con la frequenza dei terremoti devastanti sperimentata negli ultimi quarant’anni, a varare un piano nazionale straordinario di sicurezza. Innanzitutto per evitare che scuole, ospedali e magari residenze universitarie vengano giù alla prima scossa nemmeno fossero castelli di carte. Lasciamo perdere qualità e forma dell’edilizia statale, ma che in questo Paese certi edifici pubblici non siano a norma con le prescrizioni antisismiche è una vergogna.
Il piano dovrebbe tuttavia prevedere tassativamente anche la messa in sicurezza dei nostri borghi. Almeno quelli lungo la dorsale appenninica, e dopo un rigoroso censimento degli edifici esistenti, che oggi manca.
È un patrimonio troppo importante perché non si debba riparare dai terremoti, anche di forte intensità. Oggi esistono le tecnologie: mentre scriviamo si stanno sperimentando a L’Aquila. Che potrebbe diventare un centro di eccellenza per la ricerca in questo campo, se solo le università e le forze imprenditoriali private lo volessero.
L’ecobonus per la ristrutturazione delle abitazioni è già oggi estensibile agli interventi antisismici. Qui si tratta però di introdurre misure per consentire l’adeguamento strutturale di interi blocchi urbani omogenei. Esattamente come nel capoluogo abruzzese, dove questo sistema sta dando risultati. Se si vuole cambiare passo nella difesa del Paese dai terremoti, senza dover prima aspettare un’altra Amatrice, è ora di dimostrarlo.
STELLA
«E Norcia?», si chiedono tutti nel vedere la desolazione dei paesi annichiliti dal sisma? Cosa sarà stato di Norcia? La vicina, splendida cittadina di San Benedetto sull’altopiano di Santa Scolastica, colpita nel passato lontano e recente da più terremoti, gli ultimi dei quali nel ‘79 e nel ‘97, accusa sì qualche lesione, alcuni cedimenti, danni secondari a poche strade, un po’ di spavento. Ma nulla di irreparabile. Prova provata che i lavori di consolidamento e di restauro (sia pure segnati da tangenti, polemiche e clientelismo) sono serviti. Un esempio virtuoso. Evviva. Ma che marca il contrasto con chi quei lavori di prevenzione, ahi noi..., non li ha fatti.
ROMA «Quando fui processato all’Aquila c’erano degli esperti, alcuni dei quali oggi hanno un ruolo pubblico, che sostenevano che si potesse fare meglio di quello che avevamo fatto noi. Vorrei sapere ora dove sono queste persone». Enzo Boschi, ex presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e membro della Commissione grandi rischi ai tempi del sisma in Abruzzo del 2009, si dovette difendere dall’accusa — poi caduta nel processo d’appello — di non aver fornito una corretta informazione sui rischi dello sciame sismico culminato nella scossa che provocò 308 vittime. Per questo lasciò l’incarico. Ora, «da privato cittadino», accusa: «La sismologia è una scienza seria, chi ha delle cariche pubbliche deve esprimersi. Se hanno dei modelli previsionali li usino. Se non l’hanno fatto, vuol dire che non esistono». Boschi ne ha anche per la Commissione grandi rischi: «Deve dare indicazioni su quale potrà essere l’evoluzione del fenomeno. Ma non si è vista. Gli esperti sono in vacanza?». Un attacco non raccolto dal rinnovato vertice dell’Ingv che, direttamente chiamato in causa, si sottrae alla polemica.
M. D. G.
L’orologio con le lancette che segnano le 3.36.
Fa sera con altre due botte fortissime, sulle pareti dell’ospedale Grifoni — già evacuato — si aprono fessure spaventose. Accese le luci gialle delle fotoelettriche. Il loro ronzio copre le voci sommesse d’un gruppo di donne che recitano un rosario per chiedere misericordia a Maria Santissima di Filetta, compatrona di Amatrice.
La scuola era stata costruita nel 2012, secondo le norme antisismiche. Quattro anni dopo ecco cosa resta della scuola elementare di Amatrice, ridotta in macerie, devastata in modo irreparabile. Secondo la mappa di pericolosità sismica, oltre il 50% delle scuole italiane sono state costruite prima del 1950.
Nel 2002 in seguito al terremoto in Molise che provocò il crollo della scuola a San Giuliano di Puglia e la morte di 27 bambini fu promossa la mappatura della pericolosità sismica del territorio e degli edifici pubblici. La normativa sismica, ossia l’insieme di regole di costruzione che si applicano ai comuni classificati come sismici e alla zonazione sismica (ossia le liste dei comuni cui si applicano le norme) è stata definita dopo le modifiche introdotte con ordinanze del 2003 3 del 2006.
fabrizio curcio
ROMA Anche l’ingegner Fabrizio Curcio, capo dipartimento della Protezione civile, ha il sonno leggero: «La scossa delle 3.36 l’ho sentita pure io, come tanti altri. Ho allertato la Sala operativa, che mi ha confermato l’entità importante del sisma, e così, come da procedura, ho avvertito il presidente del Consiglio e il sottosegretario De Vincenti. Subito dopo è stato convocato il Comitato operativo».
La macchina dei soccorsi si è messa in moto prima delle quattro?
«Alcuni pezzi importanti della macchina dei soccorsi, come i vigili del fuoco e il soccorso sanitario, partono in automatico. Poi viene tutto il resto...».
È possibile, a 18 ore dal sisma, quantificare il numero delle persone estratte dalle macerie dalle squadre di soccorso?
«È difficile essere precisi perché in queste situazioni molti si salvano da soli. In ogni caso possiamo dire che le persone estratte vive dalle macerie dalle squadre di soccorso sono diverse decine».
Le vittime accertate a 18 ore dal terremoto sono 124. Avete idea di quale sia l’entità dei dispersi?
«Ripeto, è molto difficile fornire cifre puntuali in queste situazioni. E poi i Comuni colpiti sono in questa stagione meta di turisti e villeggianti, soprattutto quelli che hanno in zona una seconda casa».
Ad Amatrice è collassato l’hotel Roma. Il sindaco parla di 70 ospiti dispersi.
«Quella è la cifra corrispondente alla ricettività della struttura. C’è da verificare il registro delle presenze, che però non è ancora disponibile».
Le risulta che in una frazione di Amatrice, dove alle 8 di sera c’erano persone sotto le macerie, i vigili del fuoco non avessero una troncatrice per creare un varco?
«In alcuni casi ci sono stati problemi di accesso per i mezzi ma li abbiamo risolti. E poi certi strumenti sono in dotazione di tutte le squadre dei vigili».
Quanti sono i posti letto in tenda già disponibili?
«Arriveremo a duemila tra Marche e Lazio. Poi ci sono le disponibilità a Rieti, 500 posti, e ad Ascoli Piceno».
Eppure in molti stanno trascorrendo la prima notte all’addiaccio.
«Purtroppo è così. Molti hanno scelto di trascorrere la notte nelle automobili anche perché l’istinto, dopo questi traumi, difficilmente ti porta subito in un luogo chiuso».
I feriti, molti dei quali sono gravissimi, raggiungono quota 368. Serve sangue?
«Per ora non abbiamo registrato carenze di sangue o altre emergenze sanitarie. Comunque, se c’è uno slancio di generosità ben venga, ma per donare il sangue sempre e non solo in queste occasioni».
L’esperienza dell’Aquila, che sette anni fa lei ha vissuto in prima linea, ha insegnato qualcosa nelle procedure di soccorso?
«Ogni evento fa esperienza e arricchisce le procedure per migliorare la macchina dei soccorsi. Tuttavia, ogni evento è diverso dall’altro: stavolta i Comuni principalmente colpiti sono tre ma si estendono su un territorio vasto e articolato».
Il volontariato fai da te è utile in questo contesto?
«Qualsiasi forma di volontariato è apprezzata. Ma parliamo di volontariato di protezione civile, organizzato e autosufficiente».
LE FAGLIE
GIOVANNI CAPRARA
C’è un’anomalia in questo terremoto che ha portato per l’ennesima volta vittime e danni nella martoriata Penisola. È la scarsa profondità alla quale si è liberata la potenza accumulata nella roccia. «Tra quattro e sette chilometri appena, e questo ha portato più facilmente l’onda distruttrice ad abbattersi sulla superficie e provocare disastri e crolli» spiega Andrea Tertulliani, primo ricercatore e direttore di sezione dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia Ingv.
Se l’ipocentro, cioè il fatidico punto originario, fosse stato più in basso — come in genere era accaduto in passato — il suolo avrebbe attutito l’impatto negativo. Così i sensori sono stati attivati da un impulso che ha raggiunto i 6 gradi della scala Richter, registrando il sisma più potente dopo quello dell’Aquila del 2009 (5.9 gradi della scala Richter).
«Perché si sia manifestato in questo modo è impossibile dirlo. Sono molti i fattori che entrano in gioco nel generare la faglia diffusa su un’estensione di una trentina di chilometri — aggiunge Tertulliani —, un dato che riusciamo a valutare considerando la superficie coperta e le sequenze dei sismi minori dirette verso l’Umbria e succedutisi dopo la scossa principale. Anche per questo sisma la causa principale è sempre la stessa; vale a dire lo scontro fra le due placche che hanno dato origine agli Appennini e alle Alpi».
Si tratta in particolare della placca africana che spinge verso nord andando a scontrarsi con la placca euroasiatica. E l’Italia si trova in una zona che mostra pure altri frazionamenti con scontri incrociati di forze che portano il mare Tirreno ad allargarsi e l’Adriatico a restringersi. Da questo infernale scenario geologico nasce il triste record che abbiamo di essere uno dei Paesi più sismici della Terra.
Purtroppo, dal punto di vista scientifico, il terremoto della notte scorsa rientra nella «normalità» di un’area altamente sismica, dunque con elevata pericolosità. Un territorio capace di esprimere, nel corso della sua storia, eventi abbastanza simili; come i terremoti quasi gemelli del 1639 e 1646 o l’altro dagli effetti comparabili del 1703. «Anche se non vuol dire niente — spiega Tertulliani — bisogna notare che qui da un po’ di tempo non si registravano eventi violenti. Tra il terremoto dell’Aquila e questo, comunque, non c’è alcun collegamento. Ognuno è stato originato da una propria faglia e le due sono separate tra loro. Tutto il sottosuolo dell’Appennino è spezzettato».
Da questa situazione deriva anche la sismicità di fondo che segna in continuazione l’intera Penisola con movimenti frequenti su valori tra due e tre gradi della scala Richter, che per fortuna non provocano danni e non fanno notizia, ma che testimoniano di una condizione del suolo sempre a rischio di cui essere coscienti.
Proprio per le sue caratteristiche la zona investita dal sisma è costellata da strumenti di rilevazione. «I dati che raccogliamo però — nota amaramente lo scienziato dell’Ingv — ci servono per mantenere una costante osservazione e per cercare di capire il fenomeno sperando un giorno di arrivare a individuare in anticipo qualche segnale degli eventi che oggi ci colgono all’improvviso».
Lo sforzo di indagine che si compie è notevole e coinvolge altri gruppi. «Dall’Umbria alla Campania sono numerosi gli studi che abbiamo in corso sulle faglie attive — ricorda Paolo Messina, direttore dell’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria del Cnr — e in particolare effettuiamo approfondimenti sulla microzonizzazione, cioè sulle fratture minori disseminate nel sottosuolo, importanti per valutare il pericolo».
Giovanni Caprara
ANNA MELDOLESI
Immaginiamo due paesi vicini: San Sismino e Rocca Sismina. Immaginia-moli fra 10 anni. Sapendo di vivere in una zona sismica gli abitanti del primo paese investono su un’app che tenta di prevedere i terremoti detta «Crystal Ball», sfera di cristallo. Gli abitanti del secondo si affidano invece a un’app alternativa chiamata «Io non rischio», che sulla base delle condizioni degli edifici calcola il livello di danno atteso e consiglia ai singoli cittadini strategie di intervento adeguate. Quando nel 2026 il sisma arriva, uno dei due centri viene distrutto e l’altro si salva. Vogliamo andare nella direzione di San Sismino o di Rocca Sismina? Questo esperimento del pensiero, proposto da Roberto Paolucci in un collettaneo sui terremoti pubblicato da Franco Angeli , è tornato di tragica attualità, insieme all’eterna domanda: possiamo sperare di riuscire a prevedere o dobbiamo darci da fare a prevenire? In questo caso, si poteva supporre che il sisma dell’altra notte avrebbe colpito? E dobbiamo aspettarci che accada di nuovo in futuro? Abbiamo riproposto questi interrogativi alla geologa del Cnr Paola Salvati, che studia proprio l’Appennino centrale e ci ha ribadito ciò che i sismologi vanno ripetendo dal 2009, quando tremò l’Aquila. «Su tante cose la scienza è incerta, in tanti campi facciamo calcoli probabilistici. Ma di questo invece siamo sicuri: i terremoti non si possono prevedere». Impossibile indovinare il dove, il quando e il quanto, insomma collocare l’epicentro, azzeccare la data, stimare in anticipo l’energia che verrà rilasciata da un sisma. Ma questo non significa che non disponiamo di conoscenze utili: basta guardare la striscia rossa che percorre l’Italia centrale nella mappa del rischio sismico. Paola Salvati si trovava a Terni quando è stata svegliata dalle scosse e le ha subito riconosciute come se fossero delle vecchie conoscenze che tornavano a bussare. «Forti, lunghe, mi sembrava di rivivere il terremoto del 97-98 in Umbria e Marche». Prima ancora, nel ’79 c’era stato il sisma di Norcia. Colpa della tettonica estensionale, ci spiega la ricercatrice. «La Catena appenninica è in estensione, la parte Adriatica (che si sta chiudendo) si allontana da quella Tirrenica, alcuni millimetri all’anno». A causa di questa deformazione, lungo le faglie si accumula energia che viene ceduta improvvisamente quando si arriva alla rottura. La porzione centrale della Catena ha dinamiche diverse da quella meridionale o settentrionale. «La magnitudo dei terremoti è proporzionale alla lunghezza delle faglie, che sono in media di 20 chilometri». Si può quasi tracciare un identikit di questi sismi: «La magnitudo fra 5 e 6 è una costante che tende a ritornare, salvo eccezioni; l’estensione dell’area colpita tende a non essere grandissima ma nemmeno molto localizzata; a pochi chilometri di distanza si possono trovare paesi distrutti o risparmiati dalla tragedia». La disomogeneità degli effetti dipende «dall’amplificazione dovuta alla topologia e alle condizioni locali delle rocce», ci spiega Salvati. Ma anche da quando e da come sono stati costruiti (o ricostruiti) gli edifici. «La terra si muove, i terremoti avvengono, dobbiamo conviverci». Questo significa portare avanti ricerche a tappeto, lunghe e onerose, di microzonazione, che consentano di stimare il rischio in modo sempre più dettagliato in questa zona. E soprattutto sistemare il patrimonio immobiliare vulnerabile: ognuno di noi dovrebbe sapere quali sono i muri portanti della sua casa, quando è stata costruita, quali normative erano in vigore. «Bisogna farlo in tempo di pace, per così dire, senza aspettare la prossima emergenza». Non sappiamo quando accadrà di nuovo, ma sappiamo che succederà. Fra l’ipotetica strategia di San Sismino e quella di Rocca Sismina, non c’è dubbio che dovrebbe fare scuola la seconda.
GLI SCONTI FISCALI
ROMA Gli sfollati sono migliaia, 1.500 solo nelle Marche. E per la gestione di questa emergenza saranno utilizzati i primi soldi che saranno stanziati oggi dal consiglio dei ministri. Per i costi della ricostruzione vera e propria, invece, è ancora presto. Il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio dice che al momento «non è possibile indicare una cifra precisa». Servirà tempo. Ma è utile ricordare che per il terremoto dell’Aquila, per alcuni aspetti simile a quello di ieri, la spesa complessiva programmata fino al 2029 ammonta a 13,7 miliardi di euro.
Dopo ancora, forse, sarà il momento delle decisioni per rendere più sicuri gli edifici. Perché in Italia, nonostante sia il Paese europeo dove la terra trema di più, il 70% delle costruzioni non è antisismico. O meglio non è progettato per resistere alla «scossa di riferimento», quella che può tornare in media ogni 475 anni. Non c’è una regola unica per tutto il territorio nazionale: la forza del terremoto di riferimento varia di chilometro in chilometro. Il punto è che devono essere costruiti in modo da resistere a questa scossa solo gli edifici nuovi. Per quelli esistenti non c’è alcun obbligo. Ed è questo il vero problema per un territorio fatto dai centri storici antichi, di case che si tramandano di generazione in generazione. La nostra bellezza, la nostra debolezza.
« In Giappone una botta così arriva una volta al mese e loro, sulla sicurezza, sono diventati i primi al mondo», dice Massimo Forni è il capo del laboratorio di ingegneria sismica e prevenzione dell’Enea, l’agenzia nazionale per le nuove tecnologie. «Mentre da noi - continua - succede ogni cinque anni. Tutte le volte piangiamo, promettiamo. Ma poi ci dimentichiamo e lasciamo perdere».
Dopo il terremoto che distrusse la scuola di San Giuliano di Puglia, nel 2002, è scattato l’obbligo di «analisi di vulnerabilità» per tutti gli edifici pubblici. Ma ancora oggi la metà delle scuole italiane non rispetta le regole. Il vero punto interrogativo, però, sono le case private. Nel 2002 — ricorda Armando Zambrano, presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri — proprio la Regione Lazio approvò una legge che rendeva obbligatorio il fascicolo di fabbricato, documento che imponeva un esame di tutti i fabbricati esistenti per sapere almeno in che condizioni erano. Ma la norma è stata poi bocciata da Tar e Consiglio di Stato, fermando tutto. E allora, per la sicurezza, restano due strade.
La prima, più volte scartata, è l’assicurazione obbligatoria. Oggi è volontaria e rarissima: meno dell’1% dei 33 milioni di case ha una polizza del genere. L’alternativa, che il governo sta studiando, è rafforzare gli sconti fiscali per chi fa una ristrutturazione anti sismica. Ci sono già ma risultano inutilizzabili nei condomini dove per far partire i lavori bisogna essere tutti d’accordo. L’idea è che sia lo Stato a farsi carico delle spese per chi non può permettersele e anche per gli incapienti, chi non paga tasse e con gli sconti fiscali non recuperare nulla.
Lorenzo Salvia
DAL NOSTRO INVIATO
NORCIA Fu l’ultimo atto dell’amministrazione pontificia, che governava Norcia da cinque secoli. Nel 1859, dopo l’ennesimo devastante terremoto che come raccontano le cronache rase al suolo 600 dei 700 edifici della città, un editto papale impose il vincolo dell’altezza per la ricostruzione delle case. Non più di due piani rialzati, e l’uso di materiali di costruzione particolari: malte con calce e pozzolana, spessori forti, chiavi e catene a legare i muri. Era la lezione da trarre per il futuro, dopo che la città era stata ricostruita almeno quattro volte nei 500 anni precedenti, segnati da almeno cinque terremoti con una potenza stimata sempre vicino al sesto grado della scala Richter.
Nel 1979, quando il sisma colpì ancora Norcia violentemente crollarono le grotte sotto la città, inghiottendo alcune case. Poi l’ennesima ricostruzione rigorosa, attentissima alle norme antisismiche, riprese. Nel 1997, quando la terra sussultò tra Assisi, Colfiorito e Nocera Umbra, a Norcia i palazzi vennero danneggiati, alcuni subirono danni pesanti, ma nessuno cadde a terra. Lo stesso è successo ieri, benché gli epicentri delle due terribili scosse della notte scorsa siano a pochi chilometri di distanza, e la devastazione nei paesi circostanti immensa.
«Siamo abituati, ricominceremo anche questa volta» dice il sindaco, Nicola Alemanno. D’inverno, nella cittadina incastrata tra la Valnerina e i Monti Sibillini abitano meno di cinquemila abitanti. «Ieri a Norcia e nei dintorni c’erano ventimila persone. Non ci sono stati morti, né feriti gravi. E questa è la cosa importante, il messaggio che oggi vogliamo mandare. Con criterio e rigore si possono evitare le tragedie». La seconda scossa si è scatenata sotto Forca Canapine, minuscola stazione sciistica ad appena cinque chilometri in linea d’aria dalla città, affacciata sul Piano di Castelluccio, il piccolo paese che spunta a millecinquecento metri sull’altipiano ai piedi del Monte Vettore, divenuto negli anni una meta turistica importante grazie alla magia delle montagne sovrastanti e ai colori della fioritura dei campi di lenticchia. A differenza di Norcia, Castelluccio ha subito danni pesanti. Nessuna vittima, ma le stalle e le case più vecchie e malandate sono venute giù. Come a Frascara, San Pellegrino e nelle frazioni sul versante marchigiano. «Il problema è che nei minuscoli paesini del Parco dei Sibillini sono rimasti a vivere solo vecchi, gente che vive con 500 euro di pensione al mese e non ha soldi per mettere in sicurezza le case» racconta Oliviero Olivieri, presidente del Parco a cavallo tra Umbria e Marche.
Mario Sensini
STEFANIA CHIALE
Ad Arquata e a Pescara del Tronto non è facile distinguere le macerie del ‘500 da quelle di fine Novecento. «È crollato tutto: dalle chiese antiche alle case degli anni Sessanta», dice Corrado Longa, architetto urbanista che lavora a Milano nello studio di Stefano Boeri ma vive a Spelonga, frazione di Arquata del Tronto, uno dei quattro centri più colpiti dal sisma che ieri ha devastato il Centro Italia.
«Le case recenti ovviamente hanno retto di più, andando indietro negli anni è più evidente il rischio di crolli». Ma il vero discrimine è costituito dagli interventi strutturali. La zona di Lazio, Umbria e Marche colpita dal terremoto rientra nella zona 1 della classificazione sismica: la probabilità che avvenga un terremoto è alta. Per questo, gli edifici nuovi dovrebbero essere costruiti seguendo regole antisismiche e quelli vecchi dovrebbero essere messi in sicurezza. «Qui la situazione è mista — continua Longa —: è evidente che sulla maggior parte degli edifici gli interventi, quando ci sono stati, non erano strutturali, ma di semplice manutenzione. E non è sufficiente. Stesso discorso sugli edifici pubblici: per carenza di risorse, innanzitutto». Lo conferma al telefono il vicesindaco di Arquata, Michele Franchi: «Sono crollate anche case ed edifici nuovi. I piccoli comuni con la Spending review hanno meno soldi, anche per la ristrutturazione. Dove c’è stata, l’edificio ha retto, ma è stato comunque danneggiato: quando la scossa è di tale intensità è difficile evitare il peggio».
Insomma: i danni potevano essere ridotti, ma la sensazione che emerge è di impotenza. «Quando la scossa è così forte, anche la messa in sicurezza ha dei limiti — ammette Longa —. I paesi colpiti sono piccoli e densi di edifici, alcuni abbandonati: un rudere in mezzo a case nuove, quando crolla, trascina a catena anche queste o almeno le danneggia. Resta il fatto che la gran parte delle case crollate non erano in sicurezza: in alcuni casi perché la popolazione è anziana e sola, in altri perché le case sono in multiproprietà o sono case di villeggiatura, sulle quali spesso si decide di non intervenire».
Longa risponde al Corriere della Sera osservando la città fantasma di Pescara del Tronto. «Dall’alto Pescara è una discarica di macerie: non c’è più nulla». La frazione marchigiana si trova su un pendio scosceso: «Oltre alla questione edilizia c’è quella geologica. E poi nessuno se l’aspettava: qui il terremoto non c’era mai stato. Ricordiamo tutti quelli di Assisi e dell’Aquila, ora ha colpito noi. Ma un’azione preventiva è sempre auspicabile. Quando impareremo che le verifiche bisogna farle prima?».
ROMA Alle sei di mattina è a Palazzo Chigi e fa sapere di essere in contatto con la Protezione civile, con i soccorritori, in prima linea a coordinare gli aiuti. A metà mattina rilascia le prime dichiarazioni, esprime il dolore del governo, la vicinanza delle istituzioni alle popolazioni colpite dal terremoto. Alle sei di sera, dopo una visita ad Amatrice, dopo essersi reso conto dei danni, del numero di vittime e di feriti, aver ascoltato dalla voce dei sindaci il dolore e le storie della tragedia che ha colpito il Centro Italia, promette che in questo caso non sarà come L’Aquila, «dove si sono persi anni. Ci sono modelli e modelli. Ora è il momento delle lacrime, non delle polemiche, da domani lavoreremo per ridare un futuro a questi territori».
Matteo Renzi dopo la visita ad Amatrice si reca a Rieti, è lui stesso a diffondere le cifre — «che non sono figurine, ma sono storie, persone, dolore, dramma» — di un primo bilancio, ancora provvisorio, della tragedia che ha colpito di notte, quasi a tradimento, nel sonno, tanti italiani. Ha già affidato il coordinamento di tutte le operazioni al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti, annuncia che oggi pomeriggio il Consiglio dei ministri stanzierà «fondi per l’emergenza». È «una somma di 50 milioni per i primi interventi emergenziali», spiegherà poi il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio.
«Adesso dobbiamo asciugarci le lacrime, poi la credibilità e l’onore sarà nel garantire una ricostruzione vera», è la promessa, aggiunge il premier, incontrando nel pomeriggio i giornalisti nella prefettura di Rieti. Ha appena partecipato a una riunione tecnica insieme al prefetto e al capo della Protezione civile, dopo aver visitato quel che resta di Amatrice e aver sorvolato in elicottero le zone terremotate.
«Nel momento più atroce — continua Renzi — l’Italia si stringe in un abbraccio forte, come una famiglia. Voglio esprimere un sentimento di commozione e dolore profondo che ha attraversato tutto il Paese, senza nessun colore politico. C’è una colonna mobile di aiuti istituzionali e accanto una colonna mobile di volontari, persone che danno il loro aiuto o che raccolgono ciò che serve tramite il passaparola, sms, associazioni di volontariato. Tutti stanno lavorando in modo straordinario, a tutti esprimo gratitudine».
Il bilancio non definitivo, è di «120 vite spezzate: 34 nel versante marchigiano, 86 in quello laziale. È possibile che il numero cresca», dice (e infatti in serata aumenterà). E poi spiega che ci sono problemi legati al riconoscimento delle salme e che, tra gli altri, «stanno lavorando anche psicologi per aiutare le famiglie».
Le prime misure saranno prese oggi nella riunione del governo, che sta cercando di definire una stima dei danni. L’esecutivo «proclamerà lo stato di emergenza. Da domani e per i prossimi mesi saremo operativi. Sarà necessario un lavoro serio, continuo, costante. Questa è la prima di una lunga serie di visite del governo. L’obiettivo è costruire e ripartire. Un passato così meraviglioso non può finire. Noi vogliamo ridare una possibilità di futuro a questi territori».
E a chi fa notare che come in altri casi una scossa di terremoto, per quanto seria, mette in ginocchio interi paesi, che non hanno abitazioni antisismiche, Matteo Renzi risponde in questo modo e rivendica la prontezza dei soccorsi: «Ora è il momento di far scendere qualche lacrima, di una preghiera, del rispetto, della commozione. Siamo bravi a litigare e fare polemiche ma nel momento del dolore sappiamo dare il meglio e manteniamo il senso dell’orgoglio e della dignità. Si tratta di realtà medievali molto belle e che rischiano di più, ma oggi eviterei discussioni polemiche sulla gestione delle calamità. La macchina dei soccorsi si è mossa immediatamente, non mi pare il momento di aprire una polemica quando c’è un terremoto 6.0».
Marco Galluzzo
SESTINI
È Pescara del Tronto, 135 abitanti dicono le carte, frazione del Comune di Arquata, terra marchigiana nella ex provincia di Ascoli Piceno. Si può ancora riconoscere la sua caratteristica forma a mezzaluna, con alle spalle la cava. Ma a marcare lo stacco con il verde circostante non sono i tetti scuri invecchiati dal tempo, è un grigio uniforme di frammenti e detriti: un’intera frazione distrutta, crollata come fosse un panettone sbriciolato. Più in alto ancora, Arquata del Tronto, comune con oltre mille abitanti, le immagini non cambiano: buona parte del centro è demolito.
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ZUNINO
DAL NOSTRO INVIATO
ACCUMOLI.
Con la scossa partita quattro chilometri sotto le sue fondamenta, alle 3 e 36 di ieri, il campanile dell’ex monastero di piazza Francesco, il centro di Accumoli, si è torto ed è crollato. Ha sfondato la casa confinante, dove dormiva la famiglia Tuccio. In un’unica stanza. Ha schiacciato tutti e quattro nel sonno. Il papà Andrea, muratore alle dipendenze del cugino. La mamma Graziella, casalinga, originaria di Amatrice, nove chilometri da qui. E i due figli. Riccardo, 6 anni, a settembre in prima elementare. E Stefano, sette mesi soltanto. Il campanile, alto, stretto, in muratura semplice, senza ferro dentro, si è abbattuto sul solaio con le sue tre campane, trovando il vuoto sotto il tetto e poi una famiglia.
La casa che divide le mura con la chiesa e la caserma dei carabinieri, vuota quest’ultima nella notte, ora mostra la sua intimità e il suo sconvolgimento. Un calorifero dondola al vento appeso ai suoi tubi di rame, una coperta imbottita ricorda che ad Accumoli, anche ad agosto, la notte bisogna coprirsi.
Siamo in montagna, a ottocentocinquanta metri, da qui partono i sentieri per i laghi. Il bidoncino della raccolta differenziata è rimasto in cucina. La bicicletta Colnago gialla, di Riccardo, è sulle scale. Sotto le scale, e poi sul retro, cento e cento gomme da fuoristrada. Nessuno sa dire se già erano lì. Cosa ci facevano e cosa ci fanno. Anche la chiesa è sventrata al suo ingresso. In caserma, poi, non si possono fare neppure i sopralluoghi: il portone è schiacciato, se si forza si rischiano altri crolli.
Alzando la testa non si riesce a capire che lì, nell’ex monastero riadattato per tre funzioni, c’era davvero un campanile. È instabile dal 1979, dal primo terremoto del Novecento che in qualche modo ha interessato il borgo medievale di Accumoli, seicentocinquanta residenti registrati all’anagrafe. E da allora è in ristrutturazione.
È arrivata la scossa di Colfiorito del ‘97, poi L’Aquila nel 2009 e sul Comune con sedici frazioni, da sempre inserito in zona sismica di massima allerta, sono arrivati finanziamenti, rimborsi. Anche il campanile ha avuto nuove proroghe ai lavori, tutte pagate. Il cantiere si è fermato ed è ripartito, ma a metterci dentro il ferro nessuno ci ha pensato. Matteo, contadino che contesta da sempre il sindaco, dice: «Il campanile è stato inaugurato cinque anni fa, snello, leggero, a ricordare la Torre civica del Duecento che sta più sopra. Ogni nuovo lavoro serviva proprio a quello, a prevenire una nuova scossa. Forse l’ultima è stata troppo forte, possibile, ma io penso che ci abbiano mangiato in troppi attorno a quel campanile e ora piangiamo quattro innocenti». La Torre civica del Duecento, va detto, all’esterno non una crepa.
Ad Accumoli molti parlano di case appesantite dopo ogni scossa registrata nei dintorni, di tetti a cappuccio che prima non esistevano e ora schiacciano gli edifici, di qualche piano rialzato.
Il sindaco Stefano Petrucci, che non riesce a finire una frase senza un singhiozzo, conferma: «Quel benedetto campanile ha avuto una storia lunga e tormentata, durata troppo, con tante soste e tante ripartenze. Così, in semplice muratura, non avrebbe mai potuto reggere un terremoto, ma non me la sento di mettere la croce addosso ai costruttori. In questo momento non voglio far crescere polemiche, abbiamo già troppo dolore intorno».
Il paese di Accumoli non ha più una casa abitabile. Dove hanno retto i muri esterni, gli appartamenti si sono svuotati dentro. Dove il tetto è ancora al suo posto, si vedono squarci nei muri perimetrali.
I molti romani in vacanza sono andati via prima di mezzogiorno, ieri, appena hanno potuto. I pochi residenti rimasti adesso sono raccolti nella piazza di San Francesco. Addolorati, dicono: «Il danneggiamento è così profondo che la maggior parte delle case andrà rasa al suolo e rifatta. Ci vivevano i nostri nonni, e i loro nonni. Non so come ripartiremo. L’Aquila è qui dietro e noi sappiamo bene che dala terremoto di sette anni fa non si sono mai ripresi».
La famiglia Tuccio è il debito alla vita pagato dal paese di Accumoli. Quattro morti. Nessun ferito grave. Intorno, nelle frazioni che si allungano sulla Salaria, c’è il resto. Tre deceduti a Illica, dall’altra parte del fiume Tronto.
Un morto a Grisciano, a ridosso della statale. Un morto a San Giovanni. Chi è riuscito a scappare prima che i tetti si afflosciassero si è subito messo in cammino verso una delle quattro tendopoli a valle. «Non sappiamo quando potrete rientrare, nessuno lo può sapere», dicono quelli della Protezione civile.
REPUBBLICA SPRECHI
NAZIONALE - 25 agosto 2016
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25/8/2016
terremoto in centro italia
Nel borgo del reatino, il caso delle risorse assegnate dopo il terremoto del 2009 per gli edifici a rischio ma non utilizzate. E il buco nero dei finanziamenti per mettere in sicurezza le case private: i soldi del 2014 e del 2015 sono ancora bloccati
Amatrice, quei milioni mai spesi e anche il municipio va in pezzi
MAURO FAVALE GIULIANO FOSCHINI
ROMA.
Settecentomila euro per «l’adeguamento sismico della scuola», sbriciolata come un biscotto. I due milioni di euro per l’ospedale, mai spesi. Inutilizzati come i quattro milioni messi a disposizione negli ultimi due anni dalla Protezione civile, soltanto nel Lazio, per l’adeguamento sismico delle case private. Il terremoto che ha devastato il centro Italia non poteva essere previsto. Ma i danni avrebbero potuto essere limitati. Le zone colpite, le città devastate (Amatrice e Accumoli su tutte) erano individuate come zone ad «altissimo rischio sismico», i coefficienti stilati dai geologi le avevano inserite di diritto nell’elenco delle città che potevano usufruire del miliardo di euro stanziato subito dopo il terremoto dell’Aquila e che doveva servire proprio a prevenire il rischio sismico. Fondi che, come dimostra il caso di Norcia, innanzitutto se spesi, e poi se spesi bene, possono servire a salvare le vite: la «buona ricostruzione» post sisma del 1997 ha permesso ieri alla cittadina umbra di avere danni assai contenuti, nonostante la forza delle scosse.
Nel reatino non è stato così. Emblematico è quanto accaduto alla scuola di Amatrice, “Romolo Capranica”: ristrutturata e inaugurata nel 2012, anche grazie ai fondi post sisma del 2009, è crollata insieme con il resto del paese più vecchio. Eppure avrebbe dovuto avere quelle stesse caratteristiche che hanno permesso ad alcuni palazzi, in città, di restare ancora in piedi. Perché è successo? Non poteva essere altrimenti, troppo forte la scossa, o c’è stato qualcosa di sbagliato nei lavori? Di questo si occuperà l’inchiesta per disastro colposo che già oggi il procuratore di Rieti, Giuseppe Saieva, aprirà dopo aver effettuato ieri ad Amatrice e Accumoli i primi sopralluoghi. Per dire: ad Amatrice è crollato anche il Municipio, per il quale negli anni scorsi erano stati messi a disposizione dalla Provincia fondi per l’adeguamento sismico che poi, invece, erano stati dirottati altrove. Mentre non risultano mai impegnati i due milioni di euro che dovevano servire alla manutenzione dell’ospedale che è stato evacuato.
Il caso più clamoroso riguarda però i fondi messi a disposizione per l’edilizia privata. Dopo il terremoto dell’Aquila, la Protezione civile ha stanziato 965 milioni per la prevenzione del rischio sismico. Dati dei coefficienti precisi, le singole Regioni avevano il compito di indicare i Comuni particolarmente a rischio, affinché fossero loro destinati fondi per la messa in sicurezza di edifici sia pubblici che privati. Come accade sempre in tragedie di questo tipo, e come è accaduto anche martedì notte, a crollare sono i centri storici. Per questo lo Stato aveva deciso di sovvenzionare le ristrutturazioni, partecipando dai 100 ai 200 euro al metro quadrato, fino a 40mila euro complessivi. Il piano è stato un flop, nonostante i soldi a disposizione, tanto che Protezione civile e Anci hanno insediato nei mesi scorsi un tavolo tecnico per cercare di rendere più fluida la rendicontazione e l’impegno delle spese. Non fosse altro perché la misura scade a fine anno. Il problema è che, nonostante gli sportelli fossero comunali, erano poi le Regioni a gestire l’assegnazione dei fondi.
Un meccanismo complicato, tanto che in pochi hanno partecipato e chi lo ha fatto, nel 70 per cento dei casi, non ne aveva diritto o ha sbagliato a compilare la domanda. Nel Lazio, dove i Comuni di Amatrice e Accumoli avrebbero dovuto fare incetta di fondi, avendo coefficienti di rischio altissimi, i 4 milioni di euro messi a disposizione nel 2014 e nel 2015 per l’edilizia privata sono bloccati. Nemmeno un euro è stato assegnato. Per i 2 milioni 721mila euro del 2013, invece, sono arrivate 1.342 domande: quelle accettate sono state appena 191. Nelle Marche, dove Arquata è in “fascia B”, la situazione non cambia molto: il primo anno, nel 2011, delle 106 richieste formulate dai cittadini ne sono state dichiarate finanziabili 21. Nel 2013, a fronte di 3 ,1 milioni sul piatto, ne sono state accettate 114 su 225. «Ma non possiamo nemmeno dire quanti soldi siano poi realmente stati spesi — spiegano dalla Protezione civile — Perché a causa di questo meccanismo farraginoso, spesso non vengono nemmeno utilizzati da chi ne ha diritto. Preferiscono lasciare le case così come sono». Marzapane, o poco più.
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Dopo i sopralluoghi di ieri nelle zone colpite la procura di Rieti pronta ad aprire un fascicolo
Il crollo
DOPO NEANCHE 4 ANNI
Era stato salutato come un “restauro a tempo di record”, il 13 settembre 2012, l’adeguamento antisismico del plesso “Romolo Capranica” della scuola di Amatrice, crollato ieri dopo il terremoto
L’APPENNINO SI ALLARGA
NAZIONALE - 25 agosto 2016
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25/8/2016
terremoto in centro italia
Dalle falde che cedono alla diversa intensità di energia liberata ecco una fenomenologia del sisma “Nei prossimi giorni aspettiamoci altre scosse”
Che cosa succede all’Appennino
Si allarga 5 millimetri all’anno così si scatenano i terremoti
SILVIA BENCIVELLI
Che cosa sta succedendo, che cosa succederà, e perché tante coincidenze con terremoti precedenti? Lo abbiamo chiesto al geologo e sismologo Alessandro Amato, dirigente di ricerca dell’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) ed ex direttore del Centro nazionale terremoti.
CHE COSA STA SUCCEDENDO ALL’APPENNINO? PERCHÉ TANTI TERREMOTI IN QUELLE REGIONI?
«L’Appennino si sta, in un certo senso, allargando — spiega Amato — E lo sta facendo a un ritmo di 3-5 millimetri all’anno. Significa che più o meno ogni due secoli c’è un metro di “trazione” da compensare, lungo tutta la penisola». Per un po’, la situazione rimane stabile, e a noi sembra di poter stare tranquilli. «Questo avviene perché lungo l’Appennino abbiamo faglie attive che per decenni, secoli, resistono a questa trazione. Però a un certo punto cedono, d’un tratto. Ed è così che arriva il terremoto o una serie di terremoti», prosegue Amato. Queste faglie insistono su segmenti di 20-30 chilometri, di conseguenza i terremoti avvengono non su tutta la penisola, ma in zone sempre abbastanza limitate.
STANNO AUMENTANDO I TERRE-MOTI IN ITALIA?
No, è solo un’impressione. «Anzi sono 36 anni che non avviene un grandissimo terremoto, di magnitudo intorno ai 7, come quelli che nel passato hanno colpito Messina o l’Irpinia, o Avezzano, ma è comunque difficile da dire. Ci sono oscillazioni normali della sismicità e i terremoti non avvengono mai in maniera regolare e periodica». In genere si nota che terremoti importanti in Italia avvengono ogni quattro o cinque anni, e anche stavolta quindi ci siamo.
QUESTO TERREMOTO HA AVUTO MAGNITUDO 6: È STATO PERCIÒ
FORTE COME QUELLO DELL’AQUI-LA, CHE ERA DI MAGNITUDO 6.2?
In realtà, in termini di energia liberata il terremoto aquilano è stato molto peggiore. «Tra un terremoto di magnitudo 6 e uno di magnitudo 6.2 l’energia liberata è il doppio. Perché la magnitudo si misura con una scala logaritmica e da un punto all’altro l’energia aumenta di 32 volte». Insomma: non si possono fare valutazioni a spanne. E comunque l’informazione da sé sarebbe incompleta. «Ci possono essere variazioni importanti, per esempio nella frequenza delle onde sismiche». E anche alla profondità dell’ipocentro non si possono attribuire molte differenze o analogie tra i due terremoti: «Questi terremoti rompono comunque tutta la parte fragile della faglia. Cioè l’ipocentro è solo il punto di inizio della rottura. In questo caso l’ipocentro del terremoto è stato meno profondo, ma può aver fratturato la faglia verso l’alto e verso il basso. Comunque, andranno fatti tutti i calcoli del caso anche prima di fare queste considerazioni».
ED È UN CASO CHE SIA AVVENUTO QUASI ALLA STESSA ORA DEL TER-REMOTO DELL’AQUILA?
«Potremmo elencare tutti i terremoti avvenuti in Italia al mattino, come quello di Colfiorito. O come quello del Molise, che infatti ha visto la tragedia dei bambini deceduti nel crollo della loro scuola», insiste Amato. O quelli che sono successi di sera, come quello dell’Irpinia. A margine si potrebbero fare considerazioni su come cambia la distribuzione delle persone sul territorio a seconda dell’ora in cui avviene la scossa (ciascuno a casa propria a dormire, o tutti concentrati in pochi posti, come scuole e sedi di lavoro). Ma anche questo lascia il tempo che trova.
IN QUESTO CASO IL TERREMOTO NON È STATO PRECEDUTO DA UNO SCIAME SISMICO: È UN’ECCEZIO-NE?
«Al contrario: è praticamente la regola». Anche su questo Amato vuole essere chiaro. «Semmai è stata un’eccezione l’Aquila. È difficile fare statistiche precise e indicative, ma il più delle volte non ci sono scosse, oppure ci sono scosse minime e isolate, come è successo in Emilia. Mentre ogni anno in Italia ci sono decine di sequenze sismiche, e dal terremoto dell’Aquila a oggi ce ne saranno state 200-300, che non vengono seguite da terremoti». Abbastanza inutile, quindi, per le conoscenze scientifiche del momento, considerare il fenomeno un precursore.
CHE COSA PUÒ SUCCEDERE ADES-SO IN QUELLE ZONE? E NEL RESTO DEL PAESE?
Lì può ancora succedere qualcosa. «Ci aspettiamo che, come sempre, ci sia una serie di scosse che dureranno giorni, i cosiddetti aftershock ». Quanti e quali, impossibile però da dire: «Nel giro di un mese o due decadono, sia di numero sia di intensità, ma nei primi giorni le oscillazioni possono essere importanti », prosegue Amato. Addirittura essere quasi forti come la scossa principale. Perciò cautela. Mentre per quanto riguarda il resto del paese: «Ricordiamo che anche un giorno o due prima della scossa c’erano stati piccoli terremoti in Sicilia e altre parti d’Italia. Lì l’attività sismica prosegue come sempre». Imprevedibile. Perciò l’unico modo per difendersi, è prevenire i danni.
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JAIME D’ALESSANDRO
CONTROLLARE IL PIANETA CON I SATELLITI
NAZIONALE - 25 agosto 2016
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25/8/2016
terremoto in centro italia
IL CASO / IL PROGETTO PARTIRÀ IL PROSSIMO ANNO
“Ma ora la scienza si affida ai satelliti per dare l’allarme in anticipo”
JAIME D’ALESSANDRO
ROMA.
Un anno ancora, poi nascerà la prima rete di satelliti dedicata allo studio dei terremoti. Meglio: dedicata all’analisi di quelle variazioni che si verificano nella magnetosfera prima e dopo gli eventi sismici. La speranza è di riuscire a prevederli con ore di anticipo. Il progetto prenderà il via il primo agosto del 2017 in Cina con il lancio di un satellite ad alta concentrazione di tecnologia italiana. Ne seguirà un secondo nel 2019 e se i risultati saranno incoraggianti, ne arriveranno altri. Ci stanno lavorando da un lato la China National Space Administration (Cnsa) e la China Earthquake Administration (Cea), dall’altro l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).
«Il legame fra terremoti e variazione del flusso delle particelle nello spazio è stato notato dai russi sulla stazione spaziale Mir negli anni 90», racconta Marco Casolino, primo ricercatore all’Infn di Tor Vergata di Roma, che ha seguito il progetto nella sua fase iniziale. «Un amento di raggi cosmici circa cinque ore prima dei sismi. Non è un rapporto di uno ad uno, ma c’è una ricorrenza statistica significativa ». Al punto da spingere l’Infn di Roma e Perugia a indagare attraverso il satellite Sampex della Nasa. E anche in quel caso la relazione fu provata. Ma il primo satellite dedicato è stato il Demeter del Centre national d’études spatiales francese. Entrò in orbita nel 2004. «Hanno avuto la nostra stessa idea — ricorda Casolino — puntando però su strumenti focalizzati sulla parte elettromagnetica ». Pure quella volta in ogni caso si riscontrarono delle relazioni. In Cina, dove i terremoti sono all’ordine del giorno, hanno pensato di partire da queste esperienze per un’osservazione dall’alto a 360 gradi che si integri con la raccolta di dati a terra. Dallo spazio si controllano aree del pianeta enormi e si ottengono informazioni di natura differente. I nove strumenti a bordo del satellite sono stati tutti testati a Tor Vergata e alcuni costruiti qui. Le ambizioni sono alte e i benefici arriveranno anche qui da noi. Per contratto i dati raccolti dalla rete dei satelliti China Seismo- Electromagnetic saranno accessibili in Italia e poi nel resto del mondo.
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Gli strumenti a bordo saranno italiani: tutti testati all’Università di Tor Vergata
NAZIONALE - 25 agosto 2016
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25/8/2016
terremoto in centro italia
MARINE DENOLLE / SISMOLOGA AD HARVARD
“Fare previsioni è ancora un tabù l’esempio guida resta il Giappone
ELENA DUSI MARINE DENOLLE
Non sappiamo dire nulla, quindi, su quel che avverrà domani nell’Italia centrale?
«Ci sono leggi della fisica che ci consentono di fare previsioni affidabili, entro certi limiti, su quel che avviene dopo un terremoto. Sappiamo che una scossa forte viene quasi sempre seguita da numerose scosse più deboli».
Perché parlate sempre di rischi e probabilità, senza poter dare informazioni più precise?
«A differenza di altre scienze, quella dei terremoti è una scienza giovane. Ha solo una cinquantina d’anni. Quando registriamo una scossa, possiamo tracciare sulle nostre mappe la presenza di una faglia sismica. E quando le faglie sono al di sotto dei 10 chilometri di profondità possiamo anche delinearle facendo propagare delle onde nel terreno. Se studiamo bene una faglia e impariamo, per esempio, che genera terremoti ogni 100 anni, con un margine di incertezza di 30 anni, possiamo fare dei calcoli. Se l’ultima scossa è avvenuta 120 anni fa, ci aspettiamo che un sisma colpisca a breve».
Ma satelliti, sensori nel terreno, gps e algoritmi informatici sono tutti strumenti nuovi, che promettono passi avanti.
«Purtroppo prevedere una scossa resta molto, molto difficile. Immaginiamo di avere un bicchiere pieno d’acqua fino all’orlo e di aggiungere altra acqua, una goccia alla volta. Come facciamo a prevedere quale goccia farà tracimare il bicchiere? Con i terremoti il discorso è simile. Le forze e gli stress in azione sulle faglie sono altissimi, ma basta una piccola alterazione per scatenare una scossa. I segnali che potrebbero essere interpretati come precursori sono rari. E vengono puntualmente osservati solo dopo il terremoto».
Abbiamo speranza di migliorare la scienza dei precursori?
«Il vero problema è che non capiamo con precisione come si generino i terremoti. Per questo c’è ancora dibattito su cosa sia esattamente un precursore».
Le mappe del rischio sono l’unico strumento affidabile?
«Sì, sono strumenti utili. Conosciamo quali sono le faglie attive e questo ci permette di dire dove si concentra il rischio sismico. Con il tempo stiamo diventando sempre più bravi a determinare quanto — se mai colpirà — un terremoto potrà essere forte. Alcune aree come Los Angeles e Tokyo sono studiate benissimo, e da decenni. Lì siamo in grado di determinare la violenza di un’eventuale scossa molto meglio rispetto ad altre zone. Ma siamo sempre lontani dal livello di precisione desiderato. Sappiamo che l’Italia si trova sul margine di diverse placche ed è soggetta al pericolo di terremoti e vulcani. Ingegneri, economisti e altri esperti possono usare quelle informazioni per calcolare il rischio di una determinata zona».
A quale energia i terremoti uccidono?
«Dipende. Si possono avere scosse fortissime in zone isolate che non causeranno alcun danno. E scosse di energia moderata (per l’Italia penso a una magnitudo 5 o 6) che colpiscono zone popolate e con un’edilizia povera, creando danni enormi. In Nuova Zelanda c’è stato un terremoto tremendo, di magnitudo 7, distante da Christchurch che non ha creato danni equivalenti a quelli di una scossa di magnitudo 6 che ha colpito proprio sotto la città».
Cosa sono i sistemi di allerta rapida, e perché sono così poco diffusi?
«Il più efficiente fra questi sistemi di allarme è in Giappone. Ma è estremamente costoso. Ci vogliono numerosissimi sensori distribuiti per tutto il paese e algoritmi precisi per interpretare questi segnali e inviare i messaggi di allerta. La California e ancora una volta il Giappone sono i paesi che stanno investendo di più per migliorare questi algoritmi. Ma prima che possano essere considerati sicuri e adottati dalle autorità pubbliche ci vogliono tantissimi test e validazioni. E se la scossa è vicina l’allarme può arrivare solo pochi secondi prima: utile solo fino a un certo punto ».
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Il paese asiatico da molti anni è all’avanguardia nell’adozione di sistemi di allerta rapida
SISMOLOGA
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ROMA.
«Previsione, nel nostro campo, è ancora una parola tabù. Specialmente dopo quel che è avvenuto a L’Aquila». Ma qualcosa si sta muovendo. «California e Giappone sono diventati paesi guida nell’adozione dei sistemi di allerta rapida» spiega Marine Denolle, sismologa dell’università di Harvard.
HUFFINGTON
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L’Italia ha una delle legislazioni più all’avanguardia, in tema di normativa antisismica. Il problema è che interessa solo le nuove costruzioni. E in un Paese dove l’edilizia storica di vario tipo rappresenta l’80-90 per cento, è come dire che - se i lavori sono eseguiti come si deve - solo una piccolissima fetta di edifici è davvero al sicuro.
Oltre il 40 per cento del territorio italiano è a rischio sismico elevato e il 60 per cento degli edifici è stato costruito prima del 1974, quanto sono entrate in vigore le prime norme antisismiche. Almeno un terzo degli immobili andrebbe adeguato. Sulla base di questi parametri nel 2013 l’Oice, l’associazione delle organizzazioni di ingegneria, architettura e consulenza tecnico-economica, stimava che il mercato per questo tipo di interventi valesse 36 miliardi .
vedi anche:
Terremoti, perché è necessario un piano per la messa in sicurezza degli edifici
Gli esperti concordano: il governo dovrebbe utilizzare i 10 miliardi della flessibilità concessi dalla Ue per investire sulla sicurezza. Con un ulteriore duplice effetto: aumentare l’occupazione e rilanciare l’economia
Perché pure se l’adeguamento costa salato, può salvare la vita. Ma di che cifre parliamo? “Con una spesa compresa fra 100 e 300 euro a metro quadro è possibile mettere al sicuro un edificio” spiega Camillo Nuti, a lungo docente di Tecnica delle costruzioni in zona sismica alla facoltà di Ingegneria di Roma Tre e attualmente ordinario di Progettazione strutturale ad Architettura: “Vuol dire 30 mila euro per appartamento di dimensioni medio-grandi e 200-600 mila euro per un classico condominio di quattro piani. Non poco ma si tratta di cifre che spesso, a pensarci, nel complesso vengono spese per una serie di interventi di tanti alti tipi ma assai meno importanti. Bisogna mettersi in testa che non ha senso rifare la cucina se poi le strutture della casa sono a rischio”.
vedi anche:
Quello che sappiamo sul terremoto del Centro Italia
Il campionario dei lavori che si possono effettuare è lungo: isolatori o cuscinetti antisismici da disporre alla base degli edifici, l’utilizzo della fibra di carbonio attorno ai pilastri che riduce notevolmente il rischio di fratture, la disposizione di controventi dissipativi tra un piano e l’altro per ammortizzare le scosse, rinforzi tramite l’installazione di catene o il risarcimento delle murature. L’ultimo ritrovato, ancora allo studio, sono particolari pannelli in legno che coprono le tamponature all’interno e che sono in grado di fare da dissipatori. “È la dimostrazione che abbiamo un grande patrimonio di conoscenze e che le tecnologie esistono. Tutto sta a favorirne l’impiego” sintetizza Nuti.
vedi anche:
Sisma, Protezione civile: "Non escluse più vittime dell’Aquila"
Destinato a crescere ancora il numero dei morti accertati, 250. Mentre si organizzano le raccolte di abiti e scatolame e le collette dei deputati, Renzi annuncia: "Niente polemiche e ricostruzione in tempi certi". E il governo potrebbe mettere sulla messa in sicurezza tutta la flessibilità chiesta a Merkel, l’equivalente degli 80 euro
Ma ecco sorgere il problema economico. Chi effettua lavori di adeguamento sismico in zone a elevata pericolosità può recuperare il 65 per cento della spesa, ma in dieci anni. Proprio come previsto per gli interventi per il risparmio energetico. Il problema così è che, trattandosi di somme ingenti, in pochi vi ricorrono. Anche perché si tratta di un investimento sul futuro che non dà ritorni immediati in bolletta, né estetici, come nel caso di una ristrutturazione.
Così, se la proposta di ricorrere ai margini di flessibilità concessi dalla Ue potrebbe essere una soluzione, si potrebbe pensare anche a un’altra strada: una detrazione immediata o quanto meno in un arco di tempo assai più ristretto rispetto a quello attuale. E le mancate entrate potrebbero essere compensate dal gettito Iva derivante dagli incentivi e dalle tasse pagate da imprese e progettisti.
Con un mercato dei lavori stimato in 36 miliardi, solo l’imposta sul valore aggiunto potrebbe portarne sette nelle casse dell’erario. A meno che non si voglia pensare che la vita di una persona, dal punto di vista fiscale, valga quanto una caldaia a condensazione.